SCIENZA E RICERCA

Le insidie di Sars-CoV-2 nei suoi complessi meccanismi biologici

Si stima che siano apparsi in natura tra i 10 mila e i 300 milioni di anni fa, ma abbiamo iniziato a identificarli con precisione solo negli anni ’60 del secolo scorso quando alcuni ricercatori in Gran Bretagna e negli Stati Uniti isolarono due virus che causavano raffreddori comuni tra gli esseri umani. Analizzandoli al microscopio, gli scienziati si accorsero che la loro struttura, caratterizzata da protuberanze proteiche spinose, era simile a quella di alcuni virus che già all’inizio del Novecento avevevano attratto l’attenzione dei veterinari, in quanto capaci di debilitare fortemente alcuni animali. Proprio questa similitudine nel loro aspetto, che li porta ad assumere una peculiare forma simile a una corona, indusse i ricercatori a coniare, nel 1968, il termine “coronavirus” per l’intero gruppo. Fino al 2003, quando scoppiò l’epidemia di Sars, si pensava che questa tipologia di virus non potesse rappresentare un vero pericolo per l’uomo e si limitasse a provocare i sintomi blandi che accompagnano normalmente un raffreddore. Qualche anno dopo, tra il 2012 e il 2013, nel gruppo di coronavirus ne è apparso uno ