SCIENZA E RICERCA

Il flusso di oltre la metà dei fiumi del mondo si interrompe per almeno un giorno all'anno

Oltre la metà di tutti i corsi d’acqua del mondo smette di scorrere per almeno un giorno all’anno e a restare a secco sono anche alcune sezioni di fiumi estesi ed iconici come il Nilo o il Colorado. Uno studio, frutto di una collaborazione internazionale e pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Nature, ha analizzato il fenomeno dell’intermittenza del flusso di fiumi e torrenti proponendo un modello che stima la proporzione totale della rete mondiale dei corsi d’acqua non perenni, evidenziandone la diffusione in tutti i climi e biomi di ogni continente. 

Da questo lavoro è scaturita la prima mappa dei fiumi che cessano periodicamente di scorrere ed è interessante notare che la loro presenza non si limita ai luoghi aridi - dove, come prevedibile, il fenomeno è più comune - ma si estende anche nelle aree tropicali e settentrionali e si stima che su scala globale  più della metà della popolazione mondiale viva in luoghi in cui il fiume o il corso d'acqua più vicino non è perenne. 

Inoltre, sottolineano gli studiosi, il riscaldamento climatico e la pressione antropica porteranno con tutta probabilità ad un aumento della frequenza di questi processi e nelle aree aride l'ampia prevalenza di corsi d'acqua non perenni potrà influenzare in modo sostanziale la disponibilità e la qualità della risorsa idrica. 

"Per tutti un fiume è qualche cosa che scorre. Ma l'intermittenza del flusso è più la regola che l'eccezione, in tutte le regioni del mondo», ha affermato Thibault Datry dell'Istituto nazionale francese di ricerca per l'agricoltura, l'alimentazione e l'ambiente (Inrae) di Villeurbanne e tra gli autori della ricerca insieme a colleghi dell'università McGill di Montréal e dell'università Goethe di Francoforte. Finora, fanno notare gli autori, la ricerca scientifica si era concentrata soprattutto sul funzionamento e sulla conservazione dei corpi idrici perenni e solo di recente ha iniziato a emergere una maggiore consapevolezza in merito alle conseguenze della cessazione del flusso nei fiumi e nei torrenti.

Le informazioni fornite da questo studio invitano anche a considerare il modo in cui la discontinuità della presenza di acqua in fiumi e torrenti può andare ad impattare sui cicli del carbonio e sulla sopravvivenza degli organismi acquatici, comprese molte specie in via di estinzione. "Fiumi e torrenti non perenni sono ecosistemi molto preziosi in quanto ospitano molte specie distinte che si adattano ai cicli di presenza e assenza di acqua e possono fornire risorse idriche e alimentari cruciali per le persone. Inoltre svolgono un ruolo importante nel controllo della qualità dell'acqua" ha spiegato Mathis Messager, primo autore dello studio. Tuttavia, precisa, "il più delle volte sono mal gestiti o del tutto esclusi dalle azioni di gestione e dalle leggi di conservazione poiché vengono semplicemente trascurati". 

Per approfondire la metodologia utilizzata dagli autori di questo studio, i risultati ottenuti e le riflessioni a cui ci conducono abbiamo intervistato Nicola Surian, docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova. "E' un lavoro molto originale perché non esisteva alcuna analisi realizzata in questo modo in precedenza" ha spiegato il professor Surian sottolineando che il passo successivo di questa linea di ricerca sarà "migliorare l'accuratezza dei metodi di monitoraggio per questa tipologia di corsi d'acqua e proporre un tipo di gestione più adeguata davanti a situazioni che potranno essere sempre più frequenti in relazione al cambiamento climatico e alle pressioni antropiche". 

L'intervista completa al professor Nicola Surian del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova sullo studio dedicato ai corsi d'acqua intermittenti

"E’ uno studio condotto principalmente da ecologi molto conosciuti a livello internazionale - introduce il professor Nicola Surian del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova - e anche dalle loro precedenti pubblicazioni si evince che si tratta di una tematica su cui lavorano da parecchi anni e che li ha portati a costruire una rete a livello mondiale per cercare di raccogliere dati su scala globale. In questa ricerca hanno cercato di mettere in evidenza la distribuzione dei fiumi che possono essere definiti intermittenti, intendendo con questo termine un corso d’acqua che almeno per un giorno all’anno è privo di acqua che scorra all’interno del suo alveo".

