SCIENZA E RICERCA

La conquista del vecchio mondo. Homo sapiens popolò l’Eurasia in più fasi

Se è vero che l’Africa è la culla dei sapiens, allora la colonizzazione del resto del mondo da parte della nostra specie dev’essere partita da lì. Eppure, non è ancora chiaro quando e come i primi homo sapiens si sparsero in Europa dove, tra l’altro, vivevano anche i Neanderthal, con i quali mescolarono sia i loro geni, sia le tradizioni culturali.

Stando alle evidenze archeologiche e paleografiche, oggi l’ipotesi più condivisa è che i sapiens abbiano cominciato a espandersi fuori dall’Africa tra i 60.000 e i 70.000 anni fa. Successivamente, la loro diffusione all’interno del territorio eurasiatico ha determinato la differenziazione della specie nelle macropopolazioni occidentali, euroasiatiche orientali e oceaniche. Purtroppo, però, non è ancora possibile conoscere con precisione queste dinamiche demografiche; per riuscire a ricostruirle è necessario analizzare i genomi tratti dai reperti fossili degli esseri umani che abitavano il pianeta decine di migliaia di anni fa.

In particolare, ci sono due ritrovamenti in Europa che costituiscono, almeno finora, le evidenze più antiche della presenza di Homo sapiens nel nostro continente. Nel sito di Zlatý kůň, nell’attuale Repubblica Ceca, sono stati rinvenuti i resti di una donna che visse più di 45.000 anni fa e che rappresenta il fossile di Homo sapiens più antico trovato finora in Europa. L’analisi del genoma ha dimostrato che la donna di Zlatý kůň faceva parte di una popolazione che viveva in quest’area prima che avvenisse la separazione che ha dato origine alle attuali macropopolazioni europee e asiatiche.

I resti di altri tre antichissimi sapiens sono stati ritrovati in Bulgaria, nella grotta di Bacho Kiro. Questi individui vissero intorno ai 45.000 anni fa, in un periodo successivo rispetto alla donna di Zlatý kůň. Sorprendentemente, il loro DNA presenta più somiglianze con quello degli odierni abitanti dell’Asia orientale che con le popolazioni dell’Eurasia occidentale.

Per cercare di svelare il mistero di Bacho Kiro, alcuni ricercatori delle università di Padova e di Bologna hanno cercato di ricostruire i movimenti delle popolazioni antiche fuori dall’Africa confrontando i risultati delle analisi dei loro genomi con le evidenze di cultura materiale risalenti al periodo compreso tra i 50.000 e i 35.000 anni fa.

Gli autori ipotizzano l’esistenza di una popolazione di Homo sapiens che viveva in Europa più di 45mila anni fa. Secondo la loro ricostruzione, per circa 15.000 anni dopo l’emigrazione dal continente africano, i sapiens vissero in un’area (di cui non si conosce ancora l’esatta collocazione) in Europa senza effettuare grandi spostamenti. Successivamente, la colonizzazione delle diverse zone del vecchio continente da parte dei sapiens è partita proprio da questo hub di popolazione e si è svolta in più fasi, sebbene non tutte abbiano lasciato un’impronta nel corredo genetico degli attuali abitanti di Europa e Asia. Inoltre, le dinamiche demografiche ricostruite dagli autori spiegano il motivo per cui i resti rinvenuti nella grotta di Bacho Kiro presentano un DNA simile a quello delle popolazioni asiatiche moderne.

Leonardo Vallini, dottorando al dipartimento di biologia, è il primo autore di questo lavoro che è stato coordinato da Luca Pagani, professore di antropologia molecolare nello stesso ateneo.

L’intervista completa a Leonardo Vallini e Luca Pagani. Montaggio di Barbara Paknazar

“Sappiamo che Homo sapiens uscì dall'Africa tra i 70.000 e 60.000 anni fa”, racconta Vallini. “Eppure, tra questo momento e l’inizio della colonizzazione più estesa dell’Europa e dell’Asia, c’è un “buco temporale” in cui non è ancora chiaro cosa sia accaduto. Lavori precedenti che hanno analizzato i dati genomici tratti dai reperti archeologici hanno infatti dimostrato che la separazione fra la popolazione che si è insediata in Asia e quella che si è spinta in Europa avvenne circa 45.000 anni fa.

