SOCIETÀ

Hiroshima, 75 anni dopo il primo peccato della fisica

È un mattino sereno sui cieli del Giappone, quello del 6 agosto 1945. Settantacinque anni fa.

A diecimila metri di altezza, il colonnello Paul Tibbets, al comando del suo B-29, ribattezzato Enola Gay, dà un ultimo sguardo alla città sottostante: Hiroshima.

 Sono le 8.14. L'equipaggio dell'Unità Speciale 509 inforca gli occhiali di protezione. Thomas Ferebee, addetto allo sganciamento delle bombe, inquadra il ponte di Aioi nel reticolo dell'alzo. Poi lascia andare il suo caricoUn mostro di quattro tonnellate, con all'interno un cuore di 235U, uranio 235, puro. Che precipita, oscillando, verso terra.

… 41, 42, 43 secondi. Via! Il radar aziona l'innesco. Come previsto a 580 metri dal suolo, Little Boy, la bomba, esplode.

Un lampo di fuoco. Un fungo di polvere. Una città che non c'è più. Tra 90 e 120.000 i morti.

Quel giorno, alle 8 e spiccioli del mattino la fisica conosce il peccato. 

«Dio mio cosa abbiamo fatto!», esclama il secondo pilota, Robert Lewis. Si ritorna alla base.

L'8 agosto Josip Stalin dichiara guerra al Giappone.

Il 9 agosto, su Kokura ci sono nuvole basse. Le nuvole della salvezza. L'aereo cambia obiettivo. Alle 11 del mattino è su Nagasaki. Fat Man, la bomba, questa volta, ha un cuore di plutonio: 239Pu, scrivono i fisici.  Anche questa, in un amen, si porta via un'intera città. I morti, si calcola, questa volta sono tra 60.000 e 70.000.        Il 13 agosto il Giappone offre la resa. Senza condizioni.

Vinto dal radar, il conflitto è terminato da due bombe atomiche. Decisamente la Seconda guerra mondiale è stata la guerra dei fisici. 

Sarà Robert Oppenheimer, il fisico che è il direttore scientifico del Progetto Manhattan, quello che ha realizzato la bomba a riconoscere, tre anni dopo, nel 1948, che a Hiroshima e a Nagasaki, «in qualche modo brutale che nessuna volgarità, nessuna battuta spiritosa, nessuna esagerazione potrà mai cancellare completamente, i fisici hanno conosciuto il peccato».

Cosa l’abbia portata a conoscerlo, il peccato di Hiroshima e di Nagasaki, è cosa nota e qui la riassumeremo solo in breve. Alla fine del 1938 a Berlino il chimico Otto Hahn e il suo collaboratore Fritz Strassmann spaccano il nucleo dell’atomo. L’esperimento era stato progettato da Lise Meitner, ma la donna ebrea aveva dovuto riparare precipitosamente in Svezia per sfuggire ai lager di Hitler. Ed è lei a spiegare, con il nipote Otto Frisch, cosa è successo. Pochi mesi e tutti comprendono che la fissione dell’atomo può trasformarsi nella più micidiale arma di distruzione di massa della storia. Il 2 agosto 1939 Albert Einstein avvisa il presidente degli Stati Uniti di questa possibilità, alla portata dei tedeschi. 

Devono passare però, ancora alcuni anni prima che il 2 dicembre 1942 Enrico Fermi a Chicago dimostri che la fissione dell’atomo può sviluppare una reazione nucleare a catena. Subito dopo a Los Alamos, sotto la direzione scientifica di Robert Oppenheimer e con la partecipazione dello stesso Fermi, inizia la costruzione della bomba. Due anni e mezzo dopo, il 16 luglio 1945, la teoria diventa pratica: il Trinity Test effettuato ad Alamogordo, nel New Mexico, dimostra cha la bomba dei fisici funziona. In meno di sei anni una scoperta per così dire di base si è trasformata in un’arma micidiale. Robert Oppenheimer, cui non manca la battuta spiazzante, assistendo a quel risultato, esclama: «Now we are all sons of bitches», ora siamo tutti figli di puttana.

Tra settimane dopo Hiroshima e poi, ancora, Nagasaki: la fisica conosce il peccato.

Non solo la fisica, per la verità. E neanche soprattutto la fisica. Principale responsabile di quelle tragedie è la politica. Le potenze fasciste che hanno scatenato la guerra (Germania, Italia, Giappone), in primo luogo. Il governo degli Stati Uniti che ha deciso di utilizzare la bomba, inaugurando l’era del terrore nucleare. 

