SCIENZA E RICERCA

Accordo Onu sull'alto mare: la rotta è quella giusta

Il 4 marzo 2023, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno stipulato il primo trattato internazionale sull’alto mare per la protezione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina delle acque internazionali. Ma cosa si intende per “alto mare”? L'alto mare si estende oltre le acque costiere su cui gli Stati esercitano la loro sovranità o giurisdizione (acque territoriali). In particolare, è la porzione di mare che si estende al di là delle 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa. L’alto mare è molto vasto e copre più del 70% della superficie totale del pianeta. Qui le attività umane e la protezione dell’ambiente marino sono stati principalmente regolamentati dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), in vigore da quasi 30 anni (1994). È quindi ovvio che il trattato, il cui testo è disponibile ancora in forma di bozza, sia stato definito da molti come un accordo storico per la politica ambientale globale e la cooperazione internazionale in alto mare. L’obiettivo principale è la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina in alto mare nel lungo termine.

L’accordo tiene conto del principio secondo cui l’ambiente marino costituisce patrimonio comune dell’umanità e pone l’accento su una cooperazione inclusiva tra Stati che garantisca un accesso equo alle risorse, alla ricerca e ai benefici derivanti dalle scoperte scientifiche. Quattro le tematiche principali: le risorse genetiche marine, l’adozione di strumenti di gestione e conservazione marina, comprese le aree marine protette, l’introduzione di un quadro di riferimento per la valutazione dell'impatto ambientale e il trasferimento e lo sviluppo delle capacità scientifiche e tecnologiche, soprattutto a supporto degli Stati in via di sviluppo. Viene istituita inoltre la creazione di due comitati, uno tecnico e uno scientifico, preposti alla supervisione della normativa e alla regolamentazione delle attività intraprese in base a questo accordo. Il trattato, infatti, richiede una revisione regolare delle attività sulla base delle più recenti evidenze scientifiche. Elementi chiave sono quindi la libertà, la trasparenza e la responsabilità della ricerca scientifica, che a sua volta non può prescindere dalla collaborazione internazionale e dalla condivisione delle conoscenze.

L’accordo rappresenta indubbiamente un passo importante per la conservazione dell’ambiente marino su scala mondiale. Questo basta affinché la gestione dell’alto mare e delle sue risorse sia efficace? Se consideriamo il panorama legislativo globale, è impossibile non pensare a un altro recente accordo internazionale, il Global Biodiversity Framework, che ha fissato l’ambizioso obiettivo di proteggere il 30% della superficie globale dell’oceano entro il 2030. Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto facilmente qualora venissero istituite vaste aree marine protette in alto mare. Tuttavia, se la ‘quantità’ di superficie protetta non fosse proporzionata alla ‘qualità’ della protezione non si tratterebbe di un obiettivo raggiunto con successo.

I benefici ecologici derivanti dalla protezione marina dipendono dall’efficacia con cui vengono applicate una serie di misure volte a far rispettare le norme. Queste misure includono il monitoraggio e il controllo delle attività umane che possono danneggiare l'ambiente marino e le sue risorse, la sorveglianza e l'applicazione delle sanzioni. Tuttavia, controllare le attività umane, incluse le attività illegali, che avvengono in zone estese e remote è molto complesso: l’elevata distanza dalla costa comporta costi proibitivi in termini di logistica e le operazioni di sorveglianza possono richiedere l'utilizzo di navi, aerei e altri mezzi di trasporto specializzati. Le attività di controllo in alto mare possono prevedere l’utilizzo di tecnologie avanzate, come satelliti e droni, che richiedono un'infrastruttura adeguata per essere utilizzate.

Le convenzioni e gli accordi internazionali che regolamentano le attività che avvengono in alto mare sono un prerequisito fondamentale per la protezione marina, ma il rispetto di questi accordi dipende dalla effettiva cooperazione tra Stati e dalle risorse economiche disponibili per l'attuazione di questi regolamenti. La rotta è quella giusta, non ci resta che mantenerla.


Per approfondire

Large marine protected areas – advantages and challenges of going big

Viewpoint – Is the race for remote, very large marine protected areas (VLMPAs) taking us down the wrong track?

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012