SCIENZA E RICERCA

Allerta meteo: previsione del rischio e gestione delle emergenze

La Regione Piemonte ha chiesto lo stato di emergenza per la provincia di Alessandria e la stessa richiesta ha presentato la Liguria per la valle Stura. Nei giorni scorsi nel basso alessandrino in poco più di 24 ore sono scesi circa 540 millimetri di pioggia. Un centinaio di persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni. Pur rimanendo critica la situazione in queste zone, la perturbazione si sta spostando verso sud con allerta rossa in Sicilia per oggi, venerdì 25 ottobre. I forti temporali hanno provocato frane e allagamenti e anche per le prossime ore non sono escluse ulteriori criticità idrogeologiche e idrauliche.

L’Italia è un Paese “fragile” e per rendersene conto basta scorrere i dati di una recente indagine condotta dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Secondo il rapporto, nel 2017 era a rischio il 91% dei comuni italiani, rispetto a un 88% nel 2015, e oltre tre milioni di famiglie abitavano in queste aree ad alta vulnerabilità. La superficie potenzialmente soggetta a frane è aumentata del 2,9% rispetto al 2015 e quella allagabile nello scenario medio del 4%. Il 16,6% del territorio nazionale è mappato nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni, per un totale di 50.000 chilometri quadrati. Oltre 550.000 edifici (quasi il 4%) si trova in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata e oltre un milione (più del 9%) in zone alluvionabili nello scenario medio. A ciò si aggiunga, per completare il quadro, che oltre sette milioni di persone risiede nei territori vulnerabili e la popolazione maggiormente a rischio, secondo i dati Ispra, in Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Lombardia, Veneto e Liguria.

Giuseppe Maschio parla di previsione del rischio e gestione delle emergenze, con particolare riferimento al sistema IT-alert della Protezione civile. Riprese e montaggio di Anna Bellettato

“In questi giorni – sottolinea Giuseppe Maschio della Commissione nazionale grandi rischi – stiamo assistendo a gravi fenomeni legati a una grossa perturbazione che ha colpito le regioni della Liguria e del basso Piemonte. Sicuramente ci troviamo di fronte a un evento di importanza notevole che per certi aspetti ricorda la tempesta Vaia di un anno fa in Veneto”. Naturalmente con le dovute differenze, dato che morfologicamente la Liguria e la parte entrante del Piemonte hanno conformazioni diverse rispetto al Veneto. “In Liguria pochi chilometri separano la costa dalle montagne, che possono anche superare i 1000 metri. Questa regione, a differenza del Veneto, si caratterizza inoltre per una conformazione soprattutto a carattere torrentizio: ci sono piccoli e medi torrenti, come il Bisagno che attraversa Genova, con un alveo abbastanza stretto che raccoglie da impluvi molto ripidi, responsabili di una forte accelerazione delle acque”.

Simonetta Cola, docente di geotecnica all’università di Padova, va alle origini del problema. “Il nostro territorio è sempre stato soggetto a questi fenomeni, perché è un territorio giovane, con zone che presentano pendenze elevate, colline con scarpate e versanti anche molto attivi in certe situazioni. A ciò si aggiunga un insediamento umano talora abbastanza spinto: nel tempo sono stati modificati i versanti, create strade, costruiti alvei in spazi limitati. Probabilmente determinati eventi avrebbero comunque luogo, il problema sta nel fatto che impattano su un territorio di questo tipo e dunque le perdite sono maggiori”. Proprio per tale ragione, sottolineava qualche tempo fa Andrea Rinaldo, professore di costruzioni idrauliche all’università di Padova, è necessario imporre vincoli stringenti per la pianificazione territoriale e urbanistica, arrivando anche a demolire quando le mappe di esondazione suggeriscono l’inedificabilità. Serve dare corso a un processo di rilettura dei piani regolatori delle città italiane che richiederà molto tempo per essere portato a termine.

Le evidenze negli ultimi 15 anni, continua Simonetta Cola, dimostrano che sono aumentati gli eventi più intensi e questo aggrava la situazione, perché l’acqua è talmente tanta che non riesce a entrare nel terreno. Anni fa era necessaria una pioggia molto lunga e diluita nel tempo per determinare una frana: l’acqua entrava in profondità, imbibiva il terreno e in alcuni casi poteva provocare il fenomeno franoso. Ora invece le precipitazioni sono così intense che parte della pioggia ruscella lungo il terreno, generando erosioni localizzate. A ciò si aggiunga che, se non entra nel terreno, l’acqua giunge più velocemente ai fiumi con fenomeni di piena più rapidi. “In questa situazione è giusto che le amministrazioni siano chiamate a intervenire, ma anche i cittadini dovrebbero collaborare per una buona gestione del territorio”.

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