CULTURA

Immortalità? Letteratura e cinema ci mettono in guardia sulla trappola del prossimo secolo

L'immortalità, da super potere quale era, si sta lentamente trasformando in qualcosa che potrebbe entrare a far parte delle nostre vite, o almeno di quelle dei nostri nipoti. Ha cominciato il miliardario russo Dmitry Itskov con il suo Project 2045 che si propone di far trasmigrare la coscienza umana in un cyborg, ottenendo così l'immortalità spirituale al prezzo di un'auto, neanche troppo costosa. Funzionerà? Lo sapremo nel 2045, ma nel frattempo, se la cosa interessa, è comunque meglio mettersi a risparmiare: l'immortalità potrebbe non costare troppo, ma dobbiamo entrare nell'ordine di idee che lo Stato non potrà pagare le pensioni a tutti i cyborg. All'immortalità fisica aspira invece Jeff Bezos,che ha investito in Altos Labs, una start-up che vorrebbe arrivarci tramite la riprogrammazione biologica. In realtà in questo caso non si parla di evitare la morte, ma di rallentare sensibilmente l'invecchiamento (si parla di 50 anni di vita in più, tanto per cominciare).

È tutto estremamente affascinante, ma siamo sicuri che sia una buona idea? Da secoli la letteratura, e più recentemente anche il cinema, ci mettono in guardia: l'immortalità non è proprio una botta di vita (scusateci). Scherzi a parte, pensiamo solo all'emblema dell'immortalità nel mondo del cinema: Highlander, tratto da un racconto di Gregory Widen, narra le gesta di Russell Nash, un antiquario immortale che dal 1536 lotta contro altri come lui (ne rimarrà uno solo, ma ci vorrà qualche sequel) per ottenere l'ambita ricompensa: una vita normale, con moglie, figli ma soprattutto con una fine, esattamente come quella di (quasi) tutti gli altri. Può sembrare strano che Nash sia così desideroso di morire, ma del resto

Cos'è che uccide? Che cos'è che conduce alla morte? La vita, con la sua lima assidua: dolori e piaceri, preoccupazioni e gioie, desideri e soddisfazione di essi, pensiero e giuoco: sensazioni, fatti di coscienza. Vuoi essere immortale? Rinuncia alla vita Giuseppe Rensi

E quello di Nash non è un caso isolato. Nella letteratura e nel cinema ci sono vari livelli di immortalità, ma nella maggior parte dei casi sembra più una maledizione che un dono: non citiamo gli zombie in stile Romero, che prima di diventare immortali sono morti in maniera piuttosto atroce, e che come se non bastasse sono perseguitati da una fame atavica e comunque non sono del tutto indistruttibili. Ma anche i ben più romantici vampiri mostrano di non apprezzare un gran che la loro condizione: Lestat di Intervista col vampiro è uno dei personaggi più malinconici che la letteratura horror ha saputo creare, e anche il più pop Edward Cullen di Twilight definiva l'immortalità come una maledizione (ma in quel caso lo comprendiamo: ricoprirsi di glitter alla luce del sole metterebbe in seria difficoltà anche noi). Anche il protagonista della serie tv Forever di Ioan Gruffudd desidera profondamente abbandonare questo mondo, perché continua a perdere le persone che gli stanno a cuore: se non hai la fortuna di vivere con altri in un eterno presente come fa Peter Pan, questo è un altro fattore da considerare prima di rallegrarsi per il dono dell'immortalità. Non è un problema insormontabile, la protagonista di Adaline - L'eterna giovinezza di Lee Toland Krieger è riuscita a venirci a patti, ma bisogna essere preparati.

Gli unici film dove vivere per sempre è un obiettivo ambito sono gli horror in cui la vita eterna è ottenuta attraverso riti satanici e sacrifici umani: per citarne solo alcuni abbiamo il recentissimo The manor di Axelle Carolyn, il sofisticato Scappa - Get out di Jordan Peele e un dignitoso B-movie come Nel nome del maligno di Roberta Findlay. Volendo essere pignoli, comunque, l'immortalità per qualcuno rimane anche qui un po' una fregatura , anche se non per chi la ottiene.

