Daniele Calabi (1906 - 1964). Padova dedica una mostra diffusa all'ingegnere-architetto
Al termine del secondo conflitto mondiale, dopo aver trascorso diversi anni in Brasile, Daniele Calabi desidera fortemente tornare in Italia e cerca nuove opportunità lavorative per rientrare nel Paese che, ebreo in fuga dalle leggi razziali, aveva dovuto lasciare nel 1939. L'anno prima Calabi era stato allontanato dagli incarichi pubblici, cancellato dal registro degli iscritti dell'ordine professionale - "ebreo cancellato", si legge -, costretto infine a rinunciare a ogni possibilità di "condurre la propria vita".
Circa dieci anni più tardi, a rivelarne il sentimento di nostalgia è Carlo Anti, rettore dell'università di Padova in epoca fascista (tra il 1932 e il 1943), il quale, terminato da tempo il mandato, nei suoi diari, il 12 novembre 1947, descriveva l’incontro con l’architetto e la moglie, avvenuto in occasione del viaggio esplorativo della coppia per valutare le possibilità di un rientro definitivo: “Visita dell'Ing. Daniele Calabi con la sposa, Ornella, la figlia di Carlo Foà. Vengono dal Brasile, ammalati di nostalgia per l'Italia. Calabi è un uomo di grande ingegno: gli descrivo l'inaugurazione dell'osservatorio di Asiago, costruito su suo disegno e mi commuovo. Quell’istituto resta sempre la mia creatura del cuore”. Una vicenda che svela gli effetti drammatici della storia collettiva sulle relazioni tra esseri umani e le profonde contraddizioni di un periodo storico oscuro e complesso: nel 1938, nel contesto delle azioni messe in atto contro gli ebrei, Calabi viene allontanato dagli incarichi e da Padova proprio durante il rettorato di Anti; dieci anni dopo, al rientro in Italia, è lo stesso Anti a offrirgli concrete opportunità di lavoro in città e a dimostrargli stima, definendolo già in precedenza "tecnico solidissimo e raffinato architetto".
Nel 1949 Calabi lascia definitivamente il Brasile, si imbarca a bordo della nave Toscanelli con la moglie e i figli e rientra in Italia. È a Varese, Milano e Padova. Torna dunque nelle città degli studi universitari - una laurea in ingegneria a Padova nel 1928 e una in architettura a Milano nel 1930 - e dei progetti lasciati incompiuti o forzatamente senza firma, come il cantiere dell’Osservatorio astrofisico di Asiago (1936-1938) di cui, nel 1942, non aveva visto l’inaugurazione perché, appunto, in esilio in Brasile.
Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore
Veronese di nascita, in gioventù Daniele Calabi (1906 - 1964) vive e lavora tra Milano, Padova e Parigi, prima di spostarsi a San Paolo in Brasile, scelta obbligata che gli procura una grande sofferenza. Tornato finalmente in Italia, sceglie ancora Milano e Padova, infine il Lido di Venezia, dove si trasferisce nel 1962 e dove progetta e realizza la sua ultima casa-studio.
Ora, in occasione dei sessant’anni dalla morte, Padova presenta una mostra diffusa a lui interamente dedicata: una indagine approfondita del contesto architettonico e urbano della città nel secondo dopoguerra che, partendo da un focus sui progetti degli anni Cinquanta, si concentra su temi specifici sviluppati negli spazi di Ca' Lando e lungo il Liston, con l’obiettivo di favorire una riflessione sul rapporto vivo tra architettura e contesto urbano e offrire l’occasione per una esplorazione spontanea di una storia poco conosciuta.
La mostra (che è anche un libro) Daniele Calabi a Padova. L’architetto e la città nel secondo dopoguerra, allestita a Palazzo del Monte di Pietà, a Padova, dal 19 maggio al 21 luglio, è organizzata dalla Fondazione Barbara Cappochin, per i vent’anni della Biennale internazionale di architettura, con i dipartimenti dei Beni culturali e di Ingegneria civile edile e ambientale dell’università di Padova, e il contributo della Fondazione Cariparo. I curatori sono Elena Svalduz e Stefano Zaggia, docenti di Storia dell'architettura rispettivamente al Dipartimento dei Beni culturali e al Dipartimento Icea dell’ateneo di Padova. Il percorso espositivo con disegni tecnici, esecutivi, schizzi, fotografie, pannelli con riproduzioni, elaborazioni di materiali storici e un dispositivo multimediale, curato da camerAnebbia, permette di “entrare" nella vicenda umana e professionale dell’ingegnere-architetto e propone una interessante (ri)lettura delle architetture realizzate, e ancora presenti in città, raccontate dalle fotografie del presente di Alessandra Chemollo.
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Daniele Calabi, 1923 e Fascicolo di Calabi studente del 1926, Archivio dell'università di Padova
Concepita come un viaggio di scoperta delle opere progettate tra il 1950 e il 1960 per una città in trasformazione, la mostra si apre con il focus sugli anni Cinquanta e si chiude con una seconda sala dedicata agli anni di gioventù tra studi, formazione sul campo, la prima attività professionale e la brusca interruzione della carriera e della vita in Italia.
Padova rappresenta "un luogo di raccordo della vita di Calabi, dove è possibile fare una sintesi sulla sua opera", scrive la storica dell'architettura Martina Massaro nel libro che accompagna la mostra. Ed è vero, perché "questa è fatalmente la città dove resta la maggiore concentrazione di opere realizzate, oltre a quello rimaste sulla carta, allo stato di progetto, sia della prima fase dell'attività professionale, sia del periodo maturo, quando torna forte dell'esperienza fatta in Brasile".