Partendo da questa definizione i ricercatori sono andati ad indagare la diffusione di questo fenomeno su scala globale e "una premessa importante - sottolinea il professor Surian - è che hanno cercato di escludere dalla loro mappatura i corsi d’acqua che presentano delle alterazioni dell’idrologia, come la presenza di grosse dighe o prelievi idrici molto consistenti. Come riferimento con cui validare il loro modello hanno quindi considerato dei corsi d’acqua che fossero il più vicino possibile a delle condizioni di naturalità in termini di regime idrologico".

Gli aspetti metodologici

Le stime realizzate dagli studiosi si riferiscono a oltre 6 milioni di tratti fluviali individuali con una lunghezza media di 3,8 km e per un totale di 23,3 milioni di chilometri di rete fluviale. Queste previsioni, spiegano gli autori nel loro articolo, sono applicabili ai quasi 64 milioni di chilometri di fiumi e torrenti che scorrono sulla Terra e che hanno una portata media superiore a 0,01 m3 s−1.

"La metodologia usata dagli autori - entra nel dettaglio il docente - sostanzialmente è stata quella di utilizzare un numero molto elevato di variabili ambientali: sono ben 113 variabili e afferiscono all’ambito idrologico, climatico e geologico. Si sono poi avvalsi di un modello statistico, definito random forest e che combina queste numerose variabili, e in seguito lo hanno validato con i dati reali della portata dei corsi d’acqua, usando informazioni provenienti da oltre 5 mila stazioni idrometriche che andavano a monitorare sia i corsi d’acqua perenni, sia quelli non perenni". Le registrazioni a lungo termine del flusso d'acqua in 5.615 località in tutto il mondo (4.428 perenni e 1.187 non perenni), associate alle informazioni sull'idrologia, il clima, la geologia e la copertura del suolo circostante dei fiumi e torrenti monitorati in queste località, hanno quindi permesso di identificare le caratteristiche ambientali più importanti nel determinare se un fiume cessa periodicamente di scorrere. 

 La prima mappatura dei corsi d'acqua non perenni

"Il risultato - spiega il professor Surian - è stata questa prima mappatura su scala globale dei fiumi intermittenti. Gli autori hanno usato l’acronimo IRES (intermittent rivers and ephemeral streams) riferendosi ai fiumi intermittenti o ai corsi d’acqua effimeri, questi ultimi con un deflusso ancora più scarso: è emerso che tra il 51 e il 60% dei corsi d’acqua sono caratterizzati da assenza di deflusso per almeno un giorno all’anno".

Una percentuale che è nettamente superiore rispetto a quella che era stata individuata da ricerche effettuate in passato. "Studi precedenti, probabilmente più semplificati e che non miravano esattamente a questo obiettivo, avevano concluso che i corsi d’acqua su scala globale contraddistinti dal fatto di essere intermittenti erano circa il 30% del totale ed erano stati individuati sostanzialmente nelle zone aride o semi aride. Invece questo studio ha messo in evidenza che il fenomeno non riguarda solo le aree del mondo con scarse precipitazioni e temperatura molto elevate, ma anche zone più umide o a clima temperato dove il fenomeno si rileva nelle testate dei bacini, cioè corsi d’acqua che drenano dei bacini molto piccoli e portano a questo tipo di deflusso, con una condizione di intermittenza per un certo numero di giorni all’anno", evidenzia il docente.

Il modello proposto dagli autori presenta però anche alcuni aspetti di incertezza e "va preso su scala globale, senza applicarlo ad una scala di estremo dettaglio: il loro scopo non era quello di andare a indagare in modo particolareggiato questo tipo di processi ma serviva per ottenere una mappatura più estesa".

