SCIENZA E RICERCA

LRKK2, la proteina che ci spiegherà il Parkinson?

Elisa Greggio, professoressa di fisiologia, riceve il premio “Milla Baldo Ceolin 2015” come miglior giovane ricercatrice dell’università di Padova. Trentanove anni, laureata a Padova e specializzata ai National Institutes of Health di Bethesda, è rientrata in Italia con il programma “Rientro dei cervelli” nel 2009. La sua attività di ricerca si svolge all’interno del gruppo di Biofisica e fisiologia molecolare e cellulare dell’università di Padova. 

Si stima che il cervello umano, l’organo di gran lunga più complesso e meno compreso, contenga 100 miliardi di neuroni ed ogni neurone sia in grado di stabilire circa 1000 connessioni elettriche, che chiamiamo “sinapsi”, con altre cellule nervose, per un totale di 100.000 miliardi di connessioni, almeno 100 volte il numero di galassie stimato nell’universo. I neuroni hanno una peculiarità rispetto alle altre cellule del corpo: generalmente non vengono rimpiazzati ma perdurano lungo tutta la vita dell’individuo, perché la loro complessità strutturale è il riflesso di esperienza, memoria, apprendimento e conoscenza uniche per ciascun individuo. Nonostante i neuroni abbiano sviluppato sofisticati sistemi di salvaguardia contro danno e morte cellulare, questi sistemi possono essere compromessi per molteplici motivi non ancora del tutto compresi, causando neurodegenerazione. Le malattie neurodegenerative sono infatti condizioni spesso incurabili che risultano nella progressiva degenerazione e morte delle cellule nervose portando a problemi di movimento (atassie)  o intellettivi (demenze). Come riassunto da uno dei più autorevoli neurologi che si occupano di Parkinson, Andrew Lees dell’University College London, il Parkinson colpisce circa l’1% della popolazione sopra i 65 anni di età e il decorso medio della malattia è di circa 15 anni. Il Parkinson è principalmente un disordine del movimento con sintomi quali il tremore a riposo, la lentezza nei movimenti, la rigidità muscolare e l’instabilità posturale, nonostante possano presentarsi anche problemi cognitivi negli stadi più avanzati. Attualmente, le terapie sono esclusivamente di tipo sintomatico, alleviano cioè i sintomi ma non curano le cause. 

Il problema principale è che le cause di questa malattia non sono ancora del tutto chiare, nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi vent’anni. Dal punto di vista patologico, il cervello parkinsoniano presenta morte progressiva di una popolazione di neuroni localizzati in una regione del cervello chiamata substantia nigra pars compacta che utilizzano la dopamina come messaggero chimico per trasmettere informazioni ad altri neuroni. Dalla substantia nigra pars compacta questi neuroni inviano infatti i loro segnali elettrici ad un’altra regione del cervello chiamata striato che ha il compito di controllare i muscoli e quindi il movimento. Ecco perché deficit dopaminergici si traducono in disfunzioni motorie. 

Un’altra caratteristica patologica è la presenza, nei neuroni dopaminergici ancora non completamente degenerati, di accumuli di una proteina chiamata alfa-sinucleina. Proprio questa è l’oggetto di studio del nostro gruppo di ricerca. Infatti non è ancora del tutto chiaro perché questa proteina accumuli nei cervelli parkinsoniani e quale sia il suo legame con l’insorgenza della patologia. 

La malattia di Parkinson fu formalmente descritta per la prima volta nel 1817 dal medico inglese James Parkinson nel suo saggio An Essay on the Shaking Pulsy. Per molti anni questa malattia e le sue cause non sono stati compresi a pieno, individuando come fattori predisponenti l’esposizione a pesticidi, erbicidi e tossine mitocondriali. Solo a partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso con l’identificazione di casi a trasmissione di Parkinson familiare, la comunità scientifica cominciò a considerare la componente genetica come un fattore tutt’altro che trascurabile nell’insorgenza della patologia. Quasi vent’anni dopo la scoperta che mutazioni nel gene codificante alfa-sinucleina – la stessa proteina che si trova accumulata nei neuroni malati – sono causa di una forma di Parkinson ereditaria molto simile a quella “sporadica”, il contributo della genetica nell’insorgenza della patologia è oggi riconosciuto a vari livelli: dall’esistenza di forme monogeniche a trasmissione mendeliana, all’identificazione di varianti geniche più comuni che agiscono da fattori di rischio. 

