
La data del 26 giugno 2025 rimarrà un punto fermo nella giustizia ambientale del nostro paese. Il tribunale di Vicenza ha condannato in primo grado undici ex dirigenti della Miteni, azienda chimica con sede a Trissino, nel vicentino, responsabili di avere inquinato, consapevolmente, una delle più importanti falde acquifere italiane, con le sostanze per- e polifluoroalchiliche, PFAS, inquinanti eterni. Nel loro insieme, le pene ammontano a 141 anni di carcere, più di quanto fosse stato richiesto dall’accusa.
Di PFAS, della loro persistenza, della vicenda Miteni e della lunga e appassionata lotta delle comunità locali, guidate dal comitato Mamme NO PFAS, così come delle denunce di associazioni molto attive come l'Associazione italiana medici per l'ambiente (ISDE) e Greenpeace e del lavoro di tante persone impegnate nella ricerca e nelle aziende locali per la gestione dell'acqua, il Bo Live si è occupato molto nei mesi scorsi, all’interno di una inchiesta internazionale, il Forever Lobbying Project, cui abbiamo preso parte con due lunghi articoli che riportiamo qui sotto. Anche prima dell’inchiesta internazionale, abbiamo seguito con negli anni lo sviluppo delle ricerche che dimostrano la tossicità di queste sostanze e i disastri ambientali a esse associate.
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Crescono gli studi, aumentano le evidenze
La sfida, quando parliamo di PFAS, è riuscire a stare dietro alla ricerca e agli studi perché si tratta di una famiglia enorme di composti chimici, un numero imprecisato stimato oltre i 12mila. Sono sostanze nei confronti delle quali ci sono crescente interesse e preoccupazione, come indicato dalla crescita esponenziale della letteratura scientifica, ma al contempo crescono anche i composti da studiare.
La mitologia greca racconta che Sisifo, re di Corinto, fu condannato dagli Dei a spingere un masso sulla cima di un monte a vederlo rotolare giù appena raggiunto l'obiettivo, e dover ricominciare da capo. Con i PFAS, ci troviamo in una situazione assai simile.
Nel non lontano 2010 si contavano in Pubmed, il più grande archivio della letteratura scientifica biomedica, meno di 10 articoli scientifici su “PFAS and health”, che diventavano 318 nel 2020, 891 nel 2024 e 583 nei primi 6 mesi di quest’anno, per un totale che oggi conta oltre 3.600 articoli. Numeri ancora piccoli se si confrontano con altri argomenti, ma è il passo della crescita ad essere rilevante.
La crescita di attenzione e di preoccupazione è dovuta verosimilmente al combinato-disposto della pericolosità ambientale e sanitaria delle PFAS, la loro diffusione globale, nonché la persistenza che caratterizza l’esposizione umana.
Vale la pena ricordare che si tratta di sostanze resistenti alla degradazione chimica, biologica e ambientale dovuta alla forza del legame carbonio-fluoro, rimangono nelle matrici ambientali per tempi lunghi (da decenni a secoli), si bioaccumulano nel sangue e nei tessuti di esseri umani e animali, l’esposizione umana riguarda praticamente tutta la popolazione mondiale, inclusi feti e neonati, con tanti effetti sulla salute, anche a basse dosi.
A preoccupare c’è inoltre l’enorme numero di composti, in crescita vertiginosa: sono più di 12.000 per la master list dell’Environmental protection agency americana, oltre 14.000 considerando diverse liste aggiornate sempre da US-EPA; si scende a 4.729 composti secondo un elenco dell’OCSE che usa criteri di inclusione più restrittivi.
Il quadro complesso e preoccupante è completato dalla numerosità e varietà di effetti avversi sulla salute, che crescono col progredire degli studi. Le conoscenze includono, con diverso grado di persuasività, una lunga serie di danni al sistema immunitario, disfunzioni endocrine (tiroide, ormoni sessuali, sviluppo puberale), malattie metaboliche (dislipidemie, obesità, diabete), tumori a reni, testicoli e altri organi. Si ricorda che PFOA è stato classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, la IARC, in classe 1 – cancerogeno per l’essere umano, e PFOS in classe 2B – possibile cancerogeno.
