SCIENZA E RICERCA

La genetica delle piante e perché non averne paura

Quando si parla di agricoltura molte persone guardano al concetto di manipolazione genetica con diffidenza e il dibattito sugli OGM tende a dividere l’opinione pubblica. Quello di cui spesso ci si dimentica è il fatto che l’intervento dell’uomo sulle piante è cominciato con la vita stanziale e con la nascita stessa dell’agricoltura molti millenni fa, ben prima dello sviluppo della biologia molecolare, attraverso l'addomesticamento delle piante selvatiche che altrimenti non avrebbero avuto le caratteristiche adatte per essere coltivate e produrre cibo.

Le mutazioni sono processi che avvengono anche in natura ma oggi, grazie all'evoluzione delle tecnologie di editing genomico, non abbiamo più bisogno di sperare nella casualità di una mutazione favorevole e possiamo far ottenere alle colture caratteristiche specifiche, rendendole non solo più produttive ma anche, ad esempio, meno idroesigenti o più resistenti a determinati parassiti. Eppure il fatto che l'uomo possa modificare il patrimonio genetico delle varietà di piante utilizzate in agricoltura viene frequentemente interpretato come un intervento artificiale che rischia di far perdere la dimensione "naturale" del cibo che portiamo a tavola.

E’ l’argomento di cui parliamo nell’approfondimento di oggi su Il Bo Live insieme al professor Michele Morgante, docente di Genetica all’università di Udine e direttore scientifico dell'istituto di Genomica applicata. Il professor Morgante ha dedicato a questo tema anche un libro che si intitola “I semi del futuro: dieci lezioni di genetica delle piante” e che sarà al centro di un incontro del Festival della Scienza di Genova in diretta streaming domenica 25 ottobre alle ore 11.

Intervista al professor Michele Morgante docente di genetica all’università di Udine e direttore scientifico dell'Istituto di Genomica Applicata. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Le modificazioni genetiche - introduce Michele Morgante, professore ordinario di Genetica all'università di Udine e direttore scientifico dell'istituto di Genomica applicata - sono agli albori della storia dell’agricoltura. Non è quindi un tema nuovo ma si ripete fin da quando, circa diecimila anni fa in diverse parti del mondo, quelli che all’epoca erano cacciatori-raccoglitori si sono resi conto che potevano cambiare il loro stile di vita e diventare popolazioni stanziali grazie al fatto di utilizzare piante ed animali appositamente selezionati per nutrirsi. E’ un processo che è durato molto tempo e che ha consentito di selezionare delle varianti molto rare di piante selvatiche le cui caratteristiche erano adatte per il consumo alimentare, sia perché producevano di più, sia perché i prodotti erano più adeguati all’alimentazione. Ad esempio, una delle caratteristiche che è stata selezionata in tante specie diverse è il fatto di avere semi che non cadessero a terra quando arrivano a maturazione: questo facilitava molto la coltivazione ma, al tempo stesso, rendeva la pianta inadatta a vivere in condizioni naturali perché una pianta che non fa cadere i semi a terra non ha alcuna possibilità di dare origine alla generazione successiva".

Il processo di addomesticamento ha quindi trasformato le piante che coltiviamo in qualcosa che non sarebbe mai risultato dalla sola evoluzione naturale. "Uno degli esempi più noti - approfondisce il professor Michele Morgante - è quello del mais: per capire quanto è diversa la pianta coltivata da quella selvatica basti pensare che il progenitore selvatico del mais coltivato, il teosinte, è stato riconosciuto solo pochi anni fa, prima grazie al lavoro del grande genetista George Beadle e poi con gli studi di John Doebley dell’Università del Wisconsin".

Ma la diversità tra gli alimenti che oggi consumiamo e i loro predecessori selvatici non si limita certo all'aspetto estetico e può riguardare specifiche caratteristiche. Il professor Morgante cita l'esempio della banana: "pensiamo che sia la stessa che cresceva spontaneamente prima che l’uomo decidesse di utilizzarla come alimento e invece è una strana modificazione genetica perché invece di avere due soli corredi genetici ne ha tre al suo interno. Il motivo è che si è voluto renderla sterile per evitare che producesse i semi perché le banane selvatiche all’interno del frutto avrebbero dei semi piuttosto grandi. Anche questa modificazione è qualcosa che non sarebbe mai avvenuto naturalmente o quantomeno non si sarebbe mai diffuso".

L'agricoltura non avrebbe quindi mai potuto nascere e svilupparsi senza l'azione di miglioramento genetico compiuta dall'uomo. Tuttavia oggi sembrano farsi strada narrazioni che si rivolgono al passato con nostalgia e che pongono in contrapposizione la dimensione "naturale", valutata come buona e positiva, a quella "artificiale", da guardare con sospetto. 

