SOCIETÀ
La crisi idrica del Po: i dati delle autorità di bacino e delle agenzie ambientali
Racconta Paolo Pilieri, ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano, che il 28 marzo scorso ha potuto arrivare in mezzo al Po a piedi: la quantità di acqua del grande fiume era talmente ridotta che è emerso il greto. Il suo non è un racconto isolato. Da mesi vediamo immagini di Torino con il fiume che ha raggiunto minimi di portata. E più recentemente abbiamo visto le foto, come quelle raccolte nel tratto mantovano del Po, in cui le spiagge di allungano a dismisura dalle due rive fino quasi a toccarsi, accanto a veri e propri rigagnoli d’acqua.
È una situazione che ha fatto lanciare molti allarmi, ma solo recentemente un po’ più ascoltati. L’ultimo è quello dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, l’ente che si occupa della tutela del bacino idrico del più grande fiume d’Italia. Nella riunione del 20 giugno, gli esperti riuniti hanno parlato di “siccità gravissima”, da allerta rossa. Il bollettino della stessa autorità rilasciata nello stesso giorno indicava il livello massimo di preoccupazione per i mesi successivi. “In tutte le stazioni”, si legge nel documento, “si registrano portate confrontabili o al di sotto dei minimi storici”. A Pontelagoscuro, nel ferrarese, dove si trova l’ultima stazione di rilevamento prima della foce, il 17 giugno si è registrata una portata di 230 metri cubi al secondo, che sono poi scesi anche fino 170, cioè meno della metà della soglia di sicurezza.
I dati dei primi sei mesi dell’anno sono preoccupanti e dal grafico che riporta l’andamento delle medie delle portate (sempre misurate a Pontelagoscuro) negli ultimi venti anni si evidenzia come la situazione del 2022 sia grave, ma non isolata. Qui vale la pena precisare che il grafico basato sui dati dell’ARPA Emilia-Romagna fa riferimento alle portate medie annuali. Dal 2001 a oggi ci sono stati altri anni molto problematici per la portata d’acqua del Po, come per esempio la famosa estate caldissima del 2003. Ma allora il picco della crisi si ebbe a luglio, in piena estate, con i raccolti già quasi pronti nei campi e con la prospettiva che nei mesi successivi le temperature sarebbero scese. Oggi siamo di fronte a livelli da minimo storico già prima che l’estate astronomica cominci e con circa altri due mesi di caldo estivo da affrontare.
Allargando il periodo fino a un secolo fa, sempre basandoci sui dati di ARPA Emilia-Romagna, possiamo vedere come il problema della scarsità di acqua negli ultimi vent’anni sia peggiorato rispetto ai periodi precedenti. Al netto di alcune oscillazioni, le portate medie mensili dell’ultimo ventennio sono più basse.
Le cause
La causa principale di questa crisi idrica è la scarsa quantità di pioggia. Il cambiamento climatico ha cambiato il regime di precipitazioni e per questo è possibile, e probabilmente sarà sempre più frequente, che l’acqua piovuta non sia sufficiente a garantire le portate dei fiumi a cui siamo stati abituati nei decenni passati. Per fare un esempio rispetto solamente alle prime due settimane di giugno 2022, in Veneto sono caduti in media 33 millimetri di pioggia contro i 97 della media storica. E la situazione è anche peggiore in alcuni settori della regione, come mostrano i dati dell’ARPA Veneto.
Secondo l’Osservatorio idrico ANBI, il fiume Adige oggi “ha un'altezza idrometrica inferiore di 2 metri e mezzo rispetto all'anno passato e di circa 20 centimetri rispetto all'«annus horribilis» 2017; anche la Livenza è a -2 metri rispetto al livello 2021”.
Ma il cambiamento nel regime delle precipitazioni sta mettendo in crisi anche altri fiumi e italiani. Per esempio, in Lombardia, le portate del fiume Adda, nel cui bacino idrografico le precipitazioni sono state finora di 270 millimetri contro una media di 460, sono inferiori del 67% al consueto; così come sono -54% sul Brembo, -63% sul Serio, -64% sull'Oglio. Lo stesso vale per il bacino di Massaciuccoli, in Toscana, a un centimetro dal minimo storico, o per il lago di Chiusi, tra Umbria e Toscana, che ha una quota idrometrica inferiore a quella (248,5 s.l.m.), per cui è prevista la sospensione dei prelievi.
