CULTURA
Biennale Architettura 2025: una risposta collettiva alle urgenze della contemporaneità

Fondazione Pistoletto - The Third Paradise Perspective
Una edizione della Biennale Architettura di Venezia, la 19ma, intensa, concreta, che porta soluzioni collettive a questioni urgenti legate al cambiamento climatico e alla sostenibilità, in un mondo che non può più fare a meno del digitale e dell'intelligenza artificiale, ma ha anche bisogno di ripensare alla tradizione, per cogliervi un sapere antico sempre vivo.
È una mostra densa, densissima, ma che conduce con agilità alla scoperta delle soluzioni più diverse attraverso percorsi e accostamenti, interazioni e immersioni, magari dialogando con un umanoide o sbirciando mondi inaspettati da uno spioncino.

A sinistra: "Am I A Strange Loop?" di Takashi Ikegami e Luc Steels; a destra: "Carosello" di John Lin, Christopher Roth, Lidia Rățoi, Davide Spina e Kaiho Yu
Ci si perde con leggerezza, con la voglia di scoprire cosa di nuovo c'è dietro l'angolo.
Fra le moltissime proposte, raccolte dal curatore Carlo Ratti grazie a una call aperta a chiunque - architetti e ingegneri, matematici, scienziati, filosofi, artisti, programmatori, scrittori, cuochi, agricoltori, premi Nobel e giovani laureati e laureate - segnalo qui alcuni progetti con l'obiettivo di tracciare un breve percorso, fra i mille possibili.
Al mattino la visita alla Biennale inizia dall'Arsenale veneziano, per poi proseguire, nel pomeriggio, all'ombra dei Giardini, vagando fra un padiglione e l'altro. All'entrata delle Corderie ci aspetta il cartello d'avviso "Ambiente con temperatura elevata": scostando il pesante tendaggio nero s'inizia infatti la visita nel caldo soffocante di una stanza in penombra, illuminata a tratti solo da neon freddi, abitata da ventilatori e specchi. È "The Third Paradise Perspective", progetto della Fondazione Pistoletto (foto d'apertura).
Ratti ci aveva avvisato: "La Mostra inizia nelle Corderie con un duro confronto: le temperature globali aumentano mentre le popolazioni globali diminuiscono. Questa è la realtà che gli architetti devono affrontare in tempi di adattamento. Da qui, i visitatori attraversano tre mondi tematici, che a loro modo propongono esperimenti di adattamento: Natural Intelligence, Artificial Intelligence e Collective Intelligence".
“ È il momento che l’architettura passi dalla mitigazione all’adattamento: ripensare il modo in cui progettiamo in vista di un mondo profondamente cambiato Carlo Ratti
La risposta perfetta al compito dato da Ratti è quella del Regno del Bahrain, che si è infatti meritato il Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale. Il progetto, curato da Andrea Faraguna non poteva che intitolarsi "Heatwave" (tradotto come "canicola"). In uno spazio delle Artiglierie dell'Arsenale propone un padiglione ombreggiante e, nello spazio sottostante, molti grandi cuscini, a richiamare la tradizione e innestandovi tecnologie innovative. Come spiegano i progettisti, “L'architettura deve affrontare la doppia sfida della resilienza ambientale e della sostenibilità. L’ingegnosa soluzione può essere impiegata negli spazi pubblici e nei luoghi in cui le persone devono vivere e lavorare all’aperto in condizioni di calore estremo. Il padiglione utilizza metodi tradizionali di raffreddamento passivo tipici della regione, che richiamano le torri del vento e i cortili ombreggiati”.

Rimanendo nelle sale dell'Arsenale, abitate fittamente da video, tende di garza, installazioni rotanti, tavoli parlanti, ci attira una semplice galleria d'archi: è l'Elephant Chapel, dello studio di architettura di Boonserm Premthada. Alcune persone l'annusano incuriosite dopo averne letta la descrizione: "Un padiglione costruito interamente con mattoni di sterco di elefante, che fonde innovazione materiale e rispetto per l'ambiente, esplorando una struttura sostenibile e leggera progettata per gli elefanti stessi". Il progetto ha ottenuto una menzione speciale "per l’esemplare modalità con cui mostra come realizzare una struttura in mattoni durevole utilizzando biomateriali. Premthada ha realizzato un santuario all’aperto chiamato Elephant World in una provincia della Thailandia, dove esseri umani ed elefanti convivono in armonia da secoli. Il progetto celebra questa alleanza millenaria, preservandone il contesto e le condizioni originarie".


