SCIENZA E RICERCA

L'Australia brucia: preoccupanti le prime stime sulle specie colpite

In Australia è cominciata la conta dei danni alla biodiversità. In questi mesi terribili, nel sud-est dell’Australia sono andati in fumo oltre 10 milioni di ettari (più altri sette nel Northern Territory), comprese grosse fette di parchi nazionali e aree naturali protette che ospitano ecosistemi unici e alcune tra le specie animali e vegetali più rare del pianeta. Ed è per questo che il dipartimento dell’Ambiente del governo australiano ha stilato un elenco preliminare delle specie più colpite dagli incendi e già catalogate come a rischio di estinzione nell’Environment Protection and Biodiversity Conservation Act del 1999, ovvero la legge australiana sulla protezione dell’ambiente e la conservazione della biodiversità. I risultati – com’era prevedibile – non sono incoraggianti: c’è chi ha perso più del 50% del suo areale e chi addirittura più dell’80%. E no, koala e canguri almeno per adesso non c’entrano nulla.

Prima di snocciolare un po’ di dati, però, dobbiamo fare qualche considerazione. Innanzitutto il report redatto dal governo australiano non si basa sul numero effettivo di piante e animali morti negli incendi. È impossibile infatti avere delle stime numeriche dettagliate per ogni specie. Perciò il documento riporta per ogni specie la percentuale di areale che si stima sia andato distrutto dal passaggio del fuoco. Un dato molto importante per orientare gli sforzi di conservazione e per capire anche le possibilità di successo.

Inoltre questa stima preliminare si focalizza solo su quella parte di biodiversità classificata come a rischio di estinzione già prima degli incendi. Questo significa che sono state automaticamente escluse tutte quelle specie che invece potrebbero essere state spinte verso il baratro dell’estinzione proprio per via dei recenti avvenimenti. Infine, il rapporto tiene conto solo delle specie classificate come “vulnerabili”, “in pericolo” e “in pericolo critico” dalla legge del 1999. In buona parte queste specie corrispondono a quelle inserite nelle Red List dell’IUCN, l’Unione internazionale per la conservazione della natura. Ma in alcuni casi non è così: l’Environment Protection and Biodiversity Conservation Act, infatti, annovera nelle liste più specie e sottospecie di quante ne faccia ufficialmente l’IUCN per l’Australia. Questa coincidenza imperfetta tra le due catalogazioni è dovuta in parte ai tempi di aggiornamento delle liste IUCN e in parte al fatto che alcune delle specie citate nel report australiano sono state scoperte di recente o hanno subìto una revisione tassonomica: hanno quindi cambiato genere o sono state splittate, cioè divise in due specie diverse, di cui una valutata più a rischio.  

Fatte queste doverose premesse, fino a oggi gli incendi avrebbero colpito 186 specie “vulnerabili”, 110 “in pericolo” e 31 “in pericolo critico”. Stiamo parlando ovviamente di specie endemiche dell’Australia, che vivono solo lì, spesso in aree ristrettissime di qualche chilometro quadrato. Sono ben 272 piante, a cui si aggiungono 16 mammiferi, 14 rane, 9 uccelli, 7 rettili, 4 insetti, 4 pesci e un ragno, e quattro uccelli migratori per un totale di 331 specie

Tutte hanno perso almeno il 10% del loro areale, ma c’è chi ha subìto danni davvero gravi. Ben 49 specie, tra cui 8 “in pericolo critico”, hanno perso più dell’80% del loro areale e altre 65, di cui 29 “in pericolo”, ne hanno visto scomparire tra il 50 e l’80%. 

 

Scorrendo l’elenco, la prima cosa che salta all’occhio è che sono per lo più piante. E a parte i pini di Wollemi, nessuna di loro è mai stata citata dai media. Ci sono per esempio ben 15 specie di acacia e 18 di eucalipto, alberi eletti simbolo degli ambienti australiani perché “adattati agli incendi”. E in qualche modo, erroneamente, creduti immuni al fuoco

