SCIENZA E RICERCA

Covid-19: Accademia dei Lincei, serve ancora molta cautela davanti a questa malattia

Per ridurre i rischi legati all'allentamento del lockdown "l’individuazione e l’isolamento dei nuovi contagi appare come un elemento essenziale" visto che "la maggior parte delle persone è ancora del tutto vulnerabile al virus". Dal secondo rapporto sul Covid-19 realizzato dalla Commissione salute dell'Accademia nazionale dei Lincei arriva un invito alla cautela: il virus Sars-CoV-2 è ancora totalmente sconosciuto al sistema immunitario di almeno il 90% della popolazione e per questo motivo una "rimozione dei blocchi troppo affrettata potrebbe portare ad un rampante ritorno dell’epidemia, con conseguenze sanitarie e sociali ancora più devastanti". Curato da Maurizio Cecconi, presidente della Società europea di terapia intensiva e direttore del dipartimento di Anestesia e Terapie Intensive dell'Irrcs Humanitas, dall'immunologo Guido Forni e dal presidente della Fondazione Humanitas Alberto Mantovaniil documento mette a disposizione della comunità scientifica un riepilogo, aggiornato mensilmente, sulle attuali conoscenze relative alle caratteristiche del nuovo coronavirus, ai meccanismi di trasmissione, alle strategie di contenimento dell'infezione, ma anche all'estrema diversità dei decorsi clinici, ai trattamenti a disposizione e agli studi per l'ottenimento di un vaccino. 

Nella premessa gli studiosi sottolineano che la pandemia provocata dal virus Sars-CoV-2 ci ha messo di fronte ad una sfida senza precedenti che sta coinvolgendo ogni aspetto della civiltà umana, ma ritengono doveroso ricordare che, anche in una situazione di emergenza, il rigore metodologico deve rimanere un obbligo assoluto.

Abbiamo approfondito i contenuti del documento insieme all'immunologo Guido Forni, socio dell'Accademia dei Lincei, che ha più volte ribadito come nello scenario provocato dall'arrivo del nuovo coronavirus ci sia un contrasto molto forte tra la provvisorietà delle informazioni disponibili, che necessitano di ulteriori studi, e la richiesta pressante di punti fermi e certezze.

L'intervista all'immunologo Guido Forni, tra gli autori del secondo Rapporto Covid-19 dell'Accademia dei Lincei. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"L’Accademia dei Lincei - introduce il professor Guido Forni - ha sentito il dovere sociale di preparare un rapporto pacato ma informato, aggiornato ogni mese, sulle conoscenze che si sono acquisite sul Covid-19. Un documento, non particolarmente tecnico ma nemmeno estremamente elementare, sulle conoscenze più recenti, una specie di fotografia istantanea su quello che sappiamo di questa malattia". Nell'intero lavoro emerge un richiamo al rigore metodologico in quanto "ogni conoscenza è estremamente provvisoria, le pubblicazioni a cui si fa riferimento spesso non sono ancora passate attraverso la peer review e in molti casi non sono basate su una grande quantità di dati", ma questa spinta verso una valutazione estremamente rigorosa dei risultati che provengono dai diversi studi è sottoposta ad una fortissima pressione sociale che vorrebbe risposte certe in tempi rapidi. "C'è un grosso contrasto - spiega Guido Forni - tra la quantità delle informazioni, la provvisorietà di ognuna di queste e una richiesta incalzante, anche emotiva, di sapere quali terapie funzionano e quali no". 

Professor Forni, cosa rende questo virus così diverso dai patogeni che l’umanità ha conosciuto in precedenza?

E’ un virus molto in gamba. Ha un grande genoma e riesce a fare tante cose simultaneamente, a differenza di altri virus. Ha un RNA più grande, una traduzione più precisa di questo RNA che riesce a interferire molto bene con la reattività del sistema immunitario. Quindi ha alcune capacità particolarmente evolute che lo rendono così difficile da combattere. L’altro aspetto è il fatto che si tratta di un virus recentissimo, lo conosciamo da un centinaio di giorni. La quantità di informazioni che abbiamo è enorme, ma altrettanto la loro provvisorietà.

Che cosa determina questa estrema variabilità del decorso dell’infezione?

“Una spiegazione non c’è, ma ci sono tantissime ipotesi. Alcune ritengono che possa dipendere dalla quantità di virus con cui ci si infetta o dalla capacità di difesa immediata a livello di barriera. Altre sostengono che ad essere decisiva sia la prima reazione immunitaria e che sia questa a decidere se la malattia sarà minima, asintomatica, o se invece il virus potrà diffondersi. Però i parametri di questa prima reazione immunitaria sono ancora tutti da definire.

Il Rapporto contiene anche un esplicito invito alla cautela nella fase di allentamento delle misure restrittive e si evidenzia come in questa fase l’individuazione dei nuovi positivi e il tracciamento dei loro contatti sia fondamentale. Siamo attrezzati a sufficienza?

Questa è la grande sfida di questi giorni, una sfida da cui dipendono il nostro futuro e la nostra economia. Non solo per l’Italia ma a livello europeo. Quello che succederà tra questa settimana e la prossima ha una rilevanza davvero cruciale. La capacità del sistema di tracciamento della app Immuni è ancora tutta da scoprire, abbiamo delle informazioni ancora estremamente vaghe e generiche. Occorre poi capire quanto le persone accetteranno e utilizzeranno davvero questo tipo di tracciamento come forma di difesa.

Affrontiamo il tema delle terapie: in questi giorni l’efficacia di vari farmaci è stata annunciata anche in assenza di studi clinici. Abbiamo dei punti fermi?

Non abbiamo nessuna terapia su cui fare realmente affidamento. Abbiamo indicazione di alcune terapie che riducono il tempo della malattia, ma non hanno un’influenza sul numero di persone che muoiono. In questi giorni la terapia con il plasma attrae molto l’attenzione delle persone: è un approccio che ha delle possibilità ma ha anche delle fragilità enormi, in quanto ha una sua variabilità a seconda di chi sono i donatori. Però siamo in attesa dei risultati di molti studi clinici e anche degli studi epidemiologici che nel prossimo mese permetteranno di avere alcuni punti fermi, meglio definiti.

Cosa sappiamo della memoria immunitaria e della durata della protezione?

Anche qui sappiamo abbastanza poco. Prima di tutto non sappiamo quanto dura la risposta immunitaria, se c’è. Ed è inevitabile non saperlo ancora visto che è una malattia così recente. Col passare del tempo sapremo se, tra due o quattro mesi, le persone che sono guarite da Covid-19 sono ancora protette. Questo è un punto cruciale: capire se chi guarisce dalla malattia è davvero protetto e per quanto tempo. Queste conoscenze saranno il punto di partenza su cui si baseranno alcuni tipi di terapie, quelle con gli anticorpi, e soprattutto lo sviluppo del vaccino. Capire se il vaccino funzionerà e quanto funzionerà potrebbe cambiare completamente il significato di questa malattia, o potrebbe essere anche un grande fallimento come è capitato con l’Aids.

Nei laboratori di tutto il mondo si lavora incessantemente allo sviluppo di un vaccino ed esistono 150 progetti diversi, anche basati su tecnologie molto differenti tra loro. Cosa possiamo aspettarci?

Possiamo aspettarci molto perché sono 150 piattaforme tecnologiche differenti l’una dall’altra che partono da concetti e da tecnologie molto diverse: da quelle del tutto tradizionali che puntano a uccidere il virus con qualche sostanza chimica e fare un vaccino di stampo “antico”, a vaccini raffinatissimi e modernissimi basati sull’anello di DNA o di RNA che codificano l’informazione della proteina che si vuole produrre. Esiste una competizione tra questi vaccini che si svolgerà sul fattore temporale, quelli che arriveranno prima, ma anche una sfida di efficacia, che richiederà più tempo per essere dimostrata. Ma esiste un’altra competizione, molto drammatica, che le persone non hanno ancora ben compreso, e che riguarderà l’accessibilità del vaccino. Qualora arrivassero uno o più vaccini che funzionano bene chi riuscirà a produrne abbastanza da renderlo disponibile nel mondo e dove sarà disponibile?

Se noi in questo momento in Italia abbiamo ancora il problema nel reperimento delle mascherine, che sono di una tecnologia banalissima, proviamo a immaginare cosa potrebbe derivare dalla mancata accessibilità al vaccino

Se si scoprirà che il vaccino funziona ci sarà una corsa enorme, emotivamente anche ingiustificata. Tutti cercheranno di averlo. L’Oms ha paura di questo e sta cercando di porre delle basi di giustizia sociale affinché il vaccino non sia solo disponibile nella nazione che lo produce o nelle nazioni più ricche che possono permetterselo. Occorre che ci sia una certa giustizia sociale nella distribuzione di questi vaccini ed è una cosa molto difficile che ha anche delle grandi implicazioni politiche: gli Stati Uniti, in particolare i partiti conservatori legati a Trump, si sono dissociati da questo obiettivo e ritengono che il vaccino americano debba essere prima per gli americani. L’Oms sta cercando di lottare contro questo approccio e si tratta di una battaglia culturale di giustizia sociale di estrema importanza.

Questi temi sono approfonditi anche nel volume “I vaccini fanno bene. Perché dobbiamo credere nella scienza per difenderci da virus e batteri” che lei ha curato insieme ad Alberto Mantovani, Lorenzo Moretta e Giovanni Rezza e che è in uscita proprio in questi giorni in libreria. Ci anticipa qualcosa in più su questo volume?

Anche questo volume nasce come documento dell’Accademia dei Lincei, sempre con lo spirito di informare in maniera pacata sui vari problemi legati ai vaccini: problemi tecnologici, di efficacia, di pericolosità, ma anche il fatto di essere accettati o rifiutati dalla società. Pensiamo ai movimenti contro i vaccini, o per meglio dire tutte le esitazioni che si stavano diffondendo nella popolazione nel periodo che ha preceduto l’arrivo del nuovo virus con tutto quello che ha comportato. Un libro molto articolato, i cui ricavi andranno all’Accademia dei Lincei per le ricerche sui vaccini, un lavoro corale, con questo intento informativo pacato, scritto da persone che credono molto nell'importanza dei vaccini.

Ma secondo lei un vaccino per questo virus quando potrebbe realisticamente essere disponibile?

Ci sono già delle persone che sono state vaccinate, sia con vaccini avanzatissimi che più tradizionali, sia negli Stati Uniti che in Cina, e stanno partendo le sperimentazioni in Europa. Questo serve a vedere se i vaccini elaborati sono in grado di indurre una risposta immunitaria. Una volta che si dimostra che il vaccino induce gli anticorpi contro il virus o dei linfociti che reagiscono contro il virus, bisogna capire se si è protetti dalla malattia. Questo è un punto critico e drammaticamente controverso in quanto negli Stati Uniti, che sono sempre molto rapidi e pragmatici, c’è tutto un movimento di persone che ritiene possibile vaccinare dei volontari per poi esporli deliberatamente al virus. Si tratta di una prassi che in genere non è accettata eticamente. Questa modalità sarebbe utilissima perché abbrevia enormemente i tempi per la validazione dell’efficacia del vaccino, ma si mettono a rischio delle persone e il dibattito è molto acceso anche perché negli Stati Uniti ci sono oltre mille volontari che si sono offerti per essere vaccinati ed essere poi esposti alla malattia.

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