Di primario interesse anche le perturbazioni del sistema riproduttivo (alterazioni del ciclo mestruale, basso peso alla nascita, infertilità) e gli effetti neuropsicologici come i disturbi cognitivi, il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), l’autismo e l’ansia nei bambini.
La preoccupazione per la salute prenatale e infantile è alta anche in considerazione della vulnerabilità di feti e neonati a causa della immaturità delle barriere placentare e cerebrale.
Gli effetti su neonati e bambini
Fortunatamente gli studi sugli effetti sulla salute delle esposizioni a PFAS in utero e durante i primi anni della vita sono in forte crescita. Tra questi ne voglio richiamare brevemente tre molto recenti su aspetti diversi della salute in età precoce e evolutiva.
Uno studio sull’esposoma infantile relativo all’esposizione a sostanze chimiche ha identificato alcune relazioni tra dose e effetti sulla salute nei bambini. Sono state individuate 78 relazioni tra sostanze chimiche ed effetto sulla salute classificate con livello di evidenza “probabile” o “molto probabile”. Tra le relazioni dose-risposta emerse tra 20 sostanze e 17 esiti di salute, tre riguardano l’associazione tra PFAS e il sistema immunitario, il peso alla nascita, gli aborti e deficit comportamentali.
Un recente studio di coorte basato sul registro nazionale svedese delle nascite ha messo in evidenza l’associazione tra esposizione fetale alla somma di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nell'acqua potabile e le malformazioni del sistema nervoso, le anomalie cromosomiche e del sistema urinario. Sebbene sia opportuno rafforzare i risultati e studiare in profondità i meccanismi tossicologici sottostanti, i risultati accrescono la preoccupazione per la salute prenatale e infantile.
Mi soffermo maggiormente su un’ampia rassegna sistematica che si è dedicata all’esposizione prenatale e postnatale a PFAS e il potenziale impatto sullo sviluppo cognitivo, comportamentale, linguistico, motorio e sociale del bambino.
La revisione ha incluso 61 studi condotti in Nord America, Europa e Asia tra il 2008 e il 2024. La maggior parte delle ricerche ha valutato l’esposizione prenatale tramite sangue materno o cordonale, mentre l’esposizione postnatale è stata stimata attraverso sangue infantile o latte materno. Gli strumenti di valutazione neuropsicologica comprendevano i test standardizzati classici utilizzati in età infantile.
Sullo sviluppo precoce (0-3 anni) sono emersi segnali congruenti da parte di numerosi e diversi studi: 17 studi hanno esaminato l’associazione tra esposizione prenatale e tappe evolutive nei primi anni. Il più ampio, condotto a Shanghai ha rilevato associazioni negative tra alti livelli prenatali di PFOS, PFNA, PFDeA, PFUnDA e punteggi cognitivi, linguistici e motori a 2 anni e anche le analisi di miscele hanno confermato un impatto negativo cumulativo per 9 PFAS. Uno studio canadese ha riscontrato effetti avversi di PFHpA e PFDoA sui punteggi cognitivi e socio-emotivi a 6 mesi. Uno studio tramite ASQ (questionario per lo screening dello sviluppo utilizzato per monitorare la crescita dei bambini da 2 a 60 mesi) utilizzato su tre coorti cinesi, ha evidenziato che PFOS, PFHxS e il sostituto 6:2Cl-PFESA erano associati a peggiori abilità comunicative e motorie fino ai 24 mesi di vita.
Studi sulle funzioni cognitive in età scolare (6–12 anni) hanno collezionato risultati meno univoci. Sulla possibile relazione con deficit del linguaggio e di memoria si registrano pochi studi. Anche sulle abilità motorie vengono analizzati solo 3 studi, due non hanno identificato associazioni con PFOA e PFOS mentre uno studio europeo ha identificato una relazione tra concentrazioni di PFAS in miscela e peggiore coordinazione motoria fine.
