SCIENZA E RICERCA

Covid-19 e lo studio di Vo': intervista ai primi coautori Enrico Lavezzo ed Elisa Franchin

L’intuizione che un piccolo paese in cui era stata appena istituita la zona rossa poteva rappresentare un’occasione di studio ideale per comprendere come si stesse muovendo quel virus che illusoriamente si pensava confinato in Cina e che invece si era già affacciato in Italia. Un team di ricerca multidisciplinare composto di professionalità altamente specializzate. E, non ultimo, la grande collaborazione degli abitanti che, pur in un momento di emergenza, difficoltà e preoccupazione, hanno abbracciato idealmente il progetto mettendosi a disposizione per le due fasi di campionamento e di esecuzione dei tamponi.

Lo studio intitolato Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo', recentemente approdato sulle pagine della prestigiosa rivista Nature, ha contribuito in modo importante alla conoscenza del comportamento del virus SARS-CoV-2. Ha quantificato l’elevata presenza di contagi che rimangono asintomatici, il dato rilevato dalla ricerca è il 43%, ha ricostruito le possibili catene di trasmissione, evidenziando che condividere gli spazi domestici con una persona positiva comporta un aumento dell'85% della probabilità di contagio, ha confermato che i bambini sotto i dieci anni sono particolarmente resistenti al patogeno e ha dimostrato che non esistono differenze significative a livello di carica virale tra asintomatici e persone che invece sviluppano i sintomi della malattia.

E, altro aspetto particolarmente significativo, ha svelato che alla fine di febbraio il 2,6% della popolazione di questo piccolo paese sui colli euganei, composto di un totale di circa 3300 persone, con una densità abitativa inferiore a quella di molte aree della Lombardia e caratterizzata da minori scambi con l’estero, aveva già incontrato il virus: un dato molto alto, se si considera che eravamo all’inizio della curva dei contagi. Un’evidenza che ha contribuito a far capire quanto fosse centrale mettere in piedi un sistema efficiente e rapido di test per identificare il prima possibile ogni positivo e tracciare la sua rete di contatti.

Lo studio ha anche permesso di valutare l’efficacia delle misure di contenimento dell’infezione, rilevata attraverso il drastico abbassamento del valore di R0, cioè il valore che indica il numero medio di contagi che si sviluppano a partire da un singolo positivo.

E adesso il lavoro continua attraverso la fase di ricerca che si sta concentrando sulla sierologia. Dai campioni di sangue raccolti tra gli abitanti di Vo’ si attendono risposte importanti per fare luce sui tanti interrogativi che ruotano intorno all’estrema diversità della risposta anticorpale indotta dal virus, in termini di durata e di effettiva capacità di evitare una reinfezione successiva. Inoltre si sta studiando anche il genoma del virus e quello di ogni cittadino per comprendere se i fattori genetici possano avere un ruolo nel determinare il decorso dell'infezione. 

Abbiamo voluto ripercorrere le tappe principali dello studio di Vo’ e i suoi risultati più rilevanti insieme a Enrico Lavezzo ed Elisa Franchin, del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova e primi coautori della ricerca coordinata dal professor Andrea Crisanti e che ha visto anche la collaborazione dell’Imperial College di Londra e di uno statistico dell'università di Oxford. Elisa Franchin ci ha spiegato anche come è stata affrontata l’emergenza a livello di organizzazione di laboratorio, in termini di capacità produttiva.

L'intervista ad Enrico Lavezzo ed Elisa Franchin, primi coautori dello studio di Vo' sul virus SARS-CoV-2. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