Poteva evitare l’amministrazione Truman di lanciare le bombe (una all’uranio, l’altra al plutonio) su Hiroshima e Nagasaki? Henry Stimson, segretario alla Guerra degli Stati Uniti durante la guerra, pubblicherà, nel 1947, un articolo sull’Harper’s Magazine, intitolato The Decision to Use the Atomic Bomb: la decisione di usare la bomba atomica. La tesi di Stimson è che l’unica alternativa al bombardamento di Hiroshima e Nagasaki per porre fine alla guerra nel Pacifico – quella in Europa era terminata a maggio – era mettere gli stivali sul terreno: ovvero un’invasione del Giappone, che sarebbe costata almeno un milione di vite umane. 

Questa tesi fu espressa anche al comitato consultivo di Los Alamos, costituito da quattro scienziati: Robert Oppenheimer, Enrico Fermi, Ernest Lawrence e Arthur Compton. Sulla base di questa convinzione e dopo molti giorni di dibattito i quattro diedero parere favorevole allo sganciamento delle bombe sul Giappone. Anche per questo Oppenheimer dirà che la fisica ha conosciuto il peccato.

Nei giorni scorsi The Bulletin of The Atomic Scientist, la rivista nata appena dopo Hiroshima e Nagasaki con uno scopo di cui parleremo tra poco, ha pubblicato uno speciale su quegli eventi. E un articolo affronta proprio il tema delle alternative all’uso della bomba atomica sul Giappone.

Ebbene, secondo i due autori di questo articolo – Benoît Pelopidas e Kjølv Egeland – di alternative ce n’erano parecchie. In primo luogo la tesi del milione di vite di soldati americani da salvare non era fondata: i vertici militari avevano studiato degli scenari per un’eventuale invasione del Giappone e sapevano che i costi (sempre altissimi) di vite umane americane non sarebbero arrivate a 50.000. Ma anche questo probabilmente era uno scenario pessimista, date le condizioni in cui si trovava l’esercito giapponese all’inizio dell’agosto 1945. 

Né vale la tesi dell’intimidazione: guarda quanto sono forte, che ti posso spazzare in un amen. Un effetto psicologico forte sarebbe stato ottenuto anche fornendo una pubblica dimostrazione su un’isola deserta del pacifico, come pure qualcuno andava sostenendo.

Quanto alla tesi che Hiroshima e Nagasaki avrebbero indotto il Giappone alla resa incondizionata è anch’essa esagerata. A indurre alla resa fu la dichiarazione di guerra al Giappone effettuata dall’Unione Sovietica l’8 agosto, due giorni dopo Hiroshima. Se mai i giapponesi avessero pensato di poterlo fare con gli Stati Uniti, nessuno poteva pensare di resistere a Stati Uniti e Unione Sovietica insieme. Così il Giappone preferì arrendersi agli americani.

Ma se tutto questo è chiaro, allora perché furono costruite le bombe e utilizzate contro il Giappone? In un altro articolo dello speciale di The Bulletin of The Atomic Scientists si ventila la possibilità che dietro la decisione ci sia stata anche una vena razzistica: i “gialli” erano ritenuti da molti negli USA degli esseri umani inferiori.

Ma molto probabilmente la decisione fu politica e riguardava il futuro. Come ebbe a confidarsi il direttore militare del Progetto Manhattan, Leslie Groves, già nel 1944 con alcuni scienziati che sostenevano, lì a Los Alamos, che la bomba voluta dai fisici come deterrente contro un’eventuale atomica tedesca non aveva più motivo di essere costruita. Irritato, Groves rispose che la bomba non veniva costruita contro i tedeschi – ormai sostanzialmente sconfitti – ma contro i sovietici. L’URSS è un alleato di oggi, ma diventerà l’avversario di domani.

Dunque, Hiroshima e Nagasaki furono vittime della decisione di mostrare all’alleato nemico qual sarebbe stata la potenza leader al mondo a guerra finita. 

Ora torniamo al 1948 e alla dichiarazione di Oppenheimer: la fisica ha conosciuto il peccato. Quando il direttore scientifico del Progetto Manhattan pronuncia queste parole, in realtà la fisica – una parte cospicua dei fisici – non solo ha conosciuto il peccato, ma lo ha anche riconosciuto. 

Ha riconosciuto l’errore e cerca in tutti i modi di ricacciare lo spirito atomico dalla bottiglia da cui è uscito. Già durante la guerra, a partire dall’autunno 1944 molti fisici che hanno partecipato al Progetto Manhattan – Leo Szilard, Philip Franks, Niels Bohr e tanti altri – e lo stesso Albert Einstein, che non ha partecipato alla costruzione dalla bomba, si sono dati da fare per fermare tutto. Visto che Hitler è stato sconfitto e la Germania non si è dotata dell’arma atomica, perché continuare?