Molto articolato e complesso appare il quadro sul comportamento e le funzioni esecutive. Uno strumento di valutazione delle funzioni esecutive, il BRIEF, è stato usato in sette studi. Alcuni di questi hanno associato PFOS e PFHxS a maggiori problemi di regolazione comportamentale e meta-cognizione, mentre altri non hanno riscontrato associazioni. Studi basati sulla scala per la valutazione del comportamento adattivo, con altri strumenti e questionari per genitori e insegnanti su difficoltà comportamentali ed emotive, hanno mostrato risultati non congruenti. Un solo studio ha associato PFOA a sintomi di iperattività. Sull’ADHD, disturbo neuropsichiatrico che colpisce l'attenzione, l'impulsività, l'iperattività motoria, 11 studi hanno osservato risultati in diverse direzioni, che seppure interessanti necessitano molti approfondimenti. I risultati sull’autismo e le disabilità dello sviluppo sono considerati dagli autori limitati e incoerenti.
Interessante notare che alcune analisi delle miscele e dei fattori mitiganti hanno indicato che le combinazioni di PFAS risultano più predittive di effetti negativi rispetto ai singoli composti, e suggerito l’allattamento al seno, la dieta materna (pesce, noci) e l’educazione e stimolazione cognitiva domestica come potenziali fattori protettivi.
In generale. gli studi sugli effetti a lungo termine nel periodo adolescenziale risultano ancora scarsi e i sostituti dei PFAS sono poco studiati, nonostante la loro potenziale neurotossicità.
Infine, non si può che condividere la necessità di realizzare studi basati su campioni ben dimensionati ai fini della potenza statistica e che considerino adeguatamente i possibili fattori confondenti, in primo luogo lo status socioeconomico e la presenza di sottogruppi vulnerabili.
In sintesi, l’evidenza finora acquisita, sebbene ancora limitata, suggerisce che l’esposizione precoce a PFAS è associata a numerosi effetti avversi e gli esiti identificati sono già sufficienti a indirizzare le politiche ambientali verso la protezione dalle PFAS in generale e anche mirata alla fase precoce della vita.
Se da una parte c’è bisogno di ulteriori studi, soprattutto con disegno longitudinale e focalizzati su nuove generazioni di PFAS e su popolazioni vulnerabili, dall’altra non ci possiamo affidare unicamente agli studi ma occorre molto altro.
Prevenzione e principio di precauzione, gli ingredienti di un approccio cautelativo
Nonostante la veloce progressione degli studi e delle conoscenze su numerose PFAS, che bene inteso deve essere rafforzata, sarà molto difficile perseguire la protezione della salute adottando l’approccio corrente di tipo difensivo, affidandosi solo alla adozione di norme e regolamenti sulla base delle conoscenze via via acquisite. Con questo approccio i tempi di latenza dalla acquisizione scientifica alla definizione normativa fino all’applicazione non possono che essere lunghi, troppo lunghi in accezione preventiva.
La memoria remota e recente ci insegna che è stato ed è cosi in molti casi, dall’amianto all’inquinamento atmosferico, in cui le leggi protettive sono state tarde, insufficienti, spesso disattese, e nel frattempo a pagare sono state le comunità più esposte. Gli sforzi per adeguare le normative sono importanti e utili ma dobbiamo avere presenti i limiti e le conseguenze di una strada che guarda solo ai pochi composti più conosciuti e non vede la moltitudine degli altri e delle sostanze sostitutive.
A livello europeo c’è molta attenzione al PFOA (acido perfluoro-ottanoico) che dal luglio 2020 è soggetto a restrizioni negli Stati Membri, come indicato dall’Allegato XVII della direttiva REACH, e al PFOS (acido perfluoro-ottan-solfonico), già definito pericoloso per l’ambiente e la salute umana nel regolamento CE n. 850/2004 sui POPs. Importante anche il più recente regolamento UE 1021/2019 che prevede il divieto o la restrizione dell’uso e della produzione di PFOS, PFOA e altri PFAS e lo smaltimento sicuro delle sostanze già presenti nei prodotti, con tempi di efficacia che si annunciano lunghi ai fini della riduzione del rischio per la salute.
Più coraggiosa è la recente proposta dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di restrizione generalizzata di circa 10.000 PFAS in tutti gli usi non essenziali. Questa iniziativa di 5 Paesi (Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia), che prevede fasi temporali di divieto o limitazioni da 18 mesi a 12 anni in base alla criticità e disponibilità di sostanze alternative, rappresenta un passaggio cruciale per la regolamentazione europea delle PFAS. Infatti, se la proposta verrà approvata (dopo valutazione positiva di rischio e socioeconomica in corso da parte dei comitati SEAC e RAC dell’ECHA), saranno imposte misure restrittive a tutti gli Stati Membri.
