318 contrari, 278 a favore, 31 astenuti per un totale di 627 votanti. In merito alla proposta di riforma della direttiva sul copyright, il Parlamento europeo a Strasburgo si è espresso contrario all'avvio dei negoziati tra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue, iter che avrebbe dovuto portare all'approvazione definitiva della riforma entro gennaio 2019. La direttiva tornerà a essere esaminata e votata a settembre, alla prossima sessione plenaria.
"Il vero risultato di questa votazione – afferma il portavoce di Wikimedia Italia Maurizio Codogno – è l’avere riconosciuto che il tema del copyright è così importante da meritare un esame attento da parte di tutto il Parlamento. Sono certo che la discussione nei prossimi mesi porterà a una direttiva che abbia davvero a cuore la tutela dei diritti di tutti, dai piccoli produttori indipendenti di contenuti ai grandi editori, e soprattutto permetta a chiunque di avere un accesso libero e legale all’informazione e alla conoscenza”
Nei giorni scorsi l'attenzione dei media si è concentrata soprattutto sull'articolo 11 e sull'articolo 13 della riforma, il primo sulla cosiddetta link tax, il secondo sul sistema di filtri e sul controllo dei contenuti che le aziende private avrebbero potuto adottare con l'approvazione della riforma. Ma oltre alla tutela del diritto d'autore, la riforma del copyright tocca altri diritti fondamentali, oggi più che mai nella società della conoscenza, come quello del libero accesso all'informazione.
La Commissinoe Juri del Parlamento europeo aveva ricevuto moltissime proposte di emendamento al testo della riforma provenienti da tante e diverse associazioni e istituzioni, anche accademiche. Tra queste vi era Aib (Associazione italiana biblioteche), della quale fa parte Antonella De Robbio, coordinatrice del gruppo di studio Aib su open access e pubblico dominio oltre che Ceo di E-Lis, il repository internazionale per le discipline Lis (Library and Information Science). Tutelare il diritto di accesso alle informazioni per la ricerca, la didattica e le biblioteche era l'obiettivo dell'emendamento, inviato a giugno di quest'anno; in quell'occasione era stata ottenuta una significativa modifica del testo della direttiva.
Già a gennaio 2017 l'Aib pubblicò uno statement e un documento di analisi e proposte. Sugli articoli 11 e 13 in particolare l'Aib ha avuto modo di rimarcare più volte le sue preoccupazioni, soprattutto per l'impatto che queste norme avrebbero potuto avere sull'open access, con una lettera ai parlamentari europei e un appello firmato insieme a moltissime associazioni europee e nazionali, inclusa la Crui, Conferenza dei rettori delle università italiane.
“L'articolo 11, che riguarda la cosiddetta link tax (che è un termine secondo me sbagliato), è una questione prettamente giornalistica” spiega Antonella De Robbio in questa intervista rilasciata a Il Bo Live. “L'articolo 13 riguarda invece lo user-generated content upload, cioè quello che gli utenti caricano nelle piattaforme. Questi due aspetti sono di grande importanza, ma non sono tutto quello che c'era nel testo della riforma. Su questi due articoli si giocavano le contrapposizioni, le lotte interne anche tra i partiti”.
Ad oggi il grosso della torta economica online viene dalla pubblicità; questi ricavi si reggono soprattutto sui contenuti prodotti da artisti, autori e giornalisti, ai quali invece rimangono spesso solo le briciole. L'obiettivo della riforma del copyright era quello di redistribuire i profitti tutelando maggiormente il diritto d'autore, ma le misure proposte secondo molti avrebbero rischiato di stravolgere internet, in quanto avrebbero impedito di condividere liberamente i contenuti.
“Tim Berners-Lee aveva definito sin dalla nascita del world wide web che il link deve essere libero. È vero che i grandi soggetti come Google e Facebook utilizzano il link (o snippet) per metterci la pubblicità, ma di fatto rendono anche un servizio. La questione è controversa, ma a mio avviso non è corretto mettere dei paletti alla libera condivisione dei contenuti. Tutelare gli autori va bene, ma bisogna tutelare anche il diritto di accesso all'informazione”.
Uno dei punti poco chiari della riforma infatti è l'effetto che si avrebbe avuto sulle organizzazioni di ricerca, che vengono definite in modo troppo vago all'articolo 2. “A farne le spese potrebbero essere le università, i soggetti privati, le piccole medie imprese che usano contenuti anche a scopo di ricerca e didattica”. L'articolo 3 invece parla di text and data mining: “il nostro ateneo ad esempio acquista moltissime banche dati e piattaforme editoriali. L'articolo 3 impedirebbe di riutilizzare quello che viene acquistato. Qui dovrebbe esserci per lo meno un'eccezione che garantisca la riproduzione e l'estrazione di dati dalle opere che si acquistano. Questa cosa la direttiva non la prevedeva. Un altro aspetto è che in questa riforma non abbiamo alcuna eccezione per la didattica”.
“ È come se l'Europa facesse una cosa con la mano destra senza sapere cosa sta facendo la mano sinistra Antonella De Robbio
Su questo tema l'Europa sembra poco coerente: “Si andrebbe anche contro quello che dal 2012 dice l'Europa in Horizon 2020”. Infatti da un lato l'Europa spinge per voler rendere aperti e accessibili a tutti i dati della ricerca e le pubblicazioni scientifiche, dall'altro sembra stia provando a impedirne la circolazione. “È come se l'Europa facesse una cosa con la mano destra senza sapere cosa sta facendo la mano sinistra”.
Un altro punto che sta particolarmente a cuore a Antonella De Robbio, trattato all'articolo 5 (“molto ambiguo”), è quello relativo alla conservazione digitale. "Da tempo il mondo delle biblioteche chiede di favorire la ricerca, la didattica e la costruzione di biblioteche digitali, ma i paletti posti a tutela di autori, o meglio a tutela degli interessi degli editori, hanno sempre ostacolato il libero accesso all'informazione che sarebbe invece utile per il progresso scientifico e tecnologico, utile al nostro Paese e alla cittadinanza tutta (cittadinanza digitale attiva e consapevole). Perché negli Stati Uniti si creano biblioteche digitali e in Europa no? Proprio perché abbiamo leggi molto restrittive. L'articolo 7 e 9 ad esempio parlano di opere fuori commercio, su cui gli editori hanno carpito i diritti: le tengono ferme per 20 anni e le biblioteche non le possono digitalizzare”.
Conclude Antonella De Robbio. “Così com'era la direttiva era confusa. C'è stato questo movimento contro l'articolo 11 e 13 che per fortuna l'ha fermata. A questo punto si spera che si potrà discutere con calma e serenità su tutti questi aspetti che riguardano la crescita delle biblioteche digitali, il rispetto della didattica e della ricerca, e della costruzione dei percorsi di diritto di accesso all'informazione, perché la cittadinanza ha diritto di accedere all'informazione. Blindare la rete non serve a niente.”.