La nuova frontiera della sicurezza passa dallo spazio
La rappresentazione artistica di un satellite in orbita. Foto: Wikipedia Commons/ Josè Furtado
In pochi anni lo spazio è diventato un terreno di competizione strategica non più confinato alle agenzie civili. L’Europa, tra Parigi, Berlino, Roma e Londra, sta moltiplicando gli investimenti per difendere i propri satelliti e sviluppare capacità autonome di sorveglianza orbitale. Dall’altra parte dell’Atlantico, gli Stati Uniti avanzano con la Space Force e con il nuovo progetto “Golden Dome”, che mira a creare una cupola di protezione globale contro minacce missilistiche e ipersoniche. La frontiera dell’orbita è ormai parte integrante della politica di difesa.
Parigi accelera con lo “Space Pact”
La Francia è il Paese europeo che più chiaramente ha trasformato la propria strategia spaziale in un asse di politica militare. La nuova Loi de Programmation Militaire 2024–2030 porta lo stanziamento per lo spazio a circa 6 miliardi di euro, con un aumento del 45% rispetto al settennio precedente. Si tratta di risorse destinate non solo al rinnovo della costellazione Syracuse di telecomunicazioni militari, ma anche alla sorveglianza orbitale e alla difesa attiva dei satelliti, in un’ottica dichiaratamente interforze.
All’interno di questo quadro, il ministero della Difesa francese ha presentato nell’ottobre 2025 lo “Space Pact”, un patto di cooperazione civile-militare pensato per velocizzare gli acquisti, snellire le procedure e creare un ecosistema industriale capace di rispondere più rapidamente alle esigenze operative. Il piano non aggiunge nuove linee di bilancio, ma rappresenta una svolta politica: la conferma che Parigi intende trasformare il proprio vantaggio tecnologico in capacità strategica autonoma. In prospettiva, la Francia resta il principale motore europeo nel settore difesa spaziale, anche per la continuità del legame tra DGA (la Direzione generale armamenti), CNES (il Centre national d'études spatiales) e industria nazionale.
Il piano di investimenti della Germania
Dopo anni di relativa prudenza, la Germania ha compiuto una mossa di portata storica. Il ministro della Difesa Boris Pistorius ha annunciato a fine settembre 2025 un piano da circa 35 miliardi di euro entro il 2030 per costruire una vera architettura spaziale di difesa: satelliti di sorveglianza e comunicazione, sistemi di allerta precoce, protezione degli asset orbitali e infrastrutture di cybersecurity integrate.
È un cambio di scala che risponde alla crescente percezione di vulnerabilità, alimentata anche e soprattutto dai recenti attacchi cibernetici e dai timori crescenti per le attività paramilitari e di guerra ibrida della Russia. Berlino prevede di rafforzare il Weltraumkommando della Bundeswehr e di sviluppare capacità di monitoraggio e deterrenza spaziale indipendenti, mantenendo comunque un legame operativo con la NATO e l’Agenzia spaziale europea. In termini di ordini di grandezza, il pacchetto tedesco equivale a oltre quattro volte il bilancio annuale dell’ESA, oggi pari a circa 7,68 miliardi di euro, e a più del doppio delle sottoscrizioni pluriennali approvate dalla stessa agenzia nel 2022.
L’Italia consolida la sua presenza orbitale
Anche l’Italia sta rafforzando in modo costante la propria componente spaziale della difesa. Il programma SICRAL 3, dedicato alle telecomunicazioni satellitari militari, è stato aggiornato nel 2025 con un costo complessivo di 767 milioni di euro, in crescita rispetto ai 590 milioni inizialmente stanziati a bilancio. Nel Documento programmatico pluriennale della difesa 2025–2027 compaiono poi nuove linee di investimento su osservazione ottica, sistemi di sorveglianza spaziale, comunicazioni in orbita bassa e piattaforme ad alta quota. Tra le voci più rilevanti figurano il satellite ottico di terza generazione, il progetto SICRAL-R1e le attività di Space Situational Awareness.
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Il modello italiano mantiene una forte impronta duale, con Leonardo, Telespazio e Thales Alenia Space al centro del partenariato pubblico-privato. È una strategia che punta a combinare esigenze militari e ricadute industriali, in continuità con la legge nazionale sulla space economy del giugno 2025 e con il coinvolgimento dell’Agenzia Spaziale Italiana nei programmi europei di sicurezza.
Londra tra Starlink e sovranità
Nel Regno Unito il dibattito più recente non riguarda tanto le cifre quanto la natura della spesa. La Defence Space Strategy del 2022 aveva già stanziato 1,4 miliardi di sterline aggiuntivi in dieci anni, oltre ai 5 miliardi del programma satellitare Skynet 6, per garantire una capacità di comunicazione sicura e resiliente. Ma il confronto politico del 2025 si è concentrato su un nodo cruciale: quanto la difesa britannica debba dipendere da fornitori commerciali come Starlink.
Nel forum Starlink and Sovereignty svoltosi a metà di ottobre, alti ufficiali e dirigenti del ministero della Difesa UK hanno discusso la necessità di mantenere un equilibrio tra servizi commerciali e infrastrutture sovrane. Il principio emerso è che l’interoperabilità deve essere massima, ma senza rinunciare a un controllo strategico nazionale. Da qui la spinta verso architetture ibride multi-orbita e l’investimento in tecnologie in grado di proteggere gli apparati in caso di attacchi elettronici o relativi alla cybersicurezza. Anche in assenza di nuovi fondi, la direzione è quella di aumentare: la spesa per la sicurezza dei collegamenti e garantire la continuità operativa in caso di crisi.