E, osserva Kristin L. Jaeger nella sezione News and Views di Nature, "va notato che i corsi d'acqua di sorgente sono monitorati da un numero relativamente basso di indicatori di flusso, che tendono a essere localizzati su fiumi più grandi e perenni a valle. Il modello potrebbe quindi fornire stime altamente incerte per le regioni a monte delle reti di flusso". "Nello studio proposto da Messager e colleghi - continua l'esperta del Washington Water Science Center - non c'erano indicatori nei corsi d'acqua non perenni in Argentina; solo uno in Nuova Zelanda; e 10 nella regione geografica del Pacifico nord-occidentale su una rete di 250 indicatori. Per migliorare i modelli che mappano i flussi perenni e non perenni, saranno necessarie osservazioni sul campo a basso costo, insieme allo sviluppo di una tecnologia di telerilevamento ad alta risoluzione che rilevi frequentemente - o almeno preveda - il flusso superficiale nei corsi d'acqua".

Le ricadute di questo studio 

Thibault Datry ha affermato che la mappatura di fiumi e torrenti non perenni, proposta dallo studio a cui ha collaborato, spingerà verso "un riconoscimento della loro prevalenza e del loro significato ecologico da parte della comunità scientifica".

Ci siamo soffermati sulle ricadute di questo lavoro con il professor Surian. "Da una parte sicuramente mette in rilievo un dato che non era mai stato rilevato in modo così netto perché la ricerca su questa tipologia di corsi d’acqua finora è stata limitata. Questa minore comprensione dei processi e del funzionamento di fiumi e torrenti non perenni ha delle conseguenze anche sul fronte applicativo perché vuol dire che esistono strumenti di monitoraggio meno implementati ed efficaci e che la gestione di questi corsi d'acqua è, in generale, molto meno adeguata. Anche la gran parte delle normative e delle policy, sia europee che su scala globale, si concentra in larga misura sui corsi d’acqua perenni, trascurando in modo sostanziale quelli intermittenti".

Un punto su cui ha posto l'accento anche Thibault Datry. "Ci sono stati diversi tentativi recenti di rimuovere i fiumi non perenni dalla legislazione ambientale e dai sistemi nazionali di governance dell'acqua, anche negli Stati Uniti e in Francia. Speriamo che il nostro studio possa innescare sforzi per gestire adeguatamente questi ecosistemi fluviali e fermare i tentativi di escluderli dalla legislazione protettiva", ha dichiarato l'esperto di acque dolci e coautore della ricerca. 

Un aspetto importante da considerare è l'elevata probabilità che l’intermittenza dei corsi d'acqua tenderà ad aumentare nei prossimi decenni. I fattori che spingono in questa direzione sono il cambiamento climatico e lo sfruttamento delle risorse per mano dell'uomo, in un contesto che vedrà un'espansione della popolazione globale. "L'uso delle risorse idriche è sicuramente molto aumentato nel recente passato e lo sarà sempre più anche in futuro. Quindi questa intermittenza che gli autori hanno cercato di mappare guardando prevalentemente alle condizioni naturali dei sistemi fluviali sarà sicuramente esacerbata dalle pressioni antropiche e dal cambiamento climatico", osserva il professor Nicola Surian.

Ne è convinto anche Bernhard Lehner, professore del dipartimento di geografia dell'università McGill e uno dei coautori dello studio. "In effetti, molti fiumi e torrenti un tempo perenni, comprese sezioni di fiumi iconici come il Nilo, l'Indo e il fiume Colorado, sono diventati intermittenti negli ultimi 50 anni a causa del cambiamento climatico, delle transizioni nell'uso del suolo o dei prelievi di acqua per le coltivazioni agricole e per le esigenze umane. Dato il continuo cambiamento del clima globale e dell'uso del suolo, si prevede che una parte sempre più ampia della rete fluviale globale cesserà di scorrere stagionalmente nei prossimi decenni", ha affermato Lehner. 

Il processo dei fiumi e dei torrenti non perenni richiede dunque di essere approfondito anche perché, ricorda Kristin L. Jaeger su Nature, i cambiamenti nella distribuzione dei corsi d'acqua possono avere impatti di vasta portata sui cicli del carbonio e biogeochimici su scala globale e continentale e sulla sopravvivenza degli organismi che vivono nei corsi d'acqua, incluse molte specie in via di estinzione. 

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