Anche la protezione della qualità delle acque potabili è basata su limiti stabiliti sulla base delle conoscenze e sulla capacità di rilevamento e misura, che essendo in continua crescita hanno bisogno di continuo aggiornamento e di programmi di sorveglianza sanitaria per capire la loro efficacia in termini di riduzione del rischio.
Il Decreto legislativo 18/2023, in accordo con la normativa che recepisce la direttiva europea Acqua potabile, fissa limiti per i PFAS nelle acque destinate al consumo umano, prevedendo ≤ 0,50 µg/L per i PFAS totali e ≤ 0,10 µg/L per 24 PFAS prioritari e chiede ai gestori del servizio idrico di monitorare i PFAS e intervenire con misure di trattamento in caso di superamento e rafforza la necessità di una valutazione del rischio integrata per la filiera idrica.
Il recentissimo decreto legislativo 260/2025 introduce un nuovo valore limite ≤ 0,20 µg/L per la somma di 4 PFAS (PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS). Lo stesso decreto prevede la valutazione e gestione del rischio per i sistemi di distribuzione dell'acqua, con particolare attenzione agli edifici e locali prioritari, da completare entro il 12 gennaio 2029. La Regione Veneto ha avviato azioni di messa in sicurezza delle aree contaminate e campagne di screening sanitari per gli oltre 100.000 cittadini residenti nelle aree contaminate; inoltre ha posto il limite di 0,09 µg/L per la somma di PFOA e PFOS (≤ 0,03 µg/L per il solo PFOS) e 0,3 µg/L per PFAS totale.
Senza sottovalutare gli indubbi avanzamenti è tuttavia ragionevole dubitare su quanto l’orientamento basato su poche sostanze e tempi non brevi di applicazione sarà in grado di proteggere la salute umana. Solo programmi di valutazione in continuo possono aiutare, specie se si considera l’esposizione di un numero alto e crescente di persone, un numero che contribuisce direttamente e pesantemente al numero di eventi avversi di salute attribuibili all’esposizione, anche a basse dosi.
Nonostante la sensazione della fatica di Sisifo, non possiamo sottovalutare l’importanza che hanno le pressioni scientifiche e sociali per introdurre limiti anche in suoli, sedimenti, fanghi e alimenti, e per indirizzare programmi di monitoraggio esteso e standardizzato e azioni per la tutela della salute pubblica, in particolare nelle regioni colpite da contaminazione diffusa. Le azioni delle lobby di comitati e associazioni sono essenziali per rafforzare le richieste di restrizioni all’uso e alla produzione delle PFAS e per sollecitare interventi di bonifica nelle aree contaminate.
“ “L'unica possibilità per un principio etico di essere verificato e convalidato è quando esso si manifesta sotto forma di esperienza Hannah Arendt, La Vita della Mente
Anche la via della giustizia è irta di asperità, specie in sede penale
Alla recente condanna per dolo a pene fino a 17 anni nella sentenza Miteni di Vicenza, fa contraltare una situazione ben diversa presso il Tribunale di Alessandria a riguardo del procedimento a carico della Solvay di Spinetta Marengo. Dopo che nel 2010 la procura di Alessandria aveva chiesto simili condanne per il reato di avvelenamento doloso delle acque, Solvay aveva ricevuto una debole condanna per colpa e solo nel 2024 c’è stato il rinvio a giudizio per colpa, peraltro a carico di due figure secondarie della direzione. Al di là delle complesse vicende giudiziarie, c’è da chiedersi se e quanto la sede penale sia idonea a dare Giustizia e non siano necessarie anche azioni inibitorie e risarcitorie in sede civile, e una continua mobilitazione civile per bloccare ulteriori vittime.
La sentenza di Vicenza rende evidente il ruolo e l’importanza della mobilitazione della società civile, che non ha certo finito il suo compito visti i tempi che occorreranno per bonificare la falda, tenendo conto dei costi enormi e degli indennizzi modesti riconosciuti alle parti Civili. Anche per le PFAS, i danni evitabili ma non evitati, rappresentano una sfida su tutti i piani ad iniziare da quello dell’etica.