SOCIETÀ

Libia, storia di una nazione-mosaico in cui prevale la legge del caos

Dopo la cacciata da Derna anche Sirte, secondo avamposto dello Stato Islamico in Libia, sembra vicina alla liberazione dall’Isis, con l’offensiva finale dell’esercito del governo di unità nazionale. Ma sarebbe illusorio affermare che queste sconfitte degli islamisti siano il preludio alla pace nel Paese nordafricano: troppo complesso è l’intreccio di fazioni, tribù, etnie, gruppi armati che ancora si contendono il territorio, teatro, dalla caduta di Gheddafi, di una disgregazione che ha causato ingovernabilità e continui rovesciamenti di fronte politici e militari. Se la lettura di quanto accade oggi in Libia è ardua, un aiuto può venirci dalla storia: lo ha spiegato Stefano Marcuzzi, ex allievo della Scuola Galileiana di Padova e ora in forza alla University of Oxford, che a un seminario tenuto proprio alla Galileiana ha illustrato come le vicende novecentesche dell’ex colonia italiana possono dare utili chiavi di lettura del caos che oggi si tenta, faticosamente, di dipanare. Perché già nell’origine del nome “Libia” è possibile scorgere un’artificiale operazione di ricomposizione di aree eterogenee: si deve infatti agli studiosi italiani il recupero, agli inizi del Novecento, dell’antica denominazione, con l’intento di unificare concettualmente (e politicamente) regioni distinte come Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

La vittoria nella guerra italo-turca, che sottrasse all’impero ottomano il controllo dell’area, fu la premessa di una lunghissima azione di guerriglia araba contro gli italiani: impreparati a governare un puzzle tanto complicato, che si basava su una società articolata in tribù ed etnie. Due entità che non coincidevano, ma spesso si trovavano mescolate, dando luogo a rivalità che potevano veder contrapposti esponenti dello stesso gruppo etnico, se appartenenti a tribù avversarie. Se la fine della prima guerra mondiale porta alla concessione di una certa autonomia alle popolazioni sottomesse, con gli statuti che concedono loro alcuni diritti civili e politici, dal ’21 si avvia il grande progetto della riconquista militare del territorio, che vede la deportazione di decine di migliaia di abitanti della Cirenaica per isolare i ribelli, e ha compimento nel 1931 con la cattura e l’impiccagione di Omar al Mukhtar, leader dei rivoltosi. Le divisioni interne al territorio libico però resisteranno e manterranno la loro importanza anche dopo il governatorato fascista e la fine del secondo conflitto mondiale: la nuova monarchia di Idris Primo, nel 1951, riconosce la separazione tra Tripoli e Bengasi, istituendo un governo federale e bipartito. Quanto a Gheddafi, dal 1969 tenta di costruire una “repubblica senza Stato”, in cui l’assenza di istituzioni forti tradizionali (governo, esercito) è parzialmente sostituita da deleghe ai vertici delle tribù. E se il consolidarsi del suo potere si basa su un’azione di stampo anticoloniale, panaraba e panafricana, in forte polemica con i centri politici ed economici occidentali, la seconda fase del suo periodo è caratterizzata da una netta inversione verso posizioni più moderate e concilianti verso Europa e Stati Uniti: proprio l’islamismo radicale avrà un ruolo importante nella caduta e nell’uccisione del leader libico, atto che segna la fine dell’artificiosa unità nazionale e il ritorno ai mille particolarismi che innervano il Paese profondo.

La fine del colonnello (2011) vede infatti l’esplosione delle rivendicazioni di autonomia delle tribù locali che sfociano nella guerra civile: un ritorno alla moltiplicazione di fazioni che si mescola alle istanze radicali, portando alla situazione più recente. Nascono così i due governi concorrenti di Tobruk e Tripoli, il primo sostenuto dal generale filo-egiziano Haftar, il secondo dagli islamisti: una contesa che la comunità internazionale ha tentato di superare sostenendo la formazione del nuovo governo di unità nazionale, insediatosi a Tripoli (ma ancora non riconosciuto dalle autorità di Tobruk). Si perpetua così la storica divisione tra Cirenaica e Tripolitania, una frattura che la politica non sembra mai in grado di ricomporre. Una costante incapacità di prendere atto della complessità della nazione libica che, secondo Marcuzzi, traspare con chiarezza anche dai piani militari prefigurati dalle forze occidentali qualora fallisse il governo unitario: un progetto di suddivisione della Libia che assegnerebbe Tripoli al controllo italiano, la Cirenaica al Regno Unito e il Fezzan alla Francia. Un’eco delle suggestioni coloniali, viva, incredibilmente, ancora oggi.

Martino Periti

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