Europa, la sfida per tornare protagonista nello spazio
Un razzo Ariane-6 in fase di test. Foto: ESA
C’è un cambio di rotta che attraversa l’industria spaziale europea. Dopo mesi di trattative, Airbus, Leonardo e Thales Alenia Space hanno firmato un’intesa che unisce le rispettive attività spaziali in un’unica realtà industriale. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la sovranità tecnologica del continente e costruire un polo competitivo capace di reggere il confronto con i colossi globali, da SpaceX alla Cina. Una notizia che non arriva per caso: mentre l’Europa prova a definire un’agenda comune per la difesa e la space economy, un recente rapporto dell’European Space Policy Institute (ESPI) lancia un avvertimento preciso. L’Europa, scrive l’istituto viennese, rischia di essere “accecata dalla luce” dei successi altrui, incapace di trasformare la propria eccellenza scientifica in potenza industriale.
Una perdita di competitività
Negli ultimi quindici anni, la posizione europea nello spazio ha progressivamente perso terreno. I cicli di sviluppo dei programmi pubblici restano lunghi, i bilanci frammentati, le strategie industriali spesso divergenti tra i singoli Stati membri. In questo scenario, il modello europeo di governance – fondato su un equilibrio complesso tra agenzie, istituzioni e industria – mostra tutti i suoi limiti.
L’ESPI individua un punto cruciale: competitività e sovranità non sono – per una volta - obiettivi in conflitto, ma due dimensioni della stessa politica industriale. Eppure, la distanza con Stati Uniti e Cina cresce di anno in anno. Washington supera ormai i 40 miliardi di dollari l’anno solo per i programmi spaziali della difesa; Pechino, con una combinazione di piani civili e militari, ha superato la spesa complessiva europea. In proporzione, solo il 15% dei fondi spaziali europei è destinato a scopi di sicurezza, contro una media globale che si avvicina al 50%.
La risposta industriale: un’unione strategica
L’intesa tra Airbus, Leonardo e Thales Alenia Space si inserisce in questa cornice come risposta diretta al bisogno di scala, integrazione e rapidità. Le tre aziende, protagoniste del comparto aerospaziale europeo, hanno deciso di conferire le proprie attività spaziali in un’unica società integrata che riunirà satelliti, sistemi di comunicazione, infrastrutture orbitali e servizi di osservazione.
L’operazione prevede una governance quasi paritetica (Airbus avrà una quota superiore del 5%), con partecipazioni distribuite in modo equilibrato e un quartier generale in Europa. La nuova entità — il cui nome definitivo sarà annunciato dopo l’approvazione regolatoria — si occuperà di tutto il ciclo spaziale, dal design dei satelliti alla gestione delle costellazioni, dalle telecomunicazioni sicure ai sistemi dual use per difesa e sicurezza.
L’intesa è ancora sub iudice: dovrà infatti ottenere il via libera della Commissione europea per la concorrenza, chiamata a valutare l’impatto dell’operazione sul mercato interno e sulle regole degli appalti europee. Solo dopo il via libera dell’antitrust, previsto nel corso del 2026, la fusione potrà diventare pienamente operativa.
Dietro questa scelta c’è una lettura strategica del futuro: la connettività orbitale sarà la dorsale della sicurezza, della logistica e dell’economia digitale. Per l’Europa, restare spettatrice significherebbe dipendere da infrastrutture extraeuropee per comunicazioni critiche, difesa e gestione dei dati. Da qui la decisione di unire forze e risorse per dare vita a un polo in grado di competere con costellazioni come Starlink o Kuiper, oggi egemonizzate da attori statunitensi, e contrastare le mire di espansione della Cina.
Speed, Scale, Skill, Vision
Il rapporto ESPI individua quattro leve per invertire la tendenza: velocità, scala, competenze e visione. Quattro dimensioni che la nuova alleanza industriale sembra voler tradurre in azione concreta. La velocità riguarda il passaggio dall’idea al prodotto: un ciclo che in Europa richiede ancora anni, mentre negli Stati Uniti si misura in mesi. L’istituto cita il modello spiral adottato dalla Space Development Agency americana, in cui i programmi si evolvono per tranche successive e non per blocchi monolitici.
La scala è la condizione economica: senza un mercato interno solido, le imprese europee restano dipendenti dalle commesse pubbliche e faticano a reggere la concorrenza globale. La fusione Airbus–Leonardo–Thales crea massa critica in un settore dove la produzione di satelliti, lanciatori e sistemi di comunicazione richiede supply chain integrate e capitali ingenti.
La skill, o competenza, non è solo tecnica: significa management, finanza, business, tutela della proprietà intellettuale. Un’industria che vuole crescere deve saper trattenere talenti e costruire nuovi percorsi formativi. Infine, la vision: la capacità di definire un obiettivo comune, riconosciuto da governi e mercato. L’Europa, scrive ESPI, non può più limitarsi a “fare politica industriale per progetti”, ma deve delineare una traiettoria condivisa, capace di unire investimenti, tecnologia e sicurezza.
