CULTURA

Perché la musica classica non è nociva per la salute

Anni fa un noto direttore d’orchestra italiano, cui era stato chiesto un paragone tra come la musica classica venga vissuta in Germania e da noi, spiegò che “nel dna dei tedeschi c’è la musica. Nel nostro c’è il calcio”. Era forse una provocazione, anche se basata su una lunga esperienza. Il popolo della musica classica è in aumento: secondo l’ultimo Rapporto Siae, nel 2024 si sono tenuti in Italia 19.463 concerti (+ 2,8% sul 2023), per un totale di 3.672.890 spettatori (+ 6,1%). A questi si devono aggiungere i dati della musica lirica, che viene tenuta come voce distinta (2.134.727 spettatori, 2.880 spettacoli: in flessione, in questo caso, dello 0,8 e 2,3%, ma per motivi – interpreta la Siae – dovuti a uno spostamento di risorse, da parte degli enti lirici, a beneficio del balletto).

Un pubblico anziano

Se cerchiamo di capire com’è strutturato il pubblico della classica, Istat (Annuario statistico, dati relativi al 2023) ce ne rivela l’età. Scopriamo così che, mentre tra chi va a un concerto di musica classica almeno una volta l’anno le fasce generazionali sono distribuite in modo abbastanza omogeneo (soprattutto tra i 15 e i 59 anni, con una prevalenza degli under 34), tutto cambia se guardiamo all’età degli habitué (almeno sette concerti l’anno): a emergere come “spettatori forti” sono nettamente gli over 60 (con lieve prevalenza femminile), con la fascia dai 75 in su che è la più assidua in assoluto. Molto distanziati tutti gli altri gruppi d’età, con l’eccezione della fascia 11-14, che forse beneficia delle iniziative promosse dalle scuole a indirizzo musicale.

Pochi stimoli per i più giovani

Quindi (si constata ogni volta che si mette piede in una sala da concerti), il pubblico su cui si reggono le istituzioni musicali è anziano, e se avessimo a disposizione i dati degli abbonamenti alle stagioni concertistiche vedremmo, probabilmente, che la grande maggioranza dei sottoscrittori ha i capelli bianchi. Sulle ragioni di questa peculiarità (all’estero si nota spesso una presenza di giovani molto maggiore) si è a lungo dibattuto: costi elevati dei biglietti; scarse occasioni di una vera educazione alla musica e alla pratica di uno strumento nei cicli scolastici; tendenza (non solo italiana) dei giovani-giovanissimi a fruire di spettacoli in streaming anziché dal vivo. Non dimentichiamo poi che gli spazi per la musica classica sui media sono quasi sempre di nicchia, inseriti in pubblicazioni specialistiche, mentre su giornali, canali generalisti e social i concerti, le recensioni e i dibattiti sono da cercare con il sonar. Fanno eccezione alcune emittenti: sul digitale ci sono Radio 3 Rai che ha una lunghissima tradizione in materia e Radio 3 Classica che trasmette musica 24 ore al giorno, c’è il canale tv Rai 5 e poi naturalmente le molte webradio specialistiche e piattaforme musicali audiovideo di tutto il mondo. Non è un caso, comunque, che quando la classica compare sui principali giornali e canali televisivi avvenga a causa di polemiche tra politica e cultura, soprattutto in tema di finanziamenti (in genere tagli) e nomine controverse.

Istruzioni per l'uso della classica

Di certo, la “classica” (definizione necessariamente generica e approssimativa) rappresenta, per moltissimi ragazzi e adolescenti (ma anche per molti adulti) un mondo sconosciuto, con un’immagine di passione “da vecchi”, noiosa, poco coinvolgente. Proviamo allora a ipotizzare, senza alcuna pretesa di rigore o completezza ma solo con l’intento di trasmettere qualche curiosità, una lista semiseria di “istruzioni per l’uso” per chi, in età diversa da quella pensionabile, sarebbe attratto dal tentare per una volta l’esperienza, ma ne è spaventato o semplicemente non sa da che parte cominciare.