Dall’analisi dei tanti lavori emerge la firma, il filo rosso che attraversa l'opera e la ricerca di Calabi, durante i primi anni, nella parentesi brasiliana e nel secondo periodo italiano: l'uso del mattone, con le tessiture murarie, la soluzione del patio, sperimentata in Brasile e portata a Padova, per creare un dialogo tra gli interni della casa e l'elemento naturale, e l’attenzione particolare per le viste, in costante relazione con la città.
Daniele Calabi - progetto di una casa in Brasile, 1946
Un accurato lavoro di ricerca ha permesso di individuare i progetti fondamentali realizzati per la città: dalla Clinica pediatrica ai condomini, dalle case dell’Alicorno a quelle per i professori. Per Svalduz e Zaggia, si legge nell’introduzione al saggio, “l’esplorazione ampia di diversi archivi ha portato alla luce documentazione per lo più inedita che ha consentito di rivedere non solo la genesi ma anche la cronologia delle opere, […] materiali che si pensavano completamente perduti o mancanti nelle collezioni archivistiche dell’architetto: schizzi, schemi progettuali, studi planimetrici rinvenuti soprattutto presso l’Archivio generale dell’Università di Padova”.
Nel 1950 Calabi riprende i contatti con Carlo Anti ed è proprio l'ex rettore a proporgli il progetto delle case per professori per la Cooperativa edilizia dipendenti della pubblica istruzione e l’edificio multipiano tra via Falloppio (la casa nell'albero) e via sant’Eufemia è quello che, più di tutti, esibisce la sua firma. Tra il 1951 e il 1952, assunto come professionista collaboratore all'Ufficio tecnico e del Consorzio edilizio di ateneo, entrambi diretti da Giulio Brunetta, Calabi vuole tornare a lavorare su alcuni progetti lasciati in sospeso, tra cui quello per l’area ospedaliera. Dal 1952 l’amico Luigi Piccinato inizia a elaborare il Piano regolatore generale di Padova ed è in questo contesto di fermento e cambiamenti che le occasioni per nuovi incarichi si moltiplicano: Calabi sceglie di stabilirsi in città, progettando una casa per sé e la sua famiglia all’Alicorno, quartiere che ospita case che rappresentano la sintesi perfetta del suo linguaggio e una visione di architettura a bassa densità.
Gli anni Cinquanta padovani sono ricchi di opportunità: lavora per committenti privati, come il medico Galeno Ceccarelli, Bruno Lattes, Alfredo Zuccari e Michelangelo Romanin Jacur, e collabora con Gaetano Zamperoni e Antonio Salce per la Euganea costruzioni, per cui realizza l’edificio multipiano di via Vescovado. Nel 1955 progetta e costruisce il condominio in via Gaspara Stampa e l’albergo Igea con la casa da appartamenti tra via Ospedale e via Gabelli. L’impegno per le abitazioni dei professori lo porta a realizzare, insieme a Brunetta, la casa in via Pio X per Bucciante e De Chigi, quella per Antonio Rostagni in via Rosmini e Casa Ceccarelli in via Stellini, che oggi non esiste più (della quale, in mostra, si può ammirare una piccola tela di Fulvio Pendini del 1953). In questo contesto maturano i progetti per le cliniche per l’ateneo che Calabi sviluppa collaborando con l’ingegnere Brunetta, con il quale interrompe successivamente i rapporti proprio nel quadro delle nuove opere per l’ospedale.
Edificio ad appartamenti in via Vescovado. Foto: Alessandra Chemollo
Oltre all’allestimento a Palazzo del Monte di Pietà, la mostra diffusa si offre come risultato di un laboratorio vivo "del fare", proposto da Ca' Lando project, e come occasione di dialogo con la città. Sul Liston, tra il Municipio e Palazzo del Bo, una installazione con più tavoli presenta immagini che raccontano storie di tessiture murarie, firma distintiva dell'opera di Calabi. Mentre Ca' Lando, in via Gabelli, a due passi dal “suo” albergo Igea, ospita La casa brasiliana nel Padiglione e Le gelosie murarie. Si tratta di un allestimento concreto, “costruito”, tattile, con la supervisione di Edoardo Narne, docente di progettazione architettonica al Dicea e guida per le studentesse e gli studenti attivi a Ca' Lando, e la collaborazione di Fornace Sant'Anselmo di Loreggia. Una restituzione e una reinterpretazione contemporanee dei caratteri architettonici delle opere dell'ingegnere-architetto. Spiega Narne a Il Bo Live e lo racconta bene tra le pagine del libro dedicato a Calabi: “Abbiamo voluto valorizzare il suo prediletto materiale da costruzione, quel mattone dalle dimensioni precise (6x12, 5x26 centimetri), contraddistinto dalle altrettanto ben definite tonalità, vibranti tra il colore rosa e l’ocra. Lo incontriamo in tutte le diverse opere padovane, protagonista in quegli stessi impalcati costruttivi, in grado di impostare un confronto puntuale e preciso con le varie preesistenze storiche contigue”.
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a cura di Elena Svalduz e Stefano Zaggia, con Fondazione Barbara Cappochin
dal 19 maggio al 21 luglio, Palazzo del Monte di Pietà, Padova
La mostra, a ingresso libero, è organizzata dalla Fondazione Barbara Cappochin, nella ricorrenza dei vent’anni della Biennale internazionale di architettura, con l’Università degli studi di Padova, dipartimenti dei Beni culturali (Dbc) e Ingegneria civile edile e ambientale (Icea), ed è realizzata grazie al contributo della Fondazione Cariparo
La mostra diffusa
dal 17 maggio al 30 giugno
Tavoli - Le tessiture murarie, via 8 febbraio - Listòn tra il Municipio e Palazzo del Bo, Padova
Padiglione - La casa brasiliana Arazzi - Le gelosie murarie, via Gabelli - Corte Ca’ Lando, Padova