SOCIETÀ

David Quammen: “Di fronte alle crisi, coltiviamo la speranza e agiamo collettivamente”

David Quammen è schietto, preciso, diretto nel parlare. Nel corso della sua carriera di scrittore e giornalista scientifico, non ha mai lesinato sull’impegno politico che i temi a lui cari – tra cui la crisi della biodiversità, la tutela dell’ambiente, le malattie emergenti e la salute globale – richiedono, come diretta conseguenza della loro stessa esistenza. In numerosissimi libri, articoli e reportage dalle aree più remote di questo “mondo di meraviglie”, come lui chiama il nostro pianeta, Quammen ha messo in evidenza non solo la complessità delle grandi sfide del nostro tempo, ma anche la loro interconnessione, e l’urgenza di intervenire con tutti gli strumenti che abbiamo per affrontarle prima che sia tardi.

Quammen ha realizzato questo impegno tramite un interesse profondo per la scienza: ha dedicato la propria carriera a spiegare in modo accessibile ma accurato – a suo parere, nel comunicare la scienza si può soprassedere sulla precisione, ma mai sull’accuratezza delle informazioni che si condividono con il pubblico – sia i risultati della ricerca scientifica, sia il processo che sta dietro all’ottenimento di quei risultati. Un processo in continua evoluzione, fatto da esseri umani e, per questo, intrinsecamente modificabile e perfettibile.

Come spiega lo scrittore statunitense ai microfoni de Il Bo Live, condividere con il pubblico il processo di ricerca scientifica, le sue imperfezioni, la sua fallibilità, spiegando nel modo più chiaro possibile il suo funzionamento, è un antidoto alla sfiducia nei confronti della scienza. Questa attitudine, infatti, è sempre più diffusa nella società, ed è alimentata anche dagli attacchi deliberati che, in questo periodo storico, proprio la ricerca scientifica subisce da parte di alcuni leader politici e dalla compagine più conservatrice del mondo politico e culturale.

“Viviamo in un periodo molto difficile per la scienza e per gli scienziati, che oggi faticano a lavorare, a trovare finanziamenti e mantenere i propri posti di lavoro, a pubblicare i risultati delle loro ricerche. Ed è così non solo nel mio Paese, ma in tutto il mondo”, asserisce Quammen. “La scienza, oggi, deve far fronte essenzialmente a due ordini di problemi. Uno è la sfiducia, la mancanza di comprensione e di rispetto nei confronti dell’impresa scientifica. Il secondo, invece, sono gli attacchi diretti alla scienza, lanciati da leader politici i cui interessi contrastano con i risultati scientifici, per quanto rispettabili e convincenti questi siano.”

Guarda l'intervista completa a David Quammen. Riprese e montaggio di Antonio Massariolo

La scienza come processo e attività umana

Questi due problemi sono collegati, ma non sono identici, e scienziati e comunicatori della scienza sono chiamati ad affrontarli ognuno con i propri strumenti. “Chi si occupa di comunicare la scienza ha una grande responsabilità di intervento per quanto riguarda il primo dei due problemi, che può essere affrontato alimentando l’apprezzamento e la comprensione della scienza da parte del pubblico. Uno degli obiettivi che dovremmo raggiungere – e verso cui, personalmente, lavoro – è aiutare il pubblico a capire che la scienza non è né un corpus di verità immutabili, né un’enciclopedia di fatti. La scienza è un processo, un’attività umana, che mira a produrre spiegazioni sempre più accurate sulla realtà e sulla natura. Ed è un processo che avanza tramite osservazioni, raccolta di dati e formulazione di ipotesi che, sperabilmente, saranno in grado di spiegare quei dati.”

Ma soprattutto, sottolinea Quammen, il processo scientifico è intrinsecamente votato all’auto-correzione: “Gli scienziati si correggono reciprocamente, e correggono sé stessi, quando commettono errori. Questa è una delle caratteristiche che rendono la scienza unica. Quasi in nessun’altra professione vi è interesse a correggere i propri errori. La scienza, invece, ha in sé questo principio etico. Quando si fanno errori – ed è tutt’altro che raro – questi si correggono, accordandoli con le scoperte più recenti”. Quest’etica professionale, fondata sull’umiltà e sulla consapevolezza di sé e dei propri limiti, è stata coraggiosamente incarnata da uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi: Charles Darwin, il padre della biologia evoluzionistica, una figura di cui Quammen subisce il fascino, e di cui ha esplorato il percorso umano e intellettuale nella biografia L’evoluzionista riluttante (Raffaello Cortina, 2025).