Enrico Lavezzo comincia illustrando le tappe del lavoro e la grande partecipazione da parte degli abitanti di Vo'. "Lo studio - spiega il docente del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova - si è svolto prevalentemente in due fasi che sono state eseguite una all’inizio della quarantena che è stata imposta a Vo’ e una alla fine del periodo di 15 giorni che doveva concludersi il 9 di marzo ma che si è poi trasformato in una quarantena a livello nazionale. In questi due punti temporali sono stati effettuati dei campionamenti a tappeto su tutta la popolazione volontaria, sui cittadini di Vo’, e sono stati eseguiti dei tamponi nasofaringei per ricercare la presenza del virus in questi soggetti. C’erano già numerosi casi confermati e quindi l’idea era quella di valutare l’effettiva estensione, la prevalenza reale dell’infezione, e avendo a disposizione due punti temporali andare a studiare anche le dinamiche della trasmissione, della carica virale e della sintomatologia del virus. C’è stata un’elevatissima adesione da parte della popolazione di Vo’ perché al primo campionamento abbiamo avuto quasi il 90% di partecipazione e al secondo campionamento oltre il 70%. Quindi sicuramente la cittadinanza di Vo’ si è dimostrata sempre molto disponibile e anche impegnata nel portare il proprio contributo alla ricerca".

Lavezzo prosegue illustrando i principali dati emersi dallo studio. "Il primo risultato riguarda il dato di prevalenza. Al primo campionamento abbiamo identificato il 2,6% di persone positive al virus, erano 73 soggetti. Al termine del periodo di quarantena sono diventati 29, con una prevalenza dell’1,2%, quindi più che dimezzata. E il dato importante da questo punto di vista è che nel secondo screening sul totale di 29 casi positivi solo 8 erano nuovi, i restanti 21 erano persone che erano già state identificate come positive durante il primo campionamento. Quindi una prevalenza comunque rilevante che non era preventivabile nei giorni subito precedenti alle prime identificazioni del virus".

Ci sono poi le osservazioni che hanno contribuito a conoscere meglio uno dei nodi più peculiari e dibattuti del comportamento del virus SARS-CoV-2, vale a dire l'elevato numero di asintomatici e la possibilità che anche queste persone siano veicoli di contagio dell'infezione. "Abbiamo identificato che oltre il 40% dei soggetti positivi era asintomatico, quindi non presentava i sintomi tipici del Covid-19 che sono febbre, tosse e difficoltà respiratorie. E in realtà nella sintomatologia abbiamo incluso anche tutta una serie di sintomi minori come mal di testa, mal di gola, dolori muscolari, disturbi gastrointestinali. Quindi abbiamo considerato una definizione di sintomatici abbastanza inclusiva, inserendovi anche dei paucisintomatici".

Un dato che, alla luce delle rilevazioni sulla carica virale, porta a rafforzare l'ipotesi che anche le persone in cui la malattia resta silente, e che quindi se non effettuano un tampone sono totalmente inconsapevoli di aver contratto il virus, possano trasmettere l'infezione. "In particolare - approfondisce Enrico Lavezzo - abbiamo osservato che non ci sono differenze significative dal punto di vista statistico tra il gruppo dei sintomatici e quello degli asintomatici. Quindi anche i soggetti asintomatici possono essere in grado di espellere il virus e di conseguenza essere infettivi. Sui tamponi effettuiamo un saggio che si chiama PCR quantitativa, quindi andiamo a quantificare il numero di copie di genoma dei virus. Sostanzialmente dato che ogni particella virale contiene una copia del genoma siamo in grado anche di stimare qual è l’effettiva quantità di particelle virali che vengono rilasciate".

Un altro dato rilevante è il riscontro sulla minore suscettibilità dei bambini al contagio, in particolare nella fascia di età sotto i 10 anni. "Noi abbiamo testato quasi 250 bambini nei due campionamenti - continua il primo coautore dello studio - e nessuno di questi ha avuto un risultato positivo al tampone, nonostante fossimo a conoscenza che almeno una dozzina di loro convivesse con genitori o fratelli e sorelle che erano invece positivi in quel momento. E’ un dato particolare che non sappiamo ancora spiegare perché anche in letteratura ci sono molte ipotesi ma non ci sono ancora dimostrazioni. Tra le ipotesi c’è la possibilità che i bambini possano essere protetti da altri anticorpi sviluppati attraverso altre infezioni respiratorie, però non siamo ancora arrivati a definire qual è l’origine di questo fenomeno".