Il lancio di un razzo contenente satelliti della rete Starlink. Foto: Norkus
L’Unione Europea e la via del partenariato
A livello comunitario, la principale iniziativa resta IRIS², il sistema europeo di connettività sicura, lanciato ufficialmente nel 2023. Il programma dispone di 2,4 miliardi di euro di fondi UE, a cui si aggiungono contributi industriali e statali per un valore complessivo di 10,6 miliardi nel contratto di concessione firmato nel 2024. IRIS² nasce con finalità civili ma anche con un chiaro obiettivo di sicurezza: garantire comunicazioni protette alle istituzioni europee, agli Stati membri e ai partner internazionali, in linea con la Strategia UE per lo spazio in ambito sicurezza e difesa.
L’iniziativa è il segno di un cambio di paradigma: l’Europa riconosce lo spazio come dominio strategico e tenta di colmare il divario con gli Stati Uniti e la Cina attraverso una governance condivisa. Tuttavia, la frammentazione dei bilanci nazionali e la mancanza di una vera catena di comando militare europea limitano ancora la capacità di coordinare gli investimenti.
Oltre l’Atlantico: la potenza americana
Negli Stati Uniti, la dimensione spaziale della difesa ha assunto proporzioni industriali. Per l’anno fiscale 2025 la U.S. Space Force (la speciale sezione dell’esercito fortemente voluta da Donald Trump durante il suo primo mandato presidenziale) dispone di un budget di circa 29,5 miliardi di dollari, pari al 3,5% della spesa complessiva del Dipartimento della Difesa (o della Guerra se si vuole seguire la nuova dicitura della Casa Bianca). A questi si aggiungono i 10,4 miliardi della Missile Defense Agency e i 4,3 miliardi della Space Development Agency, che finanzia la Proliferated Warfighter Space Architecture, una rete di centinaia di satelliti a bassa quota destinata a fornire capacità di allerta e comunicazione in tempo reale. Secondo le proiezioni più recenti degli analisti del Pentagono, il bilancio della Space Force potrebbe raggiungere quasi 40 miliardi di dollari già nel 2026.
Il “Golden Dome”: l’ambizione di Trump e i richiami di reaganiana memoria
Il nuovo elemento di rottura è il “Golden Dome”, il programma annunciato da Donald Trump a gennaio 2025 e ribattezzato ufficialmente The Iron Dome for America. L’obiettivo è creare una rete integrata di sensori e intercettori terrestri e spaziali in grado di individuare e neutralizzare missili balistici, ipersonici e da crociera. Nelle dichiarazioni della Casa Bianca il progetto mira a proteggere il territorio statunitense con una cupola difensiva a copertura globale, anche attraverso un segmento orbitale di satelliti operativi.
Le prime stime parlano di una “caparra iniziale” da 175 miliardi di dollari, cifra che da sola supererebbe di molte volte l’intero budget pluriennale dell’ESA o gli investimenti militari spaziali di tutti i Paesi europei messi insieme. Si tratta però di un’iniziativa ancora politica: l’attuazione dipenderà dalle decisioni del Congresso e dalle capacità industriali del complesso militare-spaziale americano. Al di là delle cifre, il Golden Dome segna un salto concettuale, perché sposta l’orizzonte dalla deterrenza all’intercettazione attiva nello spazio, con implicazioni evidenti per l’equilibrio strategico globale. La memoria corre allo scudo immaginato da Ronald Reagan negli anni Ottanta ma che non vide mai la luce.
Le dimensioni del divario
La distanza tra Europa e Stati Uniti, sul terreno della difesa spaziale, resta netta. Anche sommando i programmi nazionali e quelli dell’Unione, l’impegno europeo nel settore non supera alcune decine di miliardi di euro distribuiti su più anni. Washington, invece, destina ogni anno oltre 40 miliardi di dollari solo ai capitoli già approvati per la Space Force, la Missile Defense Agency e la Space Development Agency, a cui si aggiunge la prospettiva dei fondi del Golden Dome.
Il divario non è soltanto economico. Gli Stati Uniti possono contare su una struttura decisionale unificata, su una catena di approvvigionamento coerente e su una pianificazione industriale che integra ricerca, difesa e politica estera. L’Europa, al contrario, procede ancora per compartimenti nazionali: ogni Paese sviluppa le proprie capacità, mentre il coordinamento comunitario fatica a trasformarsi in una strategia comune. Il risultato è una crescita reale ma frammentata, che rende difficile tradurre gli investimenti in un potere spaziale collettivo.
Una corsa che cambia le strategie in orbita bassa
La militarizzazione dello spazio è ormai un dato di fatto. I satelliti per telecomunicazioni, sorveglianza e allerta precoce sono diventati elementi centrali delle dottrine di difesa, così come lo sviluppo di reti resilienti e capacità di risposta agli attacchi orbitale. In questo scenario, l’Europa punta alla resilienza e alla autonomia tecnologica, gli Stati Uniti alla supremazia strategica, mentre in Asia l’obiettivo principale resta l’accesso indipendente allo spazio.
Ciò che sta emergendo, al di là delle differenze, è un equilibrio globale nuovo, in cui la sicurezza non si misura più soltanto sulla Terra. L’orbita terrestre bassa diventa la nuova linea di frontiera, un’estensione invisibile dei confini nazionali e al tempo stesso il luogo in cui si giocherà (anche) la stabilità futura dei rapporti internazionali.