“Puntare l’attenzione non soltanto sulla scienza in sé e sui suoi risultati, ma anche sugli scienziati, e insistere sulla natura processuale della scienza, può aiutare le persone a capire perché, a volte, la scienza modifica le proprie affermazioni. E il motivo non è che sia falsa o ingannevole – al contrario, la ragione va ricercata nella sua natura di attività umana, come tale imperfetta e perfettibile, poiché procede per tentativi, errori e autocorrezione.

I problemi politici che affliggono la scienza oggi, però, vanno affrontati ad un altro livello. “Alcuni politici eletti non comprendono la scienza, ne ignorano il funzionamento e i risultati, e credono di poter trasformare il mondo in base a come vogliano che sia. In molti casi la questione è semplice: non capiscono la scienza. Ma anche quando il problema non è la comprensione, non si curano di quel che la scienza ha da dire. Hanno obiettivi e problemi egoistici e vogliono che la scienza obbedisca ai loro dettami politici”.

Questa ostilità della politica nei confronti della scienza non è solo sbagliata, ma è costosa. Fare ricerca scientifica, infatti, richiede finanziamenti pubblici: questi sono essenziali per tenere aperti i laboratori e per mantenere attive le collaborazioni scientifiche internazionali, che sono le condizioni per fare della buona scienza. Secondo Quammen, spetta agli scienziati opporsi a questa pericolosa tendenza: “Gli scienziati stessi devono guidare la resistenza alle pressioni politiche che vorrebbero metterli a tacere. A volte, questo potrebbe significare lasciare il proprio lavoro, perdere i propri laboratori – incorrere in grandi sacrifici. Sono molto solidale verso coloro che stanno subendo queste conseguenze. E in quanto comunicatore della scienza, cercherò di scrivere sempre più spesso sui costi pagati dalla scienza in un’era antiscientifica, ma anche di quel che la scienza è ancora in grado di dire”.

Tre fiumi di problemi

E la scienza ha ancora molto da dire, non solo per continuare a illuminare la nostra comprensione del mondo naturale, ma anche per comprendere come affrontare le più grandi sfide del nostro tempo. Dare ascolto alla scienza su cosa va fatto è essenziale per affrontarle.

“Le tre grandi sfide di quest’epoca – il cambiamento climatico, la crisi della biodiversità e le malattie emergenti – sono distinte ma interdipendenti. Io me le raffiguro come tre grandi fiumi di problemi – tre fiumi enormi, in piena, torbidi e impetuosi, che scorrono in parallelo. Sono collegati tra loro, ci sono dei canali che li uniscono, ma sono separati, salvo che alla loro sorgente, che è comune a tutti e tre. È come se questi tre torbidi fiumi di problemi fossero tutti alimentati dallo scioglimento di un grande ammasso nevoso su una montagna. E il problema principale è cosa sta sciogliendo questo ammasso di neve: la dimensione della popolazione umana moltiplicata per il consumo di risorse, compresi i rifiuti. È questo che causa lo scioglimento della neve a monte e alimenta i tre fiumi.”

La neve che si scioglie della metafora di Quammen rappresenta l’insieme delle pressioni umane sull’ambiente: l’impatto congiunto della crescita della popolazione dell’inarrestabile consumo delle risorse naturali, che, insieme, stanno accelerando il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e l’emergere di nuove malattie.

“La perdita di biodiversità è la crisi che mi spezza più il cuore”, riconosce Quammen, “perché stiamo perdendo la bellezza e la diversità del pianeta, e queste non potranno mai essere riportate indietro. Quando ho iniziato a lavorare come giornalista, questo è stato uno dei primi temi di cui ho scritto. Parliamo di 45 anni fa, e da allora la situazione è solo peggiorata.”

La speranza non è uno stato d’animo, è un dovere

Ma c’è ancora molto che possiamo fare: azioni che possono rallentare la perdita di diversità biologica e aumentare la nostra capacità di proteggere gli ecosistemi naturali, senza smettere di prenderci cura delle necessità umane”. Alcuni di questi sforzi sono già stati avviati: Quammen ne documenta molti ne “Il cuore selvaggio della natura” (Einaudi, 2024), uno dei suoi libri più recenti, in cui sono raccolti alcuni dei più spettacolari reportage che ha scritto per il National Geographic, nei quali mostra che gli esempi positivi esistono, e che c’è ancora molto margine d’azione.