Lentezze e colli di bottiglia
Dietro la retorica della “nuova corsa allo spazio” si nascondono ancora colli di bottiglia evidenti. La crisi dei lanciatori europei – con Ariane 6 che ha accomulato anni di ritardo prima di essere operativo e i problemi riscontrati anche su Vega C – ha costretto molte missioni a rivolgersi a vettori stranieri. Le catene di fornitura restano fragili, troppo frammentate per sostenere produzioni seriali. La nuova alleanza dovrebbe mirare anche a questo: industrializzare il settore, passando da una logica “artigianale” a una logica di serie, con linee di assemblaggio condivise, interoperabilità tra piattaforme e una migliore gestione dei costi. È un salto – nel puro campo teorico per il momento – che potrebbe influenzare l’intera filiera europea, dai fornitori di componentistica alle startup che gravitano intorno ai grandi gruppi.
Il capitale “tartaruga”
Un altro punto critico individuato da ESPI è la lentezza con cui il capitale d’investimento europeo entra in circolazione. I programmi di finanziamento comunitari – come l’EIC o Horizon Europe – garantiscono supporto all’innovazione, ma impiegano tempi lunghi e non prevedono un passaggio naturale dal prototipo al contratto. Mancano strumenti equivalenti agli Small Business Innovation Research americani, che consentono alle aziende di trasformare rapidamente le idee in forniture per il settore pubblico.
Il risultato è un ecosistema dove le startup restano spesso intrappolate nel limbo tra ricerca e mercato. La nascita di un grande gruppo integrato potrebbe offrire una via d’uscita: fornire sbocchi industriali, aggregare domanda e rafforzare la capacità di investimento complessiva. Ma per farlo serviranno anche politiche di approvvigionamento più agili, capaci di accorciare i cicli e favorire la concorrenza interna.
Difesa, connettività e nuovi mercati
Il terreno su cui l’Europa gioca la sua scommessa è quello della connettività orbitale. Le comunicazioni satellitari non sono più solo infrastrutture civili: rappresentano la base della sicurezza, del controllo del territorio, della gestione climatica e delle emergenze.
Il progetto IRIS², lanciato dall’Unione europea come costellazione di connettività sicura, potrebbe diventare il primo banco di prova della nuova alleanza industriale. Se funzionasse, permetterebbe al continente di ridurre la dipendenza da reti statunitensi e di aprire un mercato anche commerciale, rivolto a imprese e cittadini.
Ma la sfida non si gioca solo nello spazio. Le politiche di difesa, la gestione dello spettro radio, la capacità di attrarre capitali privati e di proteggere le imprese strategiche saranno i veri fattori discriminanti. L’ESPI avverte: senza strumenti di screening efficaci e senza un fondo di salvaguardia europeo, le piccole e medie imprese del settore restano vulnerabili a scalate estere.
Verso una nuova governance
Sul piano politico, il rapporto invita a rivedere il modello di governance europea. Oggi, le decisioni sono suddivise tra Commissione, Consiglio, ESA e governi nazionali, con un equilibrio spesso difficile da mantenere. L’istituto propone la creazione di una piattaforma permanente che riunisca istituzioni e industria, capace di definire indicatori di performance e di valutare i risultati su base annuale.
L’intesa Airbus–Leonardo–Thales potrebbe spingere in questa direzione, costringendo le istituzioni europee a ripensare il coordinamento tra ricerca, industria e difesa. La nuova realtà industriale, di fatto, diventerà un interlocutore unico di peso continentale, con la forza di incidere sull’agenda politica e di orientare le scelte di investimento.
Dal rapporto alle politiche concrete
ESPI elenca una serie di raccomandazioni operative: cicli di approvvigionamento più rapidi (entro 18 mesi), preferenza europea nelle forniture pubbliche, un moonshot tecnologico tra il 2028 e il 2034, programmi per la formazione di talenti e un fondo per le acquisizioni strategiche.
Molti di questi elementi trovano un’eco nelle mosse industriali di queste settimane. La fusione tra Airbus, Leonardo e Thales è la manifestazione concreta di un’esigenza che da tempo gli analisti segnalano: passare dalle strategie frammentate alla costruzione di campioni industriali europei, in grado di competere per dimensioni, risorse e capacità di innovazione.
Un nuovo equilibrio
Nessuna mossa singola potrà invertire da sola il divario accumulato con Stati Uniti e Cina. Ma l’accordo che ha portato alla nascita del nuovo polo spaziale europeo rappresenta un cambio di asset e di strategia di rilievo.
Per la prima volta, le principali aziende del continente mettono insieme risorse, tecnologie e linee produttive per rispondere a una sfida sistemica. È un tentativo di ridefinire il ruolo dell’Europa nello spazio: non più semplice fornitore o committente di tecnologie, ma attore strategico capace di difendere e promuovere la propria autonomia industriale.
Resta da capire se la politica saprà accompagnare questa trasformazione con decisioni coerenti e tempi compatibili. Perché, come avverte il rapporto ESPI, la luce dei successi altrui può ancora abbagliare chi resta troppo a lungo fermo a guardare.