Per questo motivo, volevamo scoprire cosa fosse accaduto in questo intervallo temporale di 15.000 anni iniziando a ragionare su quali potessero essere le dinamiche demografiche di questo hub di popolazione che visse fuori dall’Africa per molto tempo prima di separarsi e andare a popolare l'Eurasia.

Infatti, si potrebbe immaginare che questi sapiens iniziarono a espandersi secondo un semplice scenario di divergenza “a Y”, in cui quelli che sarebbero diventati asiatici si diressero da una parte, e quelli che sarebbero diventati europei si recarono dall’altra. In realtà, alcuni studi usciti l’anno scorso hanno dimostrato le cose non sono andate esattamente così e che un modello di espansione così semplificato non era sufficiente a spiegare il fatto che i resti degli individui rinvenuti nella grotta di Bacho Kiro, in Bulgaria, fossero geneticamente più simili ai moderni est-asiatici rispetto ai moderni europei. Le dinamiche di espansione dei sapiens in Eurasia, perciò, devono essere più complesse di quanto crediamo”.

Un percorso a più tappe

Gli autori dello studio si sono quindi chiesti se fosse possibile individuare altri possibili scenari che potessero spiegare le inaspettate evidenze genetiche tratte dallo studio dei resti di Bacho Kiro. “Ci siamo resi conto che potevamo descrivere l’antica diversità genetica che era presente intorno ai 45.000 anni fa in Eurasia come il risultato di una prima ondata di espansione da parte di persone geneticamente affini agli est-asiatici di oggi, di cui facevano parte anche i sapiens di Bacho Kiro”, spiega Pagani. “Successivamente, circa 38.000 anni fa, c’è stata una seconda ondata di colonizzazione, iniziata anch’essa dallo stesso hub popolazionistico in Europa, da parte di persone geneticamente più affini agli europei di oggi. Sulla base delle evidenze genetiche, abbiamo quindi scartato il modello di espansione a Y, caratterizzato da un’origine comune seguita da una separazione est-ovest, in favore di un modello che prevede almeno due ondate asincrone”.

“Allargando la nostra lente di ingrandimento, possiamo concludere infatti che gli asiatici moderni sono i discendenti della prima ondata di espansione che si è insediata in un’area compresa tra l’Asia dell’est e la Bulgaria”, continua Vallini. “Non si trovano invece tracce di DNA appartenente a questa popolazione negli europei moderni perché i membri di questa prima ondata di espansione che sono arrivati in Europa, al contrario di quelli che hanno raggiunto l’Asia, si sono estinti in larga parte circa 40.000 anni fa. Sono stati rimpiazzati dai membri della successiva ondata di espansione che ha interessato solo la parte occidentale dell’Eurasia, ricolonizzando l’Europa”.

Lo scenario delineato da Pagani e coautori prevede anche una sorta di “ondata zero” che ha preceduto le due migrazioni di massa appena descritte e che ha avuto origine anch’essa dall’hub di popolazione in questione. La donna di Zlatý kůň è l’unico individuo ritrovato finora che testimonia l’avvenimento di questa “ondata zero”, la cui estensione geografica non è ancora nota e che non ha lasciato tracce nel patrimonio genetico degli europei e degli asiatici odierni.

Il ramificato modello di espansione descritto dagli autori è supportato anche dal ritrovamento di alcuni manufatti litici studiati da Giulia Marciani, Eugenio Bortolini e Stefano Benazzi del dipartimento di beni culturali dell’università di Bologna, che ha sede a Ravenna. “Ci siamo resi conto che le due ondate di espansione che contraddistinguono lo scenario che abbiamo costruito sono rispettivamente associate a due tipologie di macrocultura materiale che vengono classificate dagli archeologi come Paleolitico superiore iniziale (IUP) e Paleolitico superiore (UP)”, chiarisce Pagani. “Perciò, il fatto che le due ondate di espansione che abbiamo individuato dallo studio dei geni siano contestuali con dei fenomeni culturali ben distinguibili ci ha permesso di validare sia lo scenario genetico, sia quello culturale”.