Il problema del cuneo salino
La portata a Pontelagoscuro è importante anche per un altro fattore: contrastare la risalita lungo il fiume dell’acqua salata. Meno acqua dolce scorre nel Po e meno il fiume è in grado di contrastare la risalita dell’Adriatico, che rende l’acqua non potabile e non adatta anche all’uso agricolo. Il fenomeno del cuneo salino è noto anche come intrusione marina e si verifica quando l’acqua del mare risale dalle foci dei fiumi. Il fenomeno interessa non solo l’acqua del fiume, ma anche le acque sotterranee da cui si effettuano per esempio i prelievi attraverso i pozzi.
Per capire quanto basso sia il valore registrato di 170 metri cubi al secondo, possiamo guardare alle analisi dell’Osservatorio Idrico dell’Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue (ANBI), per cui il valore soglia che garantisce al Po di tenere a bada la risalita dell’acqua di mare è di 450 metri cubi al secondo: praticamente il triplo. Con le portate attuali, l’acqua salata riesce a risalire fino a 30 chilometri dalla foce (dato ANBI) o fino a 21 chilometri secondo l’Autorità di Bacino. In ogni caso, significa che per molti comuni e per molti consorzi agrari non c’è acqua potabile a sufficienza. Ecco quindi che Emilia-Romagna e altre regioni hanno dichiarato lo stato di emergenza regionale, e in molte zone attorno al Po è iniziato un vero e proprio razionamento dell’acqua.
Le difficoltà dell’agricoltura e della produzione energetica
A metà giugno, in un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa SIR, Ada Giorgi, la presidente del Consorzio di Bonifica Terre dei Gonzaga in Destra Po, ha dichiarato che è necessario fare tutti gli sforzi per “preservare l’acqua dolce che è diventata oro”. Al momento dell’intervista, Giorgi era preoccupata per la situazione, ma non vedeva ancora ripercussioni dirette per il suo consorzio che amministra 55 mila ettari di campi coltivati. Ma ha sottolineato come con un livello del fiume così basso, prelevare l’acqua con le pompe richiede più energia e, quindi, il costo del prelievo è più caro. Un costo che, quindi, rende più difficile per i produttori stare poi sul mercato. In alcuni casi sottolineava però che le pompe aspiravano già la sabbia del greto.
Questo problema non tocca solo l’agricoltura, ma anche l’industria e in particolare la produzione di energia elettrica, come avviene per esempio nella centrale di Ostiglia, sempre nel mantovano, proprio lungo il Po. L’acqua del fiume, infatti, viene utilizzata per raffreddare alcune parti degli impianti e poi viene reimmessa nel Po un po’ più calda di quando è stata prelevata. Se le pompe idriche delle centrali aspirano sabbia perché non c’è abbastanza acqua, l’unica soluzione è fermare la produzione. Proprio alle porte di luglio, cioè il mese in cui l’Italia consuma più energia elettrica nell’arco dell’anno.
Uno dei fattori che hanno determinato questa situazione è l’innalzamento delle temperature medie che, oltre al resto, hanno modificato il regime delle piogge. Lo accennato in una recente intervista per Altreconomia Giacomo Parrinello, storico ambientale dell’Istituto di Scienze Politiche di Parigi (SciencesPo): “ci sarà una profonda trasformazione del regime delle precipitazioni e probabilmente della loro frequenza e intensità, di cui in parte stiamo già vedendo gli effetti”. Ma c’è anche dell’altro: usiamo troppa acqua dolce. “Tutto il nostro modello di sviluppo è ad altissima intensità d’acqua: la usiamo in grandi quantità per agricoltura e allevamento, per la produzione energetica, per la salute pubblica, per l’industria”. Confidando che ce ne sarebbe stata sempre in abbondanza, è una risorsa che non abbiamo trattato con i dovuti riguardi. Il risultato è che oggi, riprendendo Giorgi, è forse anche più preziosa dell’oro.