CULTURA

Cinema: il processo a Lula e il Brasile spaccato

È difficile immaginare un paese più distante del Brasile dalla sua immagine da cartolina. Perché, fuori da coreografie carnevalesche, è la quintessenza di dinamiche tipicamente latinoamericane, moltiplicate in ragione della sua vastità: l’intreccio di etnie, le enormi disparità economiche, la divisione sociale. Ce lo ha spiegato bene qualche anno fa Petra Costa, autrice del documentario Democrazia al limite (nella cinquina per l’Oscar), che rievocava i contrasti politici all’interno della sua famiglia nel contesto delle lacerazioni e dei colpi di mano storicamente vissuti dal Brasile. Una successione di scosse, periodi di quiete e nuove fibrillazioni che ha registrato un nuovo spasmo lo scorso 30 ottobre, quando l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, riabilitato dopo un periodo di detenzione, ha conquistato un nuovo mandato presidenziale vincendo d’un soffio contro l’uscente Jair Bolsonaro: una differenza di due milioni di voti su un totale di oltre 118, l’ennesimo segnale di una società pronta a polarizzarsi in base a parole d’ordine, emozioni, spettri del passato che, al di là dell’appartenenza di fazione, strumentalizzano grandi fasce di popolazione con suggestioni facili e violente.

Petra Costa si concentrava sul terremoto della prima fase di Lava Jato (autolavaggio), l’indagine giudiziaria che aveva fatto emergere un vasto quadro di corruzione politico-affaristica portando all’incriminazione e alla decadenza della presidente Dilma Rousseff, l’arresto di Lula e l’elezione di Bolsonaro. L’ideale seguito viene da un nuovo documentario, Secret Friend (L’amico segreto) di Maria Augusta Ramos, coproduzione brasiliano-franco-tedesco-olandese che racconta il seguito dell’inchiesta giudiziaria, e in particolare l’impresa di un gruppo di giornalisti, la redazione brasiliana di The Intercept, che riescono a svelare gli abusi commessi dagli inquirenti nel perseguire il vero obiettivo politico dell’indagine, l’incriminazione di Lula e la sua uscita di scena politica. Come per Democrazia al limite, anche qui la scelta di campo è dichiarata: il bersaglio è il meccanismo politico-giudiziario-plebiscitario che frutta a un gruppo di magistrati, spinti da un’iniziale desiderio di far pulizia, a una popolarità immensa, facendoli sentire legittimati a veri e propri illeciti pur di sostenere l’impianto accusatorio. È un dilemma che in Italia abbiamo conosciuto bene: una domanda collettiva di giustizia, dalle ottime intenzioni di partenza, che porta al rischio di falcidiare un’intera classe dirigente, e il sistema economico che governa, con mezzi spicci e privi di garanzie, rischiando di incrinare, oltre alla reputazione di alcuni innocenti, i fondamenti costituzionali. Terreno insidioso: perché se nel Brasile contemporaneo (come nell’Italia di Mani Pulite) è innegabile che la corruzione sia ampia e diffusa, un autodafé sospinto dalla rabbia del popolo (e, ammettono gli stessi cronisti, dalla passività della stampa brasiliana nel non verificare le notizie della Procura) può portare in un lampo a un nuovo autoritarismo.

Secret Friend si apre con l’interrogatorio di Lula da parte di Sergio Moro, il giudice-star simbolo di Lava Jato. La vaghezza inquisitoria di certe domande (“Non si sente responsabile per aver nominato dei corrotti?”) spiega bene l’assunto di fondo, il labile confine tra azione giudiziaria e finalità politica. L’inadeguatezza di Moro al suo ruolo sarebbe lampante, in una democrazia sana, già alla luce della sua scelta successiva: con Lula in carcere e Bolsonaro nuovo presidente, il giudice in un lampo salta al di là della barricata, diventando il ministro della Giustizia del neoeletto rivale di Lula. Ma la concezione “elastica” della giustizia da parte di Moro viene ben palesata dai giornalisti di The Intercept. “Amigo Secreto” è il nome di una chat riservata, intercettata dai cronisti, con cui Moro si consulta regolarmente con i pubblici accusatori, guidati dal procuratore Dallagnol, sulle strategie dell’inchiesta su Lula, con il coinvolgimento di giudici della Corte Suprema. Una rivelazione che manda in polvere l’immagine di Moro come moralizzatore integerrimo, e insieme ne distrugge le ambizioni politiche (coltivate anche dopo l’addio al governo Bolsonaro per contrasti con il presidente).

Se Moro è il protagonista e l’antieroe, Lula emerge come il combattente calunniato e vittorioso. Difficile chiedere a Secret Friend una maggiore equanimità nel valutare gli errori di Lula, incapace di preservare il declino del suo partito operaista in forza politica di sistema ben addentro ai meccanismi corruttivi. Maria Augusta Ramos, già impegnata ad analizzare i meccanismi della giustizia brasiliana nei precedenti Justice e The Trial, si concentra sul carisma inaudito di questo guerriero della politica, capace di passare in cinque anni dalla morte della moglie alla condanna, dal carcere (Lula rimarrà detenuto per 580 giorni) alla liberazione, dalla riabilitazione politica al nuovo matrimonio e alla vittoria, all’età di 77 anni.

In un Paese che, con Bolsonaro, rischia seriamente il ritorno della dittatura militare e la catastrofe ecologico-sanitaria (scorrono immagini dei roghi in Amazzonia e della tragica gestione del Covid), la tesi dell’autrice è che con Lula si scampi il pericolo più grande, la fine del patto costituzionale che garantisce, a destra come a sinistra, l’inviolabilità dei diritti umani (una tema che in Brasile brucia ben più che da noi). Certo non si rimane indifferenti alla sequenza in cui Bolsonaro, durante il Consiglio del Ministri, indottrina il suo team sulla necessità di armare l’intera popolazione, perché “una popolazione armata non sarà mai ridotta in schiavitù”. Così come fa impressione la grande manifestazione che indice davanti alla Corte Suprema, con dispiego di mezzi militari e discorsi incendiari, nel momento in cui la Corte prende atto degli abusi di Moro e dei vizi nel procedimento contro Lula.

Pericolo scampato? È presto per dirlo. Lula non è senza colpe, e il Brasile è ben lontano dall’essere pacificato. Ma se è vero quanto si afferma nei titoli di coda (sotto Bolsonaro il numero delle armi da fuoco registrate nel paese è aumentato di tre volte) vale la pena dare una chance al vecchio combattente. Cui spetta, dopo la lotta alla povertà, un compito se possibile più arduo: riunire il Brasile e spegnere l’odio.

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