L’incontro con i Neanderthal

Come sappiamo, nel corso della loro lunga storia, i sapiens si sono ibridati con i Neanderthal. Il lavoro di Vallini e colleghi conferma alcune delle attuali conoscenze riguardo le dinamiche di questo incontro e aggiunge nuovi dettagli che permettono di approfondire ancora meglio gli antichi movimenti di popolazione in Eurasia.

“L’ibridazione tra sapiens e Neanderthal è un evento noto da tempo per chi studia le popolazioni antiche e costituisce il pilastro delle nostre attuali conoscenze riguardo alla prima fase del popolamento dell’Eurasia da parte di Homo sapiens”, commenta Vallini. “Abbiamo infatti costruito i nostri modelli genetici basandoci anche su questi dati”. “Lo scenario che abbiamo delineato conferma che i sapiens che hanno preso parte alla prima ondata di colonizzazione dell'Europa hanno interagito con i Neanderthal che erano già presenti in loco”, continua Pagani. “Infatti, alcuni resti fossili, tra cui quelli ritrovati a Bacho Kiro, hanno mostrato una componente di DNA neandertaliano nel loro genoma più marcata rispetto a qualsiasi altro euroasiatico. La presenza di tracce neandertaliane rappresenta un potenziale “rumore di fondo”, perché può confondere i dati genetici. Per questo motivo è importante tenerne conto quando si studiano i genomi antichi. Ad esempio, un genoma molto famoso chiamato Oase1, appartenente a un individuo i cui resti sono stati ritrovati in una grotta in Romania e che aveva tra i suoi antenati un Neanderthal vissuto tra le quattro e le sei generazioni prima della sua morte, era sempre stato identificato come un membro di un'ondata estinta e quindi non connesso a nessun altro euroasiatico contemporaneo. Alla luce del nostro modello, Oase1 può essere considerato invece come un discendente molto neandertalizzato della prima delle due ondate che abbiamo identificato.

È quindi importante tenere in considerazione le componenti neandertaliane presenti nel DNA degli antichi sapiens per fare chiarezza su questi antichissimi fenomeni demografici e ricostruire tutte le possibili ondate che hanno portato al popolamento dell’Eurasia”. “È anche curioso notare che i discendenti dei sapiens che hanno partecipato all’ondata associata allo IUP si sono estinti circa 40.000 anni fa, nello stesso periodo in cui anche gli ultimi Neanderthal sembrano essere spariti dall’Europa”.

Il futuro della ricerca

Il lavoro di Vallini e colleghi dimostra che fare ricerca in un’ottica multidisciplinare, integrando i dati ottenuti dallo studio dei genomi antichi e dall’analisi della cultura materiale (con la possibile aggiunta in futuro, anche dei dati paleoclimatici) può produrre risultati insperati. “Ora che il nostro modello si è dimostrato valido per spiegare le dinamiche di popolamento dell’Eurasia, i prossimi studi cercheranno di individuare l’esatta collocazione geografica dell’hub di popolazione fuori dall’Africa che ha rappresentato una prima “tappa” della colonizzazione dell’Eurasia”, riflette Pagani. “Purtroppo, ancora non abbiamo una risposta a questa domanda”, spiega Vallini. “Possiamo immaginare che si trovasse in una zona compresa tra il Nord Africa, il Medio Oriente e il subcontinente indiano. È importante scoprire l’esatta collocazione di questo luogo dove i sapiens hanno abitato per almeno 15.000 anni, un periodo che corrisponde a circa un quarto del tempo che abbiamo trascorso fuori dall’Africa”.

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