Ci sono poi pellicole che prevedono personaggi ibridi, non propriamente immortali: non invecchiano mai, però possono morire se qualcuno li uccide, come gli elfi o Il Dottore di Doctor Who, che inanella varie "rigenerazioni", ma che rischia di non farcela se un nemico tenta di farlo fuori durante una di esse. Non parliamo quindi di un immortale, ma di un personaggio che è solo molto più longevo degli altri, quasi quanto la programmazione della serie stessa, durata ben 58 anni (le rigenerazioni  tra l'altro permettevano anche di cambiare l'attore protagonista, perché mantenere lo stesso per così tanti anni non era fattibile). In genere questi personaggi non sono particolarmente tormentati dalla loro potenziale vita infinita, hanno problemi più seri, come per esempio orchi e giganti, ma forse è proprio perché la loro immortalità è solo parziale che non ne sentono il peso (quindi Jeff Bezos avrebbe fatto una scelta migliore rispetto a Dmitry Itskov).

Cinematograficamente, però, ci sentiremmo di appoggiare il russo: il tema, infatti, sta dando il meglio di sé in chiave fantascientifico-distopica. Il vecchio stilema del sacrificio umano è stato adeguato ai tempi, e ora i "sacrificati" diventano fornitori di "pezzi di ricambio" per i più ricchi (da Non lasciarmi, tratto dall'omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro a The Island di Michael Bay), che fanno prelevare gli organi dei loro cloni quando cominciano ad ammalarsi. Una patina di critica sociale è presente anche in film come Elysium di Neill Blomkamp e in quel piccolo gioiellino che è In time di Andrew Niccol: la società è spaccata, e se da una parte i ricchi hanno la possibilità di vivere per sempre, o comunque molto a lungo, l'esistenza dei poveri si è ridotta alla mera sopravvivenza. Nel film di Niccol il tempo è una moneta di scambio: si cresce fino a 25 anni, poi sul braccio appare un timer che comincia un conto alla rovescia, al termine del quale muori. Il lavoro viene pagato in altro tempo da vivere, e i minuti possono essere scambiati con cibo e generi di lusso. I ricchi possono vivere in eterno, salvo clamorosi crack finanziari, i poveri devono passarsi a vicenda preziosi minuti nel momento del bisogno.

E poi c'è l'immortalità digitale, che poi è proprio quella a cui sta lavorando Dmitry Itskov (consigliamo Trascendence di Wally Pfister e il primo episodio della seconda serie di Black mirror, che si intitola Torna da me e immagina la possibilità di ricreare dei robot con le fattezze e i caratteri dei cari estinti, basandosi sulla loro attività social che a quanto pare basta a definirli). Anche in questo caso, però, qualcuno ci mette in guardia: Pat Cadigan, esponente del cyber femminismo e autrice di storie di fantascienza, in un'intervista a Repubblica dichiara:

«Se qualcuno mi chiedesse se voglio essere immortale, se voglio che si conservi il ricordo di ciò che sono, direi che da un lato l'immortalità è un termine inesatto se applicato al cyberspazio. A mio parere, la vita implica evoluzione, cambiamento, crescita, e non penso che ciò che viene conservato, fosse anche nel cyberspazio, ha necessariamente l'opportunità di svilupparsi come un'entità vivente. Perciò, l'immortalità in termini di vita eterna, non credo sia possibile, ma posso sempre accontentarmi di venire ricordata in eterno».

Da qualsiasi angolazione la si guardi, insomma, l'immortalità non sembra un grande affare, e forse sarebbe meglio starci distanti. Certo, poter scegliere questa strada non implica un obbligo, ma vai tu a conoscere i risvolti distopici che da qui a 100 anni potrebbero trasformare la nostra società: le premesse non sembrano essere le migliori, anche perché oltre a vivere più a lungo bisognerà trovare il modo di far accettare la nostra presenza a un pianeta sempre più sotto pressione. Rimane però un dubbio: non è che questa visione pessimista e un po' inquietante potrebbe configurarsi come la storia della volpe e l'uva? L'immortalità è davvero acerba o registi e sceneggiatori appartengono all'esercito dei "Vorrei Ma Non Posso"? Solo il tempo ce lo dirà, ma nell'attesa e nel dubbio è meglio andarci cauti, praticare una dieta sana e fare sport.

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