Questi fisici perdono la partita. E Hiroshima e Nagasaki solo lì a dimostrarlo. Ma non perdono le speranze di bloccare sul nascere l’era atomica. Non entriamo nei particolari, ma già dal settembre 1945 nasce un movimento di scienziati atomici che si batte per bloccare la proliferazione nucleare. Questo movimento può contare su decine di scienziati che fanno ancora parte del Progetto Manhattan, giovani e meno giovani. Il gruppo pubblica già a novembre 1945 una propria rivista, The Bulletin of the Atomic Scientist. 

Nell’ambito di questo movimento diventa pressante la discussione sulla responsabilità sociale degli scienziati, non come singole persone ma come comunità, tema su cui ancora oggi si discute e su ambiti molto diversi dall’ambito militare. Gli scienziati atomici pensano in un primo momento di avere una capacità negoziale paritaria con i politici. Ma presto, molto presto, si rendono conto che non è così. Ed ecco la novità. 

Gli scienziati atomici si rendono conto che se vogliono raggiungere il loro obiettivo devono elaborare una politica delle alleanze. Per stabilirla, questa alleanza, non c’è nulla di meglio che coinvolgere ancora una volta Albert Einstein.

Il fisico tedesco viene insediato alla presidenza dell’Emergency Committee of Atomic Scientists (ESAC), un’associazione che tra i suoi dirigenti ha Harold Urey (vicepresidente), Hans Bethe, Thorfin Hogness, Philip Morse, Linus Pauling, Leo Szilard, Victor Weisskopf.  E Il 22 gennaio 1947 Albert Einstein riprende la penna per scrivere una nuova lettera. «Caro amico, ti scrivo …». 

La lettera, questa volta, è indirizzata non al presidente degli Stati Uniti, ma al grande pubblico. Per ricordare a tutti che lo spirito uscito dalla bottiglia ha una potenza enorme, che eguaglia per capacità di incidere nei rapporti tra gli uomini la scoperta del fuoco da parte delle nuove generazioni. 

Che contro questo spirito non c’è difesa possibile se non attraverso la «vigile comprensione» e la mobilitazione di tutti i cittadini del mondo. 

E che, infine, gli scienziati hanno una responsabilità cui non possono sottrarsi: fornire a tutti i cittadini del mondo gli strumenti minimi indispensabili per comprendere «i fatti relativi all’energia atomica e alle sue implicazioni per la società».

Insomma, nella storia nucleare irrompono le grandi masse e irrompe la comunicazione tra gli scienziati esperti e il grande pubblico. E ciò costituisce una novità assoluta. Per due motivi. Perché nella vicenda atomica entra un nuovo protagonista attivo, l’opinione pubblica o, se si vuole, le grandi masse. E perché i primi a evocare, anzi a invocare, l’irruzione dell’opinione pubblica come nuovo protagonista attivo nella politica nucleare sono gli scienziati, molti dei quali hanno avuto e hanno ancora un ruolo da coprotagonisti in quella vicenda.

È difficile sopravvalutare la portata della svolta nella nuova e già intensa vicenda atomica. Einstein e l’Emergency Committee of Atomic Scientists propongono un’alleanza tra la comunità scientifica e i cittadini tutti. Una proposta di estrema attualità Sia per riprendere il loro progetto specifico – un mondo privo di armi atomiche – che da tempo si è arenato sia, più in generale, per dar sì che la scienza non sia a vantaggio solo di alcuni ma dell’intera umanità.

Ecco la lettera in cui gli scienziati atomici riconoscono il peccato. Ecco il fiore che nasce sulle macerie immonde di Hiroshima e Nagasaki: la fiducia che un cittadino informato possa agire per il bene e non per il male.

«Dear Friend, I write to you …». 

Caro amico,

ti scrivo per avere il consiglio di un amico.

Con la liberazione dell’energia atomica, la nostra generazione ha portato nel mondo la forza più rivoluzionaria dopo la scoperta del fuoco da parte dell’uomo preistorico. La forza fondamentale dell’universo non può essere in alcun modo adattata al concetto ormai superato dei ristretti nazionalismi. Contro di lei non c’è segreto e non c’è difesa; non c’è possibilità di controllo se non attraverso la vigile comprensione e l’insistenza dei cittadini di tutto il mondo.

Noi scienziati riconosciamo di avere la responsabilità, cui non possiamo sottrarci, di fornire ai nostri concittadini la comprensione dei fatti semplici relativi all’energia atomica e alle sue implicazioni per la società. In ciò risiede la nostra unica sicurezza e la nostra unica speranza – noi crediamo che un cittadino informato agirà per la vita e non per la morte.

Abbiamo bisogno di 1.000.000 di $ per questo grande sforzo educativo. Sostenuti dalla fiducia nella capacità dell’uomo di controllare il suo destino con l’esercizio della ragione, abbiamo solennemente impegnato tutta la nostra forza e tutta la nostra conoscenza in questa attività. Io non esito a chiederti di aiutarci.

Sinceramente tuo,

A. Einstein

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