SOCIETÀ

Efficienza e sostenibilità energetica: l'Europa tra promossi e bocciati

Quando parliamo di energia primaria nell’Unione Europea dovremmo immaginarci la cartina del mondo collegata da diverse linee, come se esistesse una metropolitana che collega l’Europa alla Russia, deviando però anche verso l’Asia e l’Africa.

L’UE-28 (cioè l’attuale conformazione dell’Unione Europea) nel 2016 ha prodotto l’1,6% in meno di energia primaria, a conferma della tendenza di decrescita degli ultimi anni, ad eccezione del 2010.

Prendendo ad esempio i dati rilasciati da Eurostat possiamo notare che in soli 10 anni la produzione di energia primaria dell’Unione Europea è diminuita del 14,7%.

Meno produzione però significa maggiore dipendenza energetica da altri Paesi.

Da dove importiamo l’energia primaria

“La flessione della produzione primaria di carbone fossile, lignite, petrolio greggio, gas naturale e, più recentemente, di energia nucleare ha avuto come conseguenza un aumento del ricorso dell'Unione alle importazioni di energia primaria per soddisfare la domanda”. Sono queste le parole riportate nel report Eurostat che mette in luce come la totalità dell’Unione Europea non sia energeticamente indipendente.

Nel 2016 le importazioni di energia primaria dell'UE-28 superavano le esportazioni di quasi 904 milioni di tep (tonnellata equivalente di petrolio, è l’unità di misura che si utilizza in materia di energia, ndr).

Ma da dove importiamo l’energia primaria? I maggiori importatori d’energia, com’è facilmente prevedibile, sono i paesi più popolosi dell’Unione, ad eccezione della Polonia, che presenta una tanto importante quanto inquinante riserva di carbone. Il caso polacco infatti è, dal punto di vista climatico, uno dei meno virtuosi dell’intera UE. In Polonia infatti, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono presenti ben 33 città tra le 50 più inquinate d’Europa. Lo smog è dovuto principalmente alla produzione del carbone che corrisponde a più dell’80% del fabbisogno energetico del Paese.

Ad oggi quindi non esistono Stati membri che siano esportatori netti di energia. Lo Stato da cui importiamo maggiormente energia è la Russia, sia per quanto riguarda il petrolio, che il gas naturale che i combustibili solidi. Per quanto riguarda l’importazione di combustibili solidi c’è uno stato che, negli ultimi 10 anni, ha visto di fatto raddoppiare la sua richiesta. Stiamo parlando della Colombia, dalle cui riserve di carbone sono arrivate molte risorse anche nelle nostre centrali di Civitavecchia e Brindisi.

Quando parliamo di Colombia però parliamo anche di Cesar, una delle più grandi aree estrattive del Paese situata nel nord del Paese, e delle violazioni di diritti umani avvenute al suo interno. Era il maggio 2017 quando l’amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace, comunicò all’assemblea degli azionisti che l’utility energetica italiana non avrebbe più importato carbone dalla Colombia, seguendo di fatto la strada già percorsa dalla compagnia energetica danese Dong.

Questa decisione avvenne in seguito alla pubblicazione, da parte di Re:Common,di “Profondo Nero”, un’inchiesta che parte dall’assassinio di due sindacalisti da parte di alcuni paramilitari e segue tutta quella che viene chiamata “La via del carbone”, che parte dalla Colombia ed arriva fino in Italia.

Come viene prodotta l’energia primaria nell’UE

Come riportato dal report rilasciato nel luglio 2018 da Eurostat, nel 2016 la produzione di energia primaria dell’Unione Europea proveniva principalmente da quella nucleare (28,7%), che significa in particolare dalla Francia, dove il nucleare rappresenta quasi l’80% della produzione nazionale, dal Belgio e dalla Slovacchia dove il nucleare corrisponde al 62,3% della produzione nazionale.

Al secondo posto come produzione di energia primaria nell’UE ci sono le fonti di energia rinnovabili (27,9%) seguite dai combustibili solidi, cioè principalmente il carbone, (17,5%), dal gas naturale (14,2%) e dal petrolio greggio per il 9,8%. Proprio la produzione di petrolio greggio è stata quella che, negli ultimi 10 anni, è calata maggiormente.

 

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L’Italia è al quarto posto per capacità fotovoltaica pro-capite al mondo

L’Italia e la sua energia

E l’Italia? Per quanto riguarda il nostro Paese la situazione è indubbiamente intricata, ma la nostra posizione geografica questa volta può esserci d’aiuto. Partiamo da un dato che fa ben sperare: secondo REN21, cioè la rete globale che coinvolge rappresentanti governativi, scienziati, istituzioni pubbliche, ONG e associazioni industrial, l’Italia è al quarto posto per capacità fotovoltaica pro-capite al mondo e al quinto per capacità cumulata, preceduta solamente da Cina, Stati Uniti, Giappone e Germania.

Entro il 2025 ci siamo impegnati ad eliminare il carbone, e questo è stato uno slogan usato da destra e sinistra e accolto positivamente al COP23 di Bonn sul Clima del 2017. Anche ENEL, cioè la società che gestisce le più importanti centrali a carbone d’Italia è sulla stessa linea.

Il carbone però è usato, e quasi la totalità di questo è importato. L’Italia infatti non ha miniere efficienti, l’ultima di queste è situata in Sardegna nel Sulcis-Iglesiente. In tutto, ad oggi, le centrali termoelettriche a carbone presenti in Italia sono 8.

L’Italia però utilizza il carbone solamente per il 12% del suo fabbisogno energetico, contro una media europea del 26% circa. Nonostante alcune problematiche legate principalmente alle isole, ai gasdotti provenienti da est ed ad alcune zone sotto le quali sono presenti dei giacimenti petroliferi e che affronteremo in seguito in un corposo reportage, si può dire che l’Italia stia puntando in modo abbastanza deciso verso le rinnovabili.

Dopo le promesse su una progressiva decarbonizzazione del Paese entro il 2025, entro il 2030 si dovrebbe arrivare a produrre il 90% del fabbisogno energetico tramite energia eolica e solare.

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