Elephant Chapel. Foto di Andrea Avezzù (courtesy La Biennale di Venezia) e Chiara Mezzalira (a destra)
Tagliando e chiudendo una striscia di spazio, i due alti muri di un enorme doppio manifesto visivo illustrano lo sviluppo nel tempo delle infrastrutture digitali e sociali: è Calculating Empires: A Genealogy of Technology and Power Since 1500, di Kate Crawford e Vladan Jolerun, al quale la giuria ha assegnato il Leone d’argento della Mostra.
Uscendo poi all'aperto, nel grande cortile che si affaccia sulle vasche dell'Arsenale, costeggiato dalle Gaggiandre, ci si può bere un caffè decisamente alternativo, un "canal water espresso £1.20" dice il cartello. Quel caffè ha vinto il Leone d’Oro per la miglior partecipazione alla 19. Mostra: "Canal Cafè", di Diller Scofidio + Renfro, è infatti un "macchina per il caffè" che utilizza un sistema di filtrazione delle acque della laguna per produrre un espresso: "la dimostrazione di come la città di Venezia possa fungere da laboratorio per immaginare nuovi modi di vivere sull’acqua, offrendo al contempo un contributo concreto allo spazio pubblico veneziano".

Dall'Arsenale ci spostiamo ai Giardini di Castello, entrando dalla grande cancellata ottocentesca in via Garibaldi. Dall'affaccio sulla riva in bacino potremo uscire al termine della visita, per riguardare all'abitato dall'acqua e prenderci il tempo per una riflessione su questa Biennale.
Intanto la visita prosegue fra i viali dei Giardini, nei padiglioni delle partecipazioni nazionali, come quello del Giappone, quest'anno rinnovato dopo i lavori di ristrutturazione e di efficientamento energetico diretti dall'architetto Toyo Ito. Al suo interno c'è In-Between, la mostra curata dall'architetto Jun Aoki che ribalta la prospettiva umano-centrica predominante, esplorando l'ambigua intersezione e il dialogo tra elementi umani e non umani, naturali e artificiali, proponendo un'idea in cui l'uomo e l'ambiente si pongono su un piano di parità.
Saliamo la collina e poi la scalinata per entrare nell'imponente padiglione inglese, che quest'anno ha ricevuto la menzione speciale come partecipazione nazionale. La Gran Bretagna presenta un'esposizione che si fa dialogo tra il Regno Unito e il Kenya sul tema della riparazione e del rinnovamento, immaginando una nuova relazione tra architettura e geologia.

Una delle stanze del padiglione britannico
Passiamo al padiglione statunitense, che quest'anno s'è cucito addosso una nuova pelle: sul suo prospetto frontale è stata infatti realizzata un'architettura temporanea a completamento del pre-esistente, ad annunciare il tema dibattuto al suo interno: Porch, an architecture of generosity. La veranda viene definita "architettura altruista, generosa" rappresentativa dell'identità americana; un luogo architettonico ma anche sociale, ospitale, performativo, democratico. All'interno del padiglione l'esposizione rivolge l'attenzione alla vitalità di questa icona architettonica, dando voce a figure emergenti e a oltre cinquanta studi di architettura: una mostra di saggezza collettiva, che va oltre l'individualità.

L'architettura temporanea di fronte al padiglione USA. Foto ©Tim Hursley
Al termine della giornata cerchiamo riparo nel verde dei giardini, dove emerge il piccolo padiglione blu della Finlandia. Ci sediamo al suo interno su di una panca bianca, più a lungo di quanto avremmo pensato, a guardare i video proiettati sui muri e ad ascoltare una voce dal forte accento veneziano che racconta di come devono essere continue e ostinate le cure dedicate a questo piccolo padiglione blu, per poterlo preservare. Alvar Aalto lo aveva progettato per essere temporaneo e perciò lo si era realizzato in legno, un materiale caro ai finlandesi ma poco adatto al salso della laguna. Eppure è ancora qui, grazie a quelle cure.
Fanno eco (e confortano) le parole di Carlo Ratti "L’architettura è sempre stata una risposta a un clima ostile. Fin dalle prime “capanne primitive”, la progettazione umana non è stata guidata solo dalla necessità di ripararsi e di sopravvivere, ma anche dall’ottimismo. Le nostre creazioni hanno sempre cercato di colmare il divario tra un ambiente ostico, degli spazi sicuri e vivibili di cui abbiamo bisogno e il tipo di vita che vogliamo vivere".

Il padiglione della Finlandia