1.Chiedere consiglio a chi ne sa

Sembra una banalità, ma non lo è. L’espressione “musica classica occidentale” (molto difficile da circoscrivere entro confini rigidi) racchiude un universo di opere diversissime, generi, correnti nell’arco di oltre un millennio, fino alla “classica contemporanea” (sempre che si sia d’accordo anche con questa definizione). Ora, è altamente raccomandato che come prima esperienza si scelga un concerto con musiche abbastanza “potabili”. Inutile fare gli snob: il Requiem di Ligeti ha delle pagine straordinarie, ma come debutto d’ascolto equivarrebbe a entrare per la prima volta in un cinema per Lo zio Bonmee che si ricorda le vite precedenti, celebrato film thailandese (Palma d’Oro a Cannes 2010) che farebbe vacillare il più corazzato dei cinefili. Chiedendo consiglio e, se possibile, esprimendo qualche preferenza, si verrà indirizzati a repertori più rassicuranti (in genere Vivaldi, Mozart, il Romanticismo). E non c’è nulla di male a iniziare ritrovando, magari, melodie che si sono orecchiate mille volte in tv, al cinema, in pubblicità. Esistono anche concerti (più all’estero che da noi) con programmi da “greatest hits” classici, pensati proprio per chi non è un frequentatore abituale delle sale, con brani conosciutissimi. Rassegne come i Proms a Londra portano migliaia di persone ad ascoltare classica in spazi enormi e con atmosfere da tifo sportivo. E in fondo, se Wagner risuona familiare agli appassionati di Apocalypse Now, se i fan di Kubrick non possono dimenticare la sequenza di Arancia Meccanica con l’introduzione alla Gazza Ladra rossiniana, e se per avvicinarsi a Léo Delibes può aiutare uno spot della pasta Barilla, non siamo già un passetto avanti?  

2.Considerare gli infiniti intrecci con gli altri generi

Non c’è niente di più sbagliato che considerare la classica un monolite in splendido isolamento, avulso da ogni altro genere musicale. La storia della musica è una costante ibridazione di generi, in tutte le direzioni. Ascoltare la Rapsodia in Blu di Gershwin (1924) significa galoppare sul crinale tra jazz, blues, temi popolari e classica; A Whiter Shade of Pale, canzone del ’67 dei Procol Harum divenuta un brano-culto, si apre con un’introduzione di organo Hammond (che rimane poi come base) ispirata all’Aria sulla quarta corda, trascrizione ottocentesca del secondo movimento della Suite n. 3 di Bach, ultrapopolare in Italia per decenni come sigla intergenerazionale delle trasmissioni Quark e Superquark. Ma quella della sigla non è la versione originale per archi, ma quella del 1968 degli Swingle Singers, storico gruppo vocale famoso per le versioni “a cappella” (solo voce, niente strumenti) di brani classici e non. Scarborough Fair di Simon & Garfunkel (1966), ripresa del brano di Martin Carthy di poco precedente, deriva da una antica ballata popolare inglese. Emerson, Lake and Palmer, gruppo di punta del progressive rock, pubblica nel 1971 l’album Pictures at an Exhibition, personalissima rielaborazione della suite per pianoforte (trascritta in seguito per orchestra) composta quasi cent’anni prima da Modest Mussorgsky. È del 1995 l’album Carmen, in cui Il trombettista jazz Enrico Rava riprende in modo molto originale le arie più note del capolavoro di Bizet. Sting, nel 2006, pubblica l’album Songs from the Labyrinth, in cui offre una personale interpretazione di musiche di John Dowland, compositore a cavallo tra Cinque e Seicento. Cantautori come Angelo Branduardi hanno dedicato l’intera carriera a perfezionare uno stile ispirato a melodie e modelli antichi (in questo caso tra Medioevo e Rinascimento). Potremmo andare avanti all’infinito. Esplorare, magari con l’aiuto di un esperto, le mille connessioni tra musica classica e altri generi potrebbe farci scoprire che la prima è un mondo molto meno oscuro e sconosciuto di quanto pensassimo. 

3.Evitare le melo-bidonate

In tutte le città medio-grandi con una minima tradizione artistico-musicale è inevitabile imbattersi in imbonitori, spesso vestiti in costume settecentesco, che reclamizzano delle imperdibili esperienze musicali, che in genere si svolgono in chiese o spazi storici nei dintorni. La maggior parte di questi presunti concerti consiste nell’esecuzione di un piccolo numero di brani classici, spesso molto noti (si spazia dal Barocco al Romanticismo), da parte di ensemble cameristici (anch’essi rigorosamente in costume) in luoghi graziosamente decorati. Esiste poi il fenomeno mondiale Candlelight, i concerti a lume di migliaia di candele (elettriche) in spazi spettacolari o suggestivi in tutto il mondo, ma questo richiederebbe un’analisi sociologica a parte (si va per godere di un’atmosfera intima, raccolta ma elegante, in cui la musica è solo una parte dell’esperienza, e ha un’importanza relativa). Si potrebbe dire che tutto fa brodo, ma pagare cifre sproporzionate per ascoltare frammenti della Piccola Serenata Notturna di Mozart o della Primavera di Vivaldi, eseguiti male da strumentisti in cappello a tricorno e corsetto, non è l’ideale per farsi un’idea di cosa sia un (vero) concerto. Piccolo suggerimento pratico: i concerti degni di questo nome, tutti, implicano la presenza di un programma di sala, che include come minimo il nome e (fondamentale) una breve biografia degli esecutori e l’elenco delle opere in cartellone, con il nome dei compositori e i movimenti in cui è articolato ciascun brano (e possibilmente una presentazione di ciascuna delle opere). Ma se a uno spettacolo vi ritrovate in mano un programma con titoli come “Pomeriggio in lieta armonia”, “Giovani talenti a Palazzo De Santis”, “Il piacere della classica a Zagarolo”, con vaghi accenni su chi suonerà e cosa suonerà, è molto probabile che siate a una manifestazione improvvisata da qualche assessore che non distinguerebbe un violino da un corno inglese.

