SCIENZA E RICERCA

Le foreste africane assorbono più CO2, ma per quanto?

Alle elementari ci avevano insegnato che la foresta Amazzonica era il polmone verde che ci permetteva di respirare, e che, in generale, le foreste riescono ad assorbire parte dell'anidride carbonica prodotta dall'uomo e quindi a diminuire il riscaldamento terrestre causato dall'effetto serra: la capacità di assorbimento si chiama carbon sink e uno studio ha dimostrato che sta diminuendo molto rapidamente, in particolare nella foresta Amazzonica.
Asynchronous carbon sink saturation in African and Amazonian tropical forests è stato pubblicato su Nature, ed è frutto di un lavoro internazionale coordinato da Wannes Hubau e Simon Lewis della School of geography dell’università di Leeds. In Italia hanno partecipato l'università di Firenze e il MUSE (il Museo delle scienze di Trento).

Si sa che la deforestazione ha un impatto negativo sul controllo del cambiamento climatico, ma gli esperti rimangono inascoltati anche quando le conseguenze cominciano a fare rumore. Questo studio dimostra che le previsioni precedenti potevano essere anche troppo ottimistiche, e che il punto di non ritorno, cioè quando le piante produrranno più CO2 di quella che riescono a smaltire, verrà raggiunto prima del 2050, come da ipotesi precedenti.

Per completare lo studio, la capacità di stoccaggio dell'anidride carbonica da parte delle foreste è stata osservata per oltre trent'anni, analizzando le modalità di crescita e di morte di 300 mila alberi in 565 zone di foresta pluviale africana e amazzonica, e la conclusione è che dagli anni Novanta è diminuita, globalmente, di un terzo. Se prima, fino ai primi anni del 2000, le foreste riuscivano a tamponare il 17% dell'anidride carbonica prodotta dell'uomo, ora si è passati a un risicato 6%. Uno dei motivi per cui è accaduto è la crescita rallentata e soprattutto la mortalità degli alberi, entrambi fenomeni causati dall'aumento delle temperatura e della siccità: un serpente che si morde la coda, insomma, e fino a qui nulla di nuovo sotto il sole (cocente).

Quello che stupisce è che questa diminuzione del carbon sink è asincrona: non avviene con la stessa velocità in tutte le foreste del mondo e, in particolare, è molto più rapida in Amazzonia che in Africa.
Perché succede questo? Lo studio individua varie cause. Uno dei motivi principali è la maggior presenza di foreste intatte in Africa: tra deforestazione e incendi, infatti, l'Amazzonia è stata messa più alla prova, e presto potrebbe produrre più anidride carbonica di quanta ne smaltisce. Il picco di stoccaggio della CO2 è avvenuto negli anni Novanta, e poi, gradualmente, questa capacità è andata diminuendo.

Le foreste africane se la cavano meglio, ma non ci si può contare più di tanto: anche lì la capacità di assorbimento della CO2 va saturandosi, ed entro il 2030 diminuirà del 14% (in Africa il picco è stato vent'anni dopo l'Amazzonia, tra il 2000 e il 2010). Un'altra causa del ritardo, oltre alla maggior quantità di foreste intatte, è la differenza di temperatura: le foreste tropicali africane sono meno calde perché situate, in media, 200 metri sopra il livello del mare e se la loro crescita è più lenta lo è anche il loro decadimento.

Insomma, quando parliamo di "polmone verde" ormai non dobbiamo più riferirci all'Amazzonia ma alla zona tropicale dell'Africa.
In ogni caso non c'è da stare allegri e se non si inverte la tendenza, a breve, probabilmente già nel 2040, si arriverà al punto di non ritorno. Non basta, quindi, ridurre le emissioni di CO2 alla velocità prevista, perché ci sono altri fattori che influenzano il carbon sink, come l'aumento delle temperature a livello globale e dei periodi di siccità.

In quest'ottica sarà forse più importante il processo di riforestazione, ma sarà necessario anche ridurre le emissioni di anidride carbonica più velocemente del previsto, altrimenti le foreste si trasformeranno a loro volta in una fonte di anidride carbonica, e l'impatto sul clima sarà ancora peggiore.

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