
Una recente manifestazione per la giustizia climatica a Seul, Corea del Sud. Foto: Reuters
La giustizia climatica è il legame indissolubile tra i diritti umani e le questioni ambientali, un concetto cruciale che emerge in modo sistemico dalla situazione geopolitica attuale. Storie vicine e lontane ci permetteranno di affrontare le grandi crisi di oggi, dal clima alla guerra, dall’acqua all’economia come punti di partenza per una riflessione profonda su questo mondo che cambia, tra clima, biodiversità ed esigenze di una società sempre più consapevole che trovare un equilibrio diverso è non solo possibile, ma necessario.
Le molteplici crisi
In un’epoca scossa da molteplici crisi, incatenate in reazioni causa-effetto che si autoalimentano, anche il nostro modo di guardare il mondo tende a restare prigioniero di schemi narrativi obsoleti, che si reiterano e riconfermano, facendoci rimanere intrappolati in dinamiche disfunzionali. E dato che ciò che raccontiamo e il nostro modo di raccontarlo sono essi stessi costruttori di realtà, definire nuove narrative è fondamentale se vogliamo far fronte con efficacia agli stravolgimenti globali in atto. La crisi climatica ne è l’esempio per eccellenza: un fenomeno estremamente complesso, non prevedibile, che sfugge alle categorizzazioni socio-culturali e mette in discussione i sistemi di pensiero, stravolgendo le cornici archetipiche tradizionali. Un fenomeno fra l’altro in continua evoluzione, che alimenta ed è alimentato dagli squilibri geopolitici e dai modelli economici predominanti.
Un paradigma fondamentale
Nel contesto odierno, il concetto di giustizia climatica emerge come un paradigma fondamentale: affrontare la crisi climatica significa costruire pace, libertà ed equità per tutti e tutte. Come sottolinea anche il Global Justice Ecology Project, soluzioni efficaci possono essere solo quelle che coinvolgono le comunità e guardano al loro benessere, che assieme alla tutela della biodiversità e degli ecosistemi mettono al primo posto la lotta alla povertà e alla discriminazione, oltre a tenere conto del ruolo e dei saperi dei popoli indigeni. Il prezzo della riconversione ecologica e dei danni climatici già in essere deve essere pagato da chi è maggiormente responsabile del riscaldamento globale - i cosiddetti Paesi ricchi, senza penalizzare gli Stati e le fasce di popolazione più vulnerabili. Abbiamo le conoscenze, abbiamo le tecnologie, abbiamo tutte le soluzioni per costruire un mondo più giusto e più equo: perché non lo facciamo?

Fine della giornata e fine del mondo
Nei Paesi occidentali vi è un grandissimo divario fra la consapevolezza dell’esistenza della crisi climatica e l’inazione nei suoi confronti. Oltre agli interessi economici di una manciata di persone, che dagli investimenti in armi e combustibili fossili traggono immensi benefici economici e continuano quindi a promuovere retoriche e politiche speculative e fuorvianti, la stragrande maggioranza della popolazione vive in uno stato di apatia e senso di impotenza generalizzati. La fine della giornata, del resto, incombe ed appare - almeno cognitivamente - più vicina della fine del mondo. La crisi climatica è qualcosa di talmente grande che, seppur scientificamente spiegabile e comprensibile, tende a risultare emotivamente inaccettabile. Ancor di più, scatena nell’essere umano senso di colpa e impotenza, che aggiungendosi alla perdita, l’ansia, e la disperazione che causate dall’idea dei disastri ambientali, portano alla negazione o alla rassegnata accettazione. La speranza è che capiti ancora una volta un po’ più in là e a qualcun altro. Lo scrittore statunitense Johnatan Safran Foer riassume il concetto in una frase: “Per l’immaginazione è una fatica venire a capo del laggiù della crisi del pianeta”. E questo accade purtroppo anche quando quel ‘laggiù’ diventa fango nelle nostre stesse case. In questi casi, spesso e volentieri, l’emergenza sotto i nostri piedi nasconde la visione d’insieme, a scapito di provvedimenti lungimiranti.