"Dovremmo partire dalla presa di coscienza - afferma Michele Morgante - che in agricoltura non c’è nulla di naturale. L’agricoltura è un sistema eminentemente artificiale che non si sarebbe mai creato senza l’intervento umano, e questo vale sia per l’ecosistema agricolo, sia per le sue componenti vale a dire le piante e gli animali. Una volta che abbiamo accettato questo concetto possiamo iniziare a guardare in maniera diversa ciò che si fa in agricoltura. E’ tutto artificiale e quindi dobbiamo uscire da questa dicotomia tra le categorie del naturale e dell’artificiale. Occorre, al contrario, ragionare in termini di rischi e benefici evitando eccessive semplificazioni perché molto spesso soluzioni che nell’immediato possono apparire le più convenienti dal punto di vista della sostenibilità ambientale non si rivelano più tali quando viene fatta un’analisi completa con le metodiche del life cycle assessment che tendono a calcolare l'impatto di tutto il processo di produzione di un alimento".

Come noto le mutazioni avvengono anche spontaneamente "ma - chiarisce il docente di Genetica dell'università di Udine - se dovessimo affidarci solo a quelle spontanee il miglioramento genetico andrebbe molto a rilento e i tempi non sarebbero compatibili con quelli del cambiamento ambientale. Dobbiamo ricordarci che il miglioramento genetico cerca di adattare la pianta a un ambiente che cambia ad un ritmo molto più veloce. Le piante si trovano a dover fronteggiare continuamente nuovi nemici, come funghi, batteri e virus, in più c’è il cambiamento climatico. Per questi motivi dobbiamo essere noi a guidare l’evoluzione delle piante e se ci dovessimo affidare solo alle mutazioni spontanee le possibilità non sarebbero molto ampie. In passato per riuscire ad ampliare la gamma delle mutazioni disponibili sono state usate tecniche che si basavano su radiazioni o mutageni chimici. Oggi l’editing ci consente di generare nuova variabilità, ma a differenza della mutagenesi è possibile effettuare questa operazione in maniera mirata, avendo a disposizione la conoscenza di qual è la mutazione che mi serve per ottenere l’effetto voluto. E’ quindi possibile utilizzare l’editing per produrre quella mutazione senza che se ne producano migliaia di altre non desiderate". E sono processi che non rientrano nell'ambito degli Ogm perché "diversamente dalla tecnica con cui sono stati fino ad oggi prodotti gli Ogm arrivati sul mercato non si va ad inserire un nuovo gene: gli Ogm che conosciamo come tali sono tutti organismi che contengono al loro interno un gene che è stato inserito attraverso tecniche di ingegneria genetica e che viene da un’altra specie con cui non si sarebbe potuta incrociare", puntualizza Michele Morgante.

Il miglioramento genetico delle colture potrà inoltre dare un contributo molto importante per rispondere alla sfida a cui è chiamata a confrontarsi l'agricoltura: quella di produrre di più consumando meno fattori di produzione come terreni, acqua, prodotti chimici e fertilizzanti. "Sarà solo attraverso tecnologia e innovazione che potremo vincere questa sfida", afferma il professor Morgante. "In questi giorni l’Ue sta lanciando il suo nuovo programma di finanziamento della politica agricola, la Pac del futuro, e vuole puntare con forza sulla sostenibilità. E’ però necessario che la sostenibilità sia non solo ambientale ma anche economica. La genetica ha storicamente avuto un ruolo importante nel migliorare le rese e la sostenibilità. Grazie a tecnologie come l’editing genetico nei prossimi anni potrà averlo anche di più di quanto non sia accaduto in passato. Affinché ciò avvenga occorre che ci sia un grosso sforzo congiunto tra mondo della ricerca e mondo della produzione per produrre da un lato quella scienza che ci consenta di sfruttare al meglio le potenzialità dell’editing, perché dobbiamo scoprire tutti quei geni che controllano le caratteristiche che vogliamo migliorare, e dall’altro lato è fondamentale che gli agricoltori accettino queste tecnologie e le comunichino correttamente ai consumatori. Se saremo in grado di fare questo, attraverso l’editing ma anche attraverso tutte le innovazioni dell’agricoltura digitale, saremo in grado di produrre alimenti più salubri sia per l’uomo che per l’ambiente perché potremo migliorare caratteristiche quali la tolleranza alla siccità, la capacità delle piante di utilizzare adeguatamente i fertilizzanti e di difendersi da sole dai nemici senza l’uso di prodotti chimici".

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