SCIENZA E RICERCA

Il pensiero algoritmico si sviluppa nei primi anni di vita

Chiunque abbia osservato dei bambini o delle bambine di quattro anni alle prese con un gioco di logica o un piccolo problema quotidiano sa quanto il loro comportamento possa sembrare caotico e inefficiente. Un recente studio pubblicato su Nature human behaviour suggerisce invece che già a partire da quell’età sia possibile eseguire compiti complessi adottando logiche strutturate. I risultati forniscono nuove informazioni per la comprensione dello sviluppo cognitivo e dell’acquisizione del pensiero algoritmico.

La ricerca è stata coordinata da  Celeste Kidd, professoressa di psicologia dell’università di Berkeley (California), che in una ricostruzione del suo lavoro su The Conversation spiega come il pensiero algoritmico non riguardi solo la risoluzione di problemi matematici complessi. Si tratta, al contrario, di quel tipo di ragionamento che usiamo quando organizziamo le nostre azioni in maniera logica e sistematica per svolgere in maniera efficiente i nostri compiti quotidiani. È ciò che ci permette, ad esempio, di preparare tutti i biscotti al cioccolato che desideriamo semplicemente moltiplicando le dosi della ricetta, invece che misurare, impastare, e cuocere gli ingredienti da capo più e più volte.

Kidd e il suo team hanno scoperto che più della metà dei bambini e delle bambine coinvolti nello studio dimostrava di possedere un pensiero algoritmico strutturato a partire dai quattro anni. Anche i più piccoli, infatti, non agivano in modo casuale per cercare di vincere al videogioco proposto dagli autori, ma seguivano strategie ordinate, efficienti e mirate all’obiettivo.
Sebbene questo tipo di ragionamento fosse più frequente nei partecipanti più grandi, è stato osservato anche tra i più piccoli. Senza ricevere alcuna istruzione su come procedere, molti di loro hanno infatti scoperto spontaneamente due algoritmi di ordinamento piuttosto utilizzati in informatica, chiamati selection sort e shaker sort. Trenta partecipanti (circa il 24% del campione) li hanno addirittura utilizzati entrambi in momenti diversi dell’esperimento.

Conigli in scarpe da ginnastica

Nel videogioco in questione – progettato da Huiwen Alex Yang, dottoranda in psicologia che lavora con modelli computazionali di apprendimento nel laboratorio di Kidd e prima autrice dello studio –bisognava ordinare sei coniglietti rosa dal più alto al più basso, i quali indossavano ai piedi scarpe da ginnastica di colori diversi.

Si trattava, quindi, di un compito di seriazione (ovvero la capacità di disporre un insieme di oggetti in base alla loro dimensione, dal più piccolo al più grande) per certi versi molto simile a quelli svolti in altri studi sullo sviluppo cognitivo. In questo caso, però, era stato aggiunto un ulteriore elemento di difficoltà: i coniglietti in questione erano nascosti dietro un muro che impediva di conoscerne l’altezza: di ognuno di loro erano visibili solo le scarpe da ginnastica.

In ogni sessione di gioco, i partecipanti dovevano selezionare le sneakers di due conigli alla volta. Se quello a sinistra risultava più alto, i due si scambiavano di posto, altrimenti restavano fermi.
Di conseguenza, per risolvere il gioco non ci si poteva basare sull’osservazione, ma serviva ragionare in modo deduttivo: ogni scambio (o mancato scambio) forniva un indizio logico sull’altezza dei due coniglietti selezionati, che andava poi usato per ordinare tutti gli altri.

All’esperimento hanno partecipato 123 bambini tra i quattro e i dieci anni, ai quali è stato spiegato l’obiettivo del gioco (con cui hanno familiarizzato svolgendo prima alcune partite in cui i coniglietti erano interamente visibili) ma non è stato fornito alcun suggerimento su quali fossero le strategie più efficaci da utilizzare per vincere la partita senza conoscere la dimensione dei coniglietti. I bambini e le bambine si fermavano quando credevano di aver trovato la soluzione corretta e a quel punto scoprivano se avevano avuto successo o meno.

Quando il gioco si fa duro

La capacità di programmare le nostre azioni in maniera logica per raggiungere un obiettivo nel modo più efficace possibile è dal tempo oggetto di ricerca in psicologia dello sviluppo, ma i risultati ottenuti dal team di Kidd sono sorprendenti perché mettono in parte in discussione una delle teorie di Jean Piaget – il cui lavoro è stato fondamentale in questo ambito di studio.

Piaget condusse diversi esperimenti per indagare la seriazione nei bambini e nelle bambine. Osservò che quelli al di sotto dei sette anni tendevano a spostare gli oggetti a caso oppure procedevano per tentativi, senza una strategia definita; quelli più grandi, al contrario, si dimostravano in grado di sviluppare un metodo secondo il quale procedere e organizzare le loro azioni per portare a termine il compito ricevuto. Per questo, concluse che prima dei sette anni bambini e bambine non fossero ancora in grado di elaborare strategie sistematiche per risolvere i problemi.

Lo studio di Kidd e colleghi mostra, invece, che anche i bambini al di sotto dei sette anni possano trovare strategie logiche complesse, se la situazione lo richiede. Trovandosi di fonte a un compito particolarmente impegnativo – come il videogioco ideato da Yang, che impediva di basarsi sulla semplice osservazione – sono stati spinti a ragionare di più e a trovare metodi strutturati. Paradossalmente, quindi, è possibile che siano proprio le sfide più difficili a stimolare nei più piccoli l’elaborazione del pensiero algoritmico.

Come riportano gli autori, il motivo per cui raramente è stato individuato un comportamento algoritmico nei bambini piccoli potrebbe anche essere dovuto al fatto che gli studi di questo tipo tendono a concentrarsi sul risultato finale (osservando, in altre parole, se la seriazione viene compiuta correttamente o meno) più che sul procedimento.

Il programma di gioco sviluppato da Kidd e colleghi permetteva invece non solo di appurare se alla fine della partita i coniglietti si trovassero nell’ordine corretto, ma anche di individuare l’eventuale adozione di strategie strutturate. Ciò ha permesso di rilevare anche quei casi in cui i piccoli giocatori avevano applicato un metodo ma avevano commesso qualche errore e avevano ottenuto quindi il risultato sbagliato.

Infine, la scoperta che i bambini e le bambine possano sviluppare strategie logiche molto prima di quanto si pensasse (se motivati a farlo), apre nuove prospettive per chi si occupa di educazione STEM e offre spunti preziosi per comprendere meglio la nascita e l’evoluzione delle capacità di ragionamento logico durante l’infanzia.

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