In Italia, e non solo, quella per il ‘gluten free’ sembra essere una vera e propria tendenza. A seguire una dieta che escluda alimenti contenenti glutine, sono circa sei milioni di persone e le ragioni sono diverse. Chi sceglie questo tipo di alimentazione, lo fa perché celiaco o allergico, ma anche per moda, o perché convinto senza averne la certezza di non poter assumere questa sostanza, per stile di vita,o perché convinto che questo tipo di scelta alimentare possa portare benefici alla salute e soprattutto far dimagrire. Ma partiamo dall’inizio. Che cos’è il glutine? “È il complesso delle proteine di riserva (gliadine e glutenine) della cariosside di frumento che, insolubili in acqua, hanno la capacità di formare, dopo idratazione e lavorazione, un reticolo tridimensionale in grado di trattenere i granuli di amido e i gas della lievitazione – spiega Andrea Curioni, docente di Scienze e Tecnologie alimentari dell’università di Padova”. Per queste caratteristiche il glutine di frumento costituisce l’elemento fondamentale che consente la produzione di impasti che possono essere trasformati in prodotti lievitati da forno o pasta. “Un numero sempre maggiore di persone - continua il professore - quando consuma alimenti contenenti frumento, accusa i sintomi di patologie tipicamente provocate dall’assunzione di questo cereale (ma anche da orzo e segale): la celiachia (che colpisce persone geneticamente predisposte e comporta un’infiammazione permanente dell’intestino), l’allergia alimentare (di cui però possono essere responsabili oltre alle proteine del glutine anche altri componenti proteici solubili delle farine) e la più recentemente codificata ‘Sensibilità al Glutine Non Celiaca’ (NCGS) che comporta una serie di disturbi simili a quelli della celiachia, ma agisce con meccanismi del tutto diversi e ancora non completamente noti”. Per queste persone, l’astenersi da prodotti contenenti glutine diventa una necessità.
Resta il fatto, però, che anche soggetti ‘sani’, mangiando pasta, pane o pizza possono soffrire di disturbi quali gonfiore o dolori addominali. “L’origine di questo tipo di disturbi - prosegue il docente - potrebbe derivare da una difficoltà digestiva collegabile a metodi di trasformazione tipici di alcuni prodotti lievitati e della pasta che negli anni si sono evoluti verso sistemi più favorevoli ad ottenere prodotti con caratteristiche migliori dal punto di vista tecnologico, trascurando però gli effetti sul benessere del consumatore”.
“ In ogni caso, eliminare gli alimenti contenenti glutine oltre che aver poco senso per le persone non malate, può essere anche sconsigliabile da un punto di vista nutrizionale.
Il consumo di prodotti gluten-free può comportare infatti, dal punto di vista dei nutrienti, alcune deficienze e alcuni eccessi. Le prime riguardano soprattutto la fibra, micronutrienti (come zinco, magnesio, ferro, calcio) e alcune vitamine come (B, D e acido folico). Gli eccessi, invece, sono spesso legati all’energia (i prodotti gluten-free spesso contengono molti zuccheri, che tra l’altro tendono a innalzare l’indice glicemico, con conseguente aumento del rischio di obesità e di altri problemi) e ai grassi, soprattutto saturi, spesso di qualità discutibile. È necessario quindi che, chi utilizza una dieta priva di glutine, sia ben attento non solo alla qualità dei prodotti che acquista, leggendo attentamente gli ingredienti e il valore nutrizionale riportati in etichetta, ma che compensi anche con altri cibi eventuali deficienze.
“Il mercato dei prodotti senza glutine – spiega Curioni - ha mostrato negli ultimi anni, un aumento esponenziale con la produzione di nuovi alimenti che tentano, e qualche volta in parte ci riescono, di avvicinarsi ai prodotti che tradizionalmente derivano dalla lavorazione della farina di frumento, come pane, pasta, pizza, dolci e così via. La produzione di questi nuovi alimenti senza glutine o senza grano è però non facile e rappresenta una sfida continua per l’industria alimentare, che deve ricorrere ad artifici complessi che comportano l’uso di tecnologie particolari e/o l’utilizzo di particolari additivi per ottenere una qualità, soprattutto in termini organolettici, che non sempre, e forse quasi mai, corrisponde a quella di un buon prodotto tradizionale”. Seguire una dieta ‘gluten free’ quindi, non solo può non far bene ma è anche piuttosto dispendioso visto il costo dei prodotti.
Secondo quanto riferito dall’ osservatorio agroalimentare di Coldiretti infatti, il mercato degli alimenti senza glutine è in continua crescita. In Italia vale oggi circa 300 milioni di euro con un tasso di crescita annuo medio del 30%. In tutto il mondo il giro di affari per questo tipo di prodotti ha raggiunto nel 2016 oltre i quattro miliardi e mezzo di dollari, una cifra destinata a triplicare entro dieci anni. Dal 2001 ad oggi la disponibilità di alimenti gluten free, una volta venduti solo ed esclusivamente nelle farmacie, è passata nel Registro nazionale dei prodotti senza glutine, da 281 tipologie a 6.500. Altra cosa, e decisamente altri numeri invece, sono quelli relativi alla celiachia, patologia cronica riconosciuta in Italia nel 2016 a quasi 16.000 persone (oltre 5000 in più rispetto all’anno precedente) e non ancora diagnosticata invece, secondo quanto riferito dalla Relazione annuale del 2016 sulla celiachia del ministero della Salute, a circa 400.000 soggetti.