In generale il genere Eucalyptus comprende più di 700 specie, che presentano degli adattamenti al fuoco: hanno corteccia e foglie ricche di oli altamente infiammabili, prendono fuoco facilmente. Potremmo dire quasi appositamente: il fuoco serve agli eucalipti per liberare i semi dalle wooden pods, dei gusci resistenti in cui sono custoditi. E una volta passato l’incendio, in pochi giorni, si schiudono le gemme dormienti sotto la corteccia “a sfoglia” e in poche settimane l’albero è di nuovo ricoperto di foglie verdi. Ma tutto questo non basta per definirli “immuni". Le specie resistenti al fuoco, dette pirofite, in realtà si sono «adattate a precisi regimi di incendi», come spiega il botanico Renato Bruni nel suo Mirabilia(Codice Edizioni). Cioè «a un’esatta combinazione tra tipologia di fiamme (di chioma o a terra), temperature sviluppate (150-200 °C di una savana che brucia per pochi minuti o 300-400 C° di un incendio boschivo persistente) e soprattutto frequenza (un incendio ogni due, tre anni o uno ogni cinquanta). Quando una sola di queste variabili cambia, il fuoco non è più un evento a cui poter resistere, ma diventa catastrofico per gli habitat come lo è per noi umani».

Tra gli eucalipti australiani ad aver perso l’80% del suo areale c’è, per esempio, l’Eucalyptus imlayensis, già catalogato come “in pericolo critico”. L’unica popolazione esistente, infatti, è costituita dai cloni di cinque individui diversi che vivono tutti solo sulla cima del monte Imlay, vicino Eden. E se questa stagione non è stata fatale, potrebbe esserlo la prossima.

Tra le piante già classificate come “in pericolo critico” che hanno perso l’80% del loro areale ce ne sono poi altre 46. Come la nightcap oak, (Eidothea hardeniana) una pianta scoperta dal botanico Robert Kooyman solo nel 2000 e di cui prima degli incendi si conoscevano circa 100 esemplari, distribuiti sulle montagne del Nightcap Range, nel nord del Nuovo Galles del Sud. O ancora diverse specie di genziana, come quella di Bredbo (Gentiana bredboensis), di cui si contavano meno di 200 esemplari tra i pascoli privati nei dintorni della città di Bredbo, a sud di Canberra. Leguminose come la Latrobea colophona e tre orchidee scoperte tra il 2000 e il 2007 dal botanico David Jones nel Nuovo Galles del Sud: l’orchidea di Kelton (Prasophyllum keltonii), quella di Brandy Mary (Prasophyllum innubum) e quella di Bago (Prasophyllum bagoense). Della prima erano noti circa 400 individui nella McPhersons Plain, nel Nuovo Galles del Sud; la seconda sopravviveva con sette nuclei nella Bago State Forest con altri 400 individui e della terza fiorivano tra le 20 e le 80 piante a stagione sempre nella Bago State Forest. Oggi non sappiamo più con certezza quante ne rimangano.

Invece gli unici due animali che hanno perso più dell’80% del loro areale sono il ragno-botola pigmeo Bertmainius colonus della famiglia Migidae, catalogato come “vulnerabile” e l’ormai tristemente famoso dunnart di Kangaroo Island (Sminthopsis aitkeni), classificato dall’IUCN come “in pericolo critico”. Potrebbe essere proprio questo piccolo marsupiale, simile a un topolino, la prima specie dichiarata estinta dopo gli incendi. Circa un terzo di Kangaroo Island infatti è andata bruciata, compreso tutto l’areale dell’endemico dunnart: una piccola porzione del Flinders Chase National Park, nella parte occidentale dell’isola. Prima degli incendi, qui vivevano meno di 500 individui, forse 300, monitorati con delle fototrappole, bruciate anche loro. Oggi l’unica speranza è trovare qualche dunnart miracolosamente scampato alle fiamme, magari rifugiatosi in qualche tana profonda, prima che muoia di fame in quella che era una foresta e che oggi è una distesa di cenere.

Purtroppo l’elenco non è finito qui, ma vale la pena citare ancora qualche caso emblematico. Tra coloro che hanno visto ridursi il loro areale tra il 50 e l’80% a seguito degli incendi ci sono il potoroo dai piedi lunghi (Potorous longipes), un marsupiale insettivoro classificato come “in pericolo” dall’IUCN e inserito nella lista dei 100 mammiferi più a rischio di estinzione. Prima degli incendi, se ne contavano meno di 3000 individui distribuiti tra il Nuovo Galles del Sud e lo stato di Victoria, minacciati per lo più dalla deforestazione e da specie aliene invasive. Sempre nel Nuovo Galles del Sud, in questa parte dell’elenco finiscono anche la rana balbuziente (Mixophyes balbus) considerata dall’IUCN “vulnerabile” e lo scinco endemico delle Blue Mountains (Eulamprus leuraensis): un piccolo rettile nerastro con macchioline gialle, già da tempo classificato come “in pericolo” dall’IUCN, Di questa specie sono note solo due popolazioni, quella del Newnes Plateau e quella a sud di Hazelbrook, intorno ai intorno ai mille metri di quota nell’area delle Greater Blue Mountains: sito eletto patrimonio Unesco dell’umanità e il cui territorio è andato in fiamme per l’80%.