Inoltre, a crescere, assieme alle temperature e al livello dei mari, è anche la sfiducia in una classe politica mondiale che, quando non del tutto disinteressata, si dimostra incapace di guidare efficacemente l’umanità attraverso i cambiamenti in atto. In una gran confusione tra responsabilità reali o apparenti e di greenwashing generalizzato, le persone si muovono come cieche, brancolando tra rabbia, impotenza e scetticismo. Come sottolinea l’esperto di comunicazione del riscaldamento globale George Marshall, la crisi climatica è un fatto scientifico, ma sono un fatto scientifico anche gli ostacoli psicologici che ce la rendono inaccettabile e che - aiutati dalla confusione comunicativa e politica del presente - ci fanno nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi.
La giustizia climatica e i nuovi paradigmi cognitivi
Per costruire giustizia climatica c’è bisogno di elaborare nuovi paradigmi cognitivi, affinché l’umanità possa ridefinire il proprio rapporto con il sistema mondo di cui è parte. Le strutturazioni politiche ed economiche, la relazione fra individui, con altre culture, con il mondo naturale e con lo stesso pianeta Terra si definiscono infatti all’interno di cornici narrative archetipiche, ma soggette a continue modifiche ed evoluzioni. È quello che gli antropologi chiamano mythology, ossia la narrativa culturale che esprime identità e influenza comportamenti individuali e collettivi. Le storie sono parte integrante dell’esperienza umana; sfidano i dogmi e suggeriscono nuove prospettive, esprimono e discutono politiche, metodi di ricerca e risultati scientifici, intrecciano la dimensione globale con l’esperienza individuale e sono in grado di integrarsi a modelli, grafici e argomentazioni basate su dati razionali per raggiungere pubblici ampi ed eterogenei. L’arte di narrare è un vero e proprio processo di costruzione di senso e materia creatrice della realtà stessa. Come trovare dunque le parole migliori, le giuste storie per raccontare questa sfida multilivello senza precedenti? Per mostrare le opportunità e i futuri possibili? Per ridefinire le premesse, mettendo in gioco la nostra concezione di ‘persona e il modo in cui ci sentiamo, ci pensiamo e ci esprimiamo nel mondo? Cosa vuol dire umanità? In che rapporto siamo con il tutto? Giustizia climatica significa reinventare il nostro essere umani su questo pianeta. Cercare nuove narrazioni ci dà la possibilità di dipanare le complesse interconnessioni del presente, rendendocelo accessibile e comprensibile. Concentrarsi sugli esempi concreti che già esistono è il punto di partenza per immaginare le possibilità del futuro e stimolare l’azione nel breve e nel lungo termine. Intrecciare i saperi invece di gerarchizzarli è essenziale per coinvolgere le comunità che sono in prima linea nella lotta alla crisi climatica, in un percorso di scambio e crescita reciproca. Andare a fondo dei paradossi che attraversano la società e la permeano nella sua essenza ci permette di farci interpreti della complessità per meglio comprenderla e navigarla.
Cosa racconteremo
La lotta alla crisi climatica è l’occasione per affrontare la violenza e l’iniquità sociale attraverso nuove prospettive di sviluppo economico, sociale e ambientale. Ma per farlo c’è bisogno di tutti e tutte, soprattutto delle voci di chi solitamente viene meno ascoltato e che spesso e volentieri avrebbe di più da dire. In questa rubrica racconteremo i popoli dei grandi Stati oceanici e le comunità indigene che proteggono gran parte della biodiversità globale, ciò che accade nei palazzi della nostra Europa e le strade infinite delle grandi migrazioni di massa odierne, la guerra e la pace, le terre rare e i capricci dei grandi magnati della finanza, i giochi di potere e le vie dell’acqua e del vento. Le storie di vita diventano la scusa per affrontare la complessità attuale, tra interessi e contraddizioni, orrori e speranze, conflitti, idee, rivoluzioni. La scienza si fa umanità in un immenso arazzo che intreccia fili di mondo. I colori sono le tante persone che stanno tessendo l’oggi sulla tela; la trama, ancora in larga parte misteriosa, sono le dinamiche che si instaurano tra esseri umani e tra esseri umani e pianeta, che ci permettono di andare a fondo del mondo che è e, soprattutto, di ciò che potrebbe - e dovrebbe - essere.