SOCIETÀ

Essere italiani: oneri e onori, diritti e doveri e non un circolo privato

Per tutto il mese di maggio la Camera dei deputati non esaminerà più il disegno di legge sul cosiddetto ius scholae e, dunque, è possibile che nel frattempo i cittadini riflettano con calma sulla normativa in attesa di approvazione. A giugno sono previste importanti elezioni amministrative, durante l’estate vi è tradizionalmente almeno un mese di sospensione dei lavori parlamentari, al più tardi verso la fine dell’anno la legislatura in corso si avvierà alla conclusione, vi sono davvero pochi mesi di tempo per approvare il testo in via definitiva, in aula alla Camera e poi al Senato con l’identica formulazione. Anche se vi sono resistenze e rischi di ostruzionismo sarebbe il caso che la maggioranza parlamentare che ha già approvato il testo base in commissione vada avanti con determinazione e rapidità, e cominci così a riformare una materia decisiva, inadeguatamente trattata dal codice del 1992: cosa significa oggi essere italiani, oneri e onori, doveri e diritti, regole e libertà dei concittadini, passati presenti futuri. L’Italia non è un circolo privato o un’associazione chiusa, è una repubblica democratica di liberi concittadini, eguali di fronte alla Costituzione e alle leggi, fondata sul lavoro.

La proposta riguarda la concessione della cittadinanza italiana a minori (formalmente) stranieri che (già da tempo) frequentano le scuole del nostro paese. Il testo base definito il 9 marzo riprende varie proposte di legge presentate nel corso della legislatura, stralcia gli aspetti più controversi e si limita a un breve urgente provvedimento per sanare il ritardo e l’ingiustizia più gravi:

il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del 12esimo anno di età, che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e che abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici o percorsi di istruzione e formazione professionale acquista la cittadinanza italiana… La cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa, entro il compimento della maggiore età dell’interessato, da entrambi i genitori legalmente residenti in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, da annotare nel registro dello stato civile… Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza… Qualora non sia stata espressa la dichiarazione di volontà, l’interessato acquista la cittadinanza se ne fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età… Gli ufficiali di anagrafe sono tenuti a comunicare ai residenti di cittadinanza straniera, nei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, nella sede di residenza quale risulta all’ufficio, la facoltà di acquisto del diritto di cittadinanza... L’inadempimento di tale obbligo di informazione sospende i termini di decadenza per la dichiarazione di elezione della cittadinanza”.

Oggi non è così e qualcuno di quei ragazzi e ragazze lo conoscete tutti: sono i compagni di classe di figli e nipoti nostri, sono vissuti fianco a fianco nella stessa città dei loro compagni, con genitori o parenti che lavoravano e li mantenevano, hanno studiato accanto ad altri italiani e ad altri stranieri, hanno acquisito la stessa istruzione e hanno pagato le stesse tasse, nelle stesse modalità e negli stessi ambiti scolastici (ma alcuni la gita scolastica all’estero non hanno potuto e non possono farla o hanno un differente documento d’identità). Dobbiamo solo riconoscere un dato di fatto, ci guadagniamo tutti, insieme sono il futuro del nostro paese.

Si tratta di due articoli pragmatici, poche misurate frasi integrative delle norme del 1992, il minimo indispensabile per chi ha già conquistato il diritto sul campo e fra i banchi. Dovrebbero essere impossibili ulteriori tensioni e fraintendimenti. La residenza legale ininterrotta esclude eventuali irregolari e chi è stato costretto ad andirivieni. La lunga permanenza è superiore a quella prevista in altri paesi europei (per esempio la Spagna), soprattutto per i nati nel paese, carattere per il quale in altri paesi esiste proprio uno ius soli (per esempio la Germania). Se il testo sarà approvato resta aperta la questione del vero ius soli (la cittadinanza per nascita), nel testo base non c’è alcun automatismo legato alla nascita in Italia, bisogna aver studiato qui, maturando il traguardo della cittadinanza attraverso un percorso lungo e selettivo.

Il pilastro dell’ipotizzata parziale riforma è il valore sociale della cultura italiana, eguale e condivisa, che si dovrebbe acquisire nelle nostre scuole: l’insegnamento da parte del personale italiano nominato dal Ministero competente, la lingua italiana (ed eventuali altre lingue per tutti), il nostro obbligo scolastico, le nostre materie elementari e di base, la nostra istruzione media e superiore, l’educazione fisica e i colloqui insegnanti-genitori. Le famiglie degli studenti che potranno acquisire la cittadinanza sono già inserite e radicate nel nostro paese, logico e razionale che i figli diventino italiani a pieno titolo, in tutto e per tutto, già da decenni studiano le stesse cose e hanno le medesime verifiche.