Le terapie attuali alleviano i sintomi rimpiazzando la dopamina o stimolandone i suoi recettori ma la neurodegenerazione continua inesorabile. Ci sono 1,2 milioni di pazienti parkinsoniani in Europa e 250.000 in Italia: per una malattia incurabile e a decorso relativamente lento, questo implica costi enormi che il sistema sanitario italiano deve sostenere, si stima dell’ordine di 2 miliardi di euro annui. La necessità quindi di individuare terapie neuroprotettive è di altissima priorità, ma presuppone una dettagliata comprensione dei meccanismi molecolari aberranti che portano alla malattia. 

Lo scopo delle nostre ricerche è proprio questo: comprendere i meccanismi patologici della malattia attraverso lo studio dei processi intracellulari, l’attività delle sinapsi e la funzione di sub-popolazioni neuronali in modelli sperimentali. Abbiamo scelto di studiare il gene LRRK2 per modellare sperimentalmente la malattia di Parkinson. 

Le mutazioni in LRRK2 causano una forma di Parkinson ereditario con manifestazione clinica e patologica indistinguibile dal più comune Parkinson sporadico. L’età di esordio è molto simile a quello sporadico, e, alcune varianti genetiche in LRRK2 relativamente comuni nella popolazione agiscono da fattori di rischio. LRRK2 rappresenta quindi un trait d’union tra malattia genetica e sporadica. In laboratorio possiamo quindi generare dei modelli cellulari o animali in cui manipoliamo questo gene inserendo, ad esempio, le mutazioni patologiche e andando a vedere con dei saggi opportuni le funzioni cellulari a vari livelli (molecole, sinapsi, neuroni). Inoltre la proteina LRRK2 contiene due moduli interessanti dal punto di vista della terapia a target molecolare (si tratta di un modulo chinasico e di uno GTPasico) che svolgono funzioni importantissime nei processi di comunicazione intracellulare. Questi moduli, in particolare quello chinasico, sono intensamente studiati anche in altre patologie e sono disponibili tecnologie all’avanguardia per progettare farmaci che modifichino la loro attività. Ecco perché le case farmaceutiche stanno dimostrando un elevato interesse nei confronti di questa molecola. 

Con questi modelli sperimentali, le nostre ricerche degli ultimi anni ci hanno permesso di identificare nuovi processi intracellulari che appaiono sregolati in presenza di mutazioni patologiche, disfunzioni a livello delle connessioni sinaptiche e modificazioni che si riflettono in difetti nella formazione dei processi neuronali. Abbiamo anche raccolto dei dati interessanti su una funzione non-neuronale di LRRK2, cioè in una popolazione di cellule di supporto ai neuroni denominata microglia. La microglia rappresenta il sistema immunitario innato che difende il cervello da patogeni e materiale potenzialmente tossico rilasciato dai neuroni che degenerano. Se un’attività fisiologica della microglia è fondamentale per mantenere un ambiente cerebrale intatto e funzionante, la sua iper-attivazione può causare danno neuronale instaurando un circolo vizioso. Le nostre ricerche ci suggeriscono che l’attività di LRRK2 stimoli i processi infiammatori nella microglia attivati da forme patologiche della proteina alfa-sinucleina. Questo porterebbe all’instaurarsi di un circolo vizioso che potrebbe ulteriormente contribuire al processo di neurodegenerazione.

Prima di poter dire se l’attività della proteina che studiamo sia un target terapeutico valido dobbiamo rispondere ancora ad alcune domande fondamentali. Quali sono le funzioni cellulari della proteina che portano allo sviluppo della malattia? E in che modo le sue mutazioni causano il Parkinson? Da qui riparte il nostro lavoro.

Elisa Greggio

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