CULTURA

I 30 anni di Blob in televisione

Mi ricordo, mi ricordo tutto. Con questo slogan Blob, l’inserto televisivo di prima serata, celebra i suoi trenta anni. Un record, o quasi. E vale allora la pena di chiedersi rapidamente le ragioni di questa lunga presenza. Si tratta, prima di tutto, di una antologia accelerata, di quello che si è visto o si sarebbe potuto vedere; con tempi brevi, quindi anche con possibili effetti deformanti; e questa antologia si è andata depositando, una sorta di  memoria per tracce, flash, spunti. Mi ricordo tutto, appunto. Non escludo che uno storico futuro, del costume ma forse non solo, vada a cercare pezze di appoggio in queste increspature visive.

Si tratta solo di movimenti di superficie, con sedimentazioni di vecchia goliardia? Non credo, o solo in parte. Perché questa antologia mette in moto antichi artifici dell’ironia e della comicità. Ognuno di noi ha sperimentato, o può farlo con facilità, l’effetto che produce l’estrapolazione, cioè il tirar fuori parole o immagini da un contesto e inserirle in un altro; spesso si crea dissonanza, o si rovescia un senso. Lo abbiamo fatto tutti a scuola, soprattutto con i testi “sacri” che ci venivano imposti.

 Blob in questa direzione è un florilegio del fuori testo. Per altro verso la ripetizione, in una stessa puntata o in più capitoli, crea sovrabbondanza o eccesso, e mette in risalto il vuoto che sta dietro. Comparire in Blob può essere una gratificazione (vuol dire che conto…) ma anche un rischio, perché dietro c’è lo slittamento verso la caricatura. 

Ma c’è di più. Perché questa apologia del montaggio richiama, almeno in parte, un principio generale e un  precedente storico. Il principio riguarda la nostra propensione al racconto: se vediamo due immagini o gruppi di immagini di seguito siamo portati a pensare che una sia causa dell’altra, che si stabilisca quindi una sorta di corrente di trasmissione. Siamo insomma tentati di costruire una piccola narrazione, in questo caso straniante per accostamenti improbabili o forzati. E anche il sonoro può giocare la sua parte. Mettete assieme uno dei tanti appelli retorici in politichese con la canzone di Mina che canta “parole parole” e il gioco è fatto.

Ma, si diceva c’è un precedente che ci induce a una domanda. Gli artisti dell’avanguardia, quella storica in particolare degli anni venti, hanno fatto del collage, dell’accostamento cioè fortuito e casuale di parole e immagini, un’arma espressiva forte. Erano sperimentazioni e proposte efficaci, ma per un pubblico necessariamente limitato. Adesso Blob ne ha fatto una bandiera, con alto indice di ascolto. L’avanguardia è diventata uno spettacolo di massa. Apertura o perdita di incisività?

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