In base a stime recentemente pubblicate dall’Istat, al 1° gennaio 2022 il numero di minori stranieri nel nostro Paese supera di poco il milione, pari all’11,5% della popolazione residente al di sotto dei 18 anni. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, relativi all’anno scolastico 2019/2020, gli alunni con cittadinanza straniera nelle scuole di ogni ordine e grado (dall’infanzia alla secondaria di II grado) sono 876.801. Corrispondono al 10,3% del totale della popolazione scolastica e per quasi due terzi (573.845) sono nati in Italia (seconde generazioni). Questi ultimi rappresentano oltre l’80 per cento degli alunni con cittadinanza straniera nella scuola dell’infanzia, il 75 per cento circa nella scuola primaria, il 62 per cento nella secondaria di I grado e poco più del 40 per cento nella secondaria di II grado. Il testo della riforma prevede un requisito relativo allo svolgimento di un ciclo scolastico di almeno cinque anni nel nostro paese, mai quindi gli alunni attuali delle scuole primarie, nonché mai quelli già maggiorenni che potrebbero fare comunque richiesta di cittadinanza.

In Italia è stato calcolato, in sostanza, che possano essere abbastanza meno di ottocento mila gli alunni con cittadinanza straniera potenzialmente essere coinvolti dal procedimento riformato. Per loro giustamente la cittadinanza sarebbe raggiunta prima e a prescindere dal successo scolastico, devono frequentare abbastanza tempo per diventare concittadini, non acquisire un titolo di studio, non si tratta di un concorso né di un premio. In molteplici legislature trascorse, il Parlamento italiano è stato capace di approvare provvedimenti meditati su tante questioni delicate, il fatto che la maggioranza governativa sia oggi poco omogenea è per certi versi un incentivo a far maturare soluzioni significative ed equilibrate nelle aule parlamentari. Notevoli riforme epocali (che cioè superano le dialettiche politiche contingenti e le generazioni) sono state varate in tempi di forti conflitti istituzionali e sociali, senza voti di fiducia e senza veti autoreferenziali. Riconoscere piena cittadinanza a chi è vissuto e ha studiato in mezzo a noi non concede nulla ad assolute ideologie o a singoli partiti, è un modo per amministrare meglio la cosa pubblica di tutti, certifica la realtà. Non a caso alcune amministrazioni comunali (come Bologna) hanno già concesso la cittadinanza onoraria simbolica a migliaia di ragazzi e ragazze.

La proposta di collegare la cittadinanza alla frequenza delle scuole. definendo un vero e proprio ius scholae (prendere la cittadinanza nel paese dove si studia a lungo), fu avanzata una decina di anni fa dalla Fondazione Agnelli per superare la logica difensiva della legge del 5 febbraio 1992, n. 91, votata agli albori del nuovo fenomeno migratorio e imperniata sullo ius sanguinis, la cittadinanza “ereditata” dagli antenati o da almeno uno dei due genitori, una sorta di deterrente all’immigrazione, poco efficace e lungimirante, molto selettiva e discriminante. È riemersa ora per superare contrapposizioni e stallo di quattro anni nella Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati. Risolve solo un aspetto ma s’inizierebbe nella giusta direzione, una versione riveduta e aggiornata dello ius culturae, iniziativa sempre più urgente visto il declino demografico incipiente e comune a quasi tutti i paesi europei e occidentali. Il testo è stato approvato con una maggioranza non coincidente con quella che appoggia il governo, ma senza assoluti steccati di parti politiche. Un bambino con passaporto extra Unione Europea oggi non ha gli stessi diritti dei bambini con passaporto italiano o dell'Unione Europea, ciò lede i suoi diritti fondamentali. Anche se nato e sempre vissuto in Italia si vede chiuse le porte a concorsi, posti di lavoro, viaggi. Eppure, un bambino che nasce in Italia o che vive in Italia da tanti anni e qui studia con gli altri bambini è a tutti gli effetti un bambino da riconoscere come italiano: l’integrazione pratica e multiverso nelle scuole è molto avanti. 

Riconoscersi come concittadini significa condividere il passato recente, le condizioni attuali e un comune destino ed evita concezioni o gerarchie di purezza etnico-religiosa. Siamo tutti paesi di emigrazione che di immigrazione, gli italiani che hanno scelto di vivere all’estero non devono essere discriminati, gli stranieri che hanno scelto di vivere in Italia non devono essere discriminati. Con l’eventuale ius scholae si ottiene semplicemente di riconoscere agli stranieri, che sono cresciuti grazie a e con il sistema scolastico italiano, la possibilità di diventare cittadini e parte attiva dell’intera società, non volendo e non potendo essere considerati inferiori ospiti. Attraverso la “naturalizzazione” si favorisce anche una maggiore integrazione, spesso del tutto o in parte negata ai loro genitori: l’acquisizione della cittadinanza, come noto, esercita un effetto positivo sulle motivazioni formative e sui risultati scolastici dei minori stranieri, potrebbe ridurre il loro tasso di abbandono e accrescere le probabilità di completare gli studi superiori e intraprendere percorsi universitari. Oltretutto, la riforma sancirebbe, dichiaratamente, un ruolo fondamentale, forse sottovalutato, che la scuola quotidianamente svolge nel garantire l’uguaglianza delle opportunità affermata dalla Costituzione e richiamata dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile: la cittadinanza e la civiltà si costruiscono a scuola. Non si tratta solo di un diritto finalmente riconosciuto per chi lo riceve, ma pure di un beneficio per l’intera società italiana.

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