4.Niente formalità

C’è ancora chi crede che andare a un concerto classico, magari in un teatro prestigioso, implichi uno studio preventivo accurato su regole di abbigliamento e comportamento da tenere, pena l’espulsione o comunque l’affrontare la moltitudine di sguardi sdegnati degli spettatori vicini. In realtà oggi sono pochissime le occasioni in cui viene richiesto uno specifico dress code: si tratta, in genere, delle prime rappresentazioni di apertura della stagione in un pugno di teatri (Scala in primis). Per il resto, la frastornante varietà dei look che si troveranno in platea rassicurerà, o inquieterà a seconda dell’umore, il debuttante della classica. La massiccia presenza, nelle città d’arte, di turisti con outfit che vanno dal gessato alle Birkenstock rende l’impatto estetico dell’uditorio talmente variegato da spegnere ogni inibizione. Certo, se ancora esiste qualche regola, infradito, pantaloncini corti e canottiera non dovrebbero essere ammessi, e in sala non si mangia né si beve: per il resto, via libera.

5.Durante il concerto

Problema: quando applaudire? Già, perché quando le composizioni sono strutturate in più movimenti si può avere qualche incertezza. La regola è di applaudire solo quando l’intero brano è concluso. Se ascolto un concerto di Vivaldi ripartito in tre tempi (si riconoscono, in genere, dalle brevi pause tra l’uno e l’altro) come ad esempio Allegro – Adagio – Allegro, applaudiremo solo al termine del secondo Allegro. Consiglio pratico: seguire l’applauso collettivo (ammesso che la maggioranza dei presenti ne capisca abbastanza). Il silenzio del pubblico, durante l’esecuzione, dovrebbe essere scontato, ma non si sa mai. I novizi noteranno un fenomeno curioso: al termine di ogni brano, nei secondi in cui l’orchestra tace in attesa di riprendere, il pubblico si profonde in uno tsunami di colpi di tosse. Rimane un mistero se questo sia causato dallo stoicismo degli spettatori effettivamente influenzati, che hanno resistito fino a quel momento e ora possono finalmente sfogarsi, o se si tratti di una specie di nevrosi collettiva che costringe il corpo, dopo tanto silenzio e concentrazione, a liberarsi della tensione ruggendo senza pietà. Un classico è il vicino di poltrona che russa, ma il problema di solito si risolve da solo, al primo repentino esplodere del volume dell’orchestra, cosa che provoca, senza eccezione, il sobbalzo del dormiente e il suo ritorno tra i vivi. Capitolo cellulari: è considerato molto inopportuno non spegnere la suoneria prima che inizi la musica. Malgrado questo, non c’è concerto in cui (per la legge di Murphy di solito avviene durante i pianissimo) non capiti di ascoltare le suonerie più varie rompere l’armonia dell’orchestra. In genere il titolare dell’apparecchio riesce a zittirlo in pochi secondi, ma, per quanto incredibile possa sembrare, non è raro che qualcuno, durante il concerto, risponda al telefono e spieghi all’interlocutore, in modo sintetico ma non troppo, che non è il caso di proseguire la conversazione perché sta ascoltando La Moldava di Smetana.

6.I fischi, un genere in via di estinzione

Come nel mondo letterario le recensioni negative, o addirittura le stroncature, stanno scomparendo, specchio di un ambiente in cui i critici hanno come priorità creare una rete di alleanze piuttosto che offrire un parere sincero e motivato su un libro, così nello spettacolo dal vivo (non solo ai concerti di classica) la contestazione, il “buuu”, i fischi appartengono al passato, con poche eccezioni (i loggionisti di teatri storici come la Scala o il Regio di Parma). Il problema, nel caso della musica, è che il pubblico ormai è composto in parte consistente da persone non abituate alle sale, che si ritrovano lì per motivi diversi (il turista che si concede una serata all’opera, gli innumerevoli invitati di banche e sponsor vari) e quindi, semplicemente, non sono in grado di capire se un’esecuzione è buona o no. Se si ha la grande fortuna di trovarsi vicino a uno spettatore competente, la cosa da fare è ammutolire e ascoltare i suoi commenti: qualcosa si impara sempre. Ma la grandissima parte dei concerti oggi si conclude, statisticamente, con una gamma di reazioni che va dall’ovazione all’applauso cordiale. E se anche i recensori fossero perplessi, in fondo, se il pubblico ulula di piacere, che problema c’è?

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