Realizzare i cambiamenti necessari sembra difficile persino da immaginare, eppure non è impossibile. Per affrontare tutti i tre grandi problemi di cui abbiamo parlato, occorre soprattutto che le persone continuino a lottare, e che tutti continuiamo a coltivare la speranza – speranza, che grande parola”.

Era una delle parole più usate da Jane Goodall, grande primatologa e ambientalista, scomparsa a 91 anni lo scorso 1 ottobre 2025. “Credo che la parola “speranza” ricorra nel titolo di almeno cinque dei suoi libri”, ricorda Quammen. “Lei era assolutamente convinta del fatto che non sia ammissibile perdere la speranza. Non possiamo permetterci che le persone la perdano. La speranza non è uno stato d’animo, né la previsione che le cose andranno bene. La speranza è un dovere, un atto di volontà. Credo che questa sia la lezione più importante che possiamo trarre da Jane Goodall: non abbiamo diritto di dire ‘non c’è più speranza’, perché queste sfide vanno affrontate. E quindi dobbiamo continuare a lottare. Perché anche se essere ottimisti è difficile, non è impossibile”.

La speranza non è uno stato d’animo, né la previsione che le cose andranno bene. La speranza è un dovere, un atto di volontà David Quammen

Per mantenere viva la speranza e cambiare davvero il percorso che il mondo sta seguendo, bisogna contare sul contributo di ognuno, sia al livello individuale che collettivo. “Tutti abbiamo una responsabilità individuale”, ci ricorda Quammen. “Ogni giorno dobbiamo guardarci allo specchio e chiederci: ‘Cosa stai facendo? Quel che fai è utile oppure è dannoso’. Le decisioni che prendiamo hanno un grande impatto: questo vale non solo per le nostre scelte elettorali, ma anche a livello individuale, giorno dopo giorno. Tutti noi condividiamo la responsabilità di fare le scelte giuste.

“In particolare, le grandi decisioni della nostra vita, anche quelle che consideriamo private, hanno un enorme impatto sulla velocità di scioglimento di quel famoso ammasso di neve che alimenta i tre fiumi dei problemi. A mio avviso, sono tre le decisioni più impattanti. La prima riguarda quanti figli si generano: è importante riflettere attentamente su quanto contribuiamo all’aumento della popolazione globale. In secondo luogo, dobbiamo pensare a ciò che consumiamo, in particolare a quel che mangiamo e, nello specifico, a quanta carne mangiamo. Jane Goodall ha smesso di mangiare carne quando si è resa conto che si tratta di un comportamento crudele non solo nei confronti degli animali, ma anche verso gli ecosistemi, visto l’immenso impatto ambientale della produzione zootecnica industriale. Terzo, impatta molto anche quanto viaggiamo. Io non ho figli – quindi la mia impronta carbonica finirà con me, alla mia morte – ma volo in tutto il mondo, e questo ha un costo. Cerco di non viaggiare più del necessario – non volo più per piacere, solo per lavoro. Ma dovrò rispondere di questo. Quando mi guardo nello specchio, mi dico: ‘Non stai facendo abbastanza in questi ambiti. Devi mangiare meno carne, devi viaggiare meno’. Tutti dovrebbero farlo”.

“Ma d’altra parte dobbiamo anche ricordare che non possiamo e non dobbiamo affrontare tutte queste sfide da soli. È importante mantenere un legame con la propria comunità. Per esempio, io vivo in una piccola comunità nel Montana (USA): vivo sullo stesso fazzoletto di terra da ben quarantacinque anni. Conosco tutti i miei vicini, ci troviamo ogni venerdì pomeriggio all’orario dell’aperitivo: parliamo di film e libri, ci raccontiamo come vanno le nostre vite, parliamo anche di politica. E ci impegniamo in politica, insieme. Facciamo in modo che la nostra voce si senta, non solo al livello locale”.

È qui, conclude Quammen, che risiede la nostra vera forza: non tanto nell’azione e nell’impegno individuali, ma nella comunità, nell’organizzarsi per agire dal basso. È così che possiamo davvero avere un impatto sulla realtà e, forse, impedire che quel campo innevato continui a sciogliersi.

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