‘Se me lo ha consigliato, allora vuol dire che ne vale pena e allora credo lo comprerò’. Quante volte abbiamo fatto acquisti condizionati dal parere o dai consigli di qualcuno di cui ci fidiamo? Su questo semplice ed essenziale ragionamento si fonda anche il mercato degli influencer, il cosiddetto influencer marketing. Lo dice la parola stessa, l’influencer è qualcuno che, acquisita la fiducia di chi lo segue, è capace di condizionarne le scelte (in questo caso d’acquisto).
Il contesto di riferimento è quello dei social network (Instagram, YouTube, Facebook, blog…) un mondo verso cui i brand indirizzano sempre più di frequente i propri interessi pubblicitari. Se prima infatti, le aziende si rivolgevano alle agenzie di advertising per sponsorizzare i propri prodotti, ora sempre più spesso scelgono di associarli al nome, al volto, alle parole di questi ‘big del web’, figure che misurano la propria autorevolezza e celebrità sulla base del numero di like, di click, di follower. “Si tratta di forme di comunicazione cosiddette ‘below the line’, che non prevedono cioè un intervento diretto dell'impresa e vengono quindi percepite dai consumatori come più genuine e sincere – spiega Alberto Alvisi, professore presso il dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’università di Padova -. Il fenomeno, caratteristico delle economie di rete, prevede che una volta raggiunto un certo livello di attenzione, si inneschi un meccanismo a valanga che alimenta spontaneamente la sua visibilità”.
Il fenomeno coinvolge soprattutto il mondo della moda, dell’abbigliamento, del lusso ma ad utilizzare questa forma di comunicazione sono sempre di più anche le imprese che fanno capo ad altri settori (viaggi, sport, benessere...). “Gli influencer sono 'efficaci' perché parlano con un pubblico specifico – racconta Marco Bettiol, professore di Internet marketing all’ateneo patavino – un pubblico che a sua volta si riconosce in queste figure, in quello che pubblicano e pensano e che con loro instaura quindi un rapporto di fiducia piuttosto forte. Questo tipo di mercato è in continua evoluzione – continua il professore – è la cosa interessante che sta emergendo oggi è che molti di questi influencer stanno diventando veri e propri creativi che co-partecipano, assieme all'azienda, alla definizione del messaggio comunicando in modo nuovo e diverso il prodotto”.
Da sempre pubblicità fa rima con celebrità. Questo valeva per i media ed è stato, ed è così ancora oggi, anche per i social network. Tuttavia è sempre più frequente incontrare aziende che procedono in direzione contraria, verso quello che viene definito cioè, il micro influencer marketing. Questo tipo di mercato si fonda sugli stessi meccanismi del tradizionale influencer marketing applicandoli però su scala minore. Oltre ad un numero inferiore di follower, il micro influencer marketing infatti, prevede la partecipazione attiva e responsiva dei fan e dello stesso influencer che gestisce e aggiorna in maniera autonoma i propri profili.
Sebbene la definizione di ‘micro’ faccia pensare a un ‘business in piccolo’ i vantaggi di questo nuovo mercato, sembrano in realtà essere diversi: un tasso di coinvolgimento maggiore, una comunicazione più specifica, diretta ed efficace, costi (di ingaggio) minori per le aziende, più autorevolezza e trasparenza nei contenuti e una maggiore equità tra chi di questo fa (o desidera fare) un mestiere.
“Ad oggi sono ancora pochissimi gli influencer (e sono soprattutto donne) che riescono a vivere di questa professione – prosegue Bettiol. La maggior parte guadagna poco e integra questo mestiere con altre fonti di reddito. Questo è ancora un mercato piramidale, ancora poco aperto e poco democratico ma forse le prospettive potrebbero cambiare”.