Infine tra gli animali che hanno perso tra il 50 e l’80% del loro areale ci sono due sottospecie endemiche di Kangaroo Island, percorsa dalle fiamme per un terzo della sua estensione: ben 170.000 ettari. E sono la sottospecie di echidna Tachyglossus aculeatus multiaculeatus e quella di catatua nero lucente Calyptorhynchus lathami halmaturinus, entrambe già considerate “in pericolo”. Prima degli incendi la popolazione di cacatua nero lucente stava recuperando: nel 2000 contava appena 140 individui e, grazie a un intenso programma di conservazione, nel 2019 era arrivata a contare circa 370 individui. Ma gli incendi potrebbero aver compromesso di nuovo seriamente la sua sopravvivenza, spazzando via gli alberi che producono i semi di cui si nutre.

Hanno perso tra il 30 e il 50% del loro areale, tra gli altri, la tartaruga del fiume Bellinger (Myuchelys georgesi), che ha cambiato ben tre generi, classificata come “in pericolo critico”; l’orchidea lingua blu (Pterostylis oreophila) considerata “in pericolo critico” e la leguminosa Daviesia glossosema, meglio conosciuta come “pisello amaro”, classificata “in pericolo”.

Ad aver perso tra il 10 e il 30% del loro areale sono invece la sottospecie di quoll tigre diffusa tra Queensland Meridionale e Tasmania (Dasyurus maculatus maculatus), già classificata come “in pericolo”; il parrocchetto di Latham (Lathamus discolor), già considerato dall’IUCN “in pericolo critico”; e la rana tinker Kroombit Taudactylus pleione già inserita nelle Red List come “in pericolo critico”. 

Infine, c’è un altro caso degno di nota: i famosi pini di Wollemi (Wollemia nobilis), conifere parenti delle più note Araucarie, con la caratteristica corteccia scura e rugosa come fosse ricoperta di Coco Pops, a detta del giornalista scientifico James Woodford. Loro sono finiti nell’elenco delle specie che potrebbero aver perso tra il 50 e l’80% del loro areale, ma fortunatamente sappiamo che non è così. L’unica popolazione esistente – che conta un centinaio scarso di esemplari – si trova in un canyon dell’omonimo Wollemi National Park, nella regione delle Blue Mountains. Catalogati dall’IUCN come “in pericolo critico”, i pini sono stati lambiti dalle fiamme e sono stati salvati dai vigili del fuoco australiani con un intervento durato giorni, testimoniato da un’unica impressionante fotografia dall’alto. 

L’esempio dei pini di Wollemi esemplifica bene quanto sia ancora precaria la stima. Ma come ribadisce il dipartimento dell’ambiente australiano: "Questi risultati iniziali sono solo indicativi e rappresentano il primo passo per comprendere i potenziali impatti degli incendi boschivi" di questa stagione. Anche se non riempiono più le prime pagine dei quotidiani italiani, bushfires continuano a preoccupare il sud-est dell’Australia. Ci sono almeno 60 incendi attivi, mentre un nuovo focolaio ha appena divorato 18.000 ettari nella Orroral Valley e si è presentato alle porte di Canberra. Perciò «la mappatura della loro estensione continuerà ad essere aggiornata». Vale a dire che il bilancio è destinato ad aggravarsi, a includere nuove specie prima non comprese, e magari a cassare miracolosamente qualcuna. Nella “partita di scacchi” che si gioca sul ciglio del baratro dell’estinzione, strumenti come questo sono gli unici di cui possiamo dotarci per gestire l’emergenza post-incendi e delineare i prossimi passi per provare a garantire un futuro alla biodiversità colpita. Dobbiamo misurarci con l’incertezza.

 

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