Elisa Franchin ci spiega poi in che modo si è riusciti ad attrezzare il laboratorio affinché fosse in grado di processare un numero sempre più elevato di campioni. "Quando abbiamo sentito di questa epidemia in Cina - ricorda la prima coautrice dello studio - ci siamo attivati immediatamente, come laboratorio di riferimento per i patogeni emergenti, per mettere subito in piedi un test in modo da essere pronti nell’eventualità che il virus fosse arrivato in Veneto e poterlo quindi rilevare. Agli inizi di febbraio abbiamo quindi messo a punto il test per la ricerca del patogeno e fino al 21 febbraio abbiamo fatto screening di persone che rientravano dall’estero e avevano quei sintomi clinici che erano riportati dai pazienti in Cina. Dal 21 febbraio, con il rilevamento del primo caso di coronavirus, abbiamo dovuto mettere in piedi una macchina veramente forte in laboratorio per poter gestire una quantità di campioni che fino a quel momento era impensabile. Nel senso che hanno cominciato ad arrivare prima tutti i campioni di Schiavonia, dove era ricoverato il primo paziente, relativi a tutti i dipendenti dell’ospedale e i pazienti ricoverati. L’ospedale era stato chiuso e quindi occorreva dare un referto in tempi brevi a queste persone che erano isolate in questo edificio. Tutto il personale si è dovuto attivare sia per la parte amministrativa con l’accettazione dei campioni e la loro registrazione, ma anche a livello tecnico abbiamo dovuto iniziare a lavorare sulle ventiquattro ore per poter dare dei risultati in tempi abbastanza reali. E’ stata una sfida veramente grande perché le strumentazioni che avevamo in dotazione potevano consentirci di effettuare tantissimi test però avevano anche diversi anni di attività. Ci siamo quindi subito impegnati anche nel cercare una strumentazione più aggiornata che ci consentisse anche di lavorare molto più velocemente, come il pipettatore ad ultrasuoni o nuovi estrattori, e adesso abbiamo ottimizzato anche con il sistema informatico in modo da comunicare in tempo reale a tutti i distretti e i reparti gli esiti degli esami. Ogni giorno arrivano circa 5000 tamponi in questo laboratorio".

E per Elisa Franchin l'insegnamento che lo studio di Vo' ha fornito in termini di gestione e contenimento dell'epidemia consiste nell'aver dimostrato che "quando viene individuato un caso positivo bisogna andare subito a verificare tutti i contatti stretti che il soggetto ha avuto in modo da contenere il propagarsi dell’infezione e limitare quindi il pericolo di una diffusione estesa del virus, come è invece avvenuto in passato in altre parti d’Italia".

Ma il lavoro di ricerca non è finito e dallo studio di Vo' potranno arrivare altre risposte. "Diciamo - conclude Enrico Lavezzo - che sul campo abbiamo già effettuato una fase 3 perché abbiamo fatto un terzo campionamento sulla popolazione di Vo’ ad inizio maggio e abbiamo avuto nuovamente una grande adesione da parte degli abitanti perché si sono presentate quasi 2700 persone. E in questo caso, oltre a valutare il tampone, abbiamo effettuato anche dei prelievi di sangue sui cittadini per valutare l’aspetto immunologico. Abbiamo fatto dei test sierologici per andare a verificare la presenza di anticorpi e i risultati preliminari che iniziamo ad accumulare ci dicono che la percentuale di persone che sono state eposte al virus è circa il doppio rispetto a quella che avevamo quantificato con il tampone. Quindi probabilmente nel periodo precedente ai nostri due screening c’era già stata circolazione del virus e quindi questi soggetti hanno appunto sviluppato degli anticorpi. In questi giorni stiamo iniziando a valutare la parte genomica e stiamo sequenziando sia il genoma del virus sia quello dei cittadini di Vo’ per capire innanzitutto se esistono delle varianti virali che possono essere associate a decorsi diversi o origini diverse di questo virus e dall’alltro lato vogliamo identificare se esistono delle varianti a livello di genoma umano che possano proteggere o rendere invece più suscettibili all’infezione stessa. Ovviamente per questo tipo di analisi ci vorrà un po’ più di tempo ma speriamo nei prossimi mesi di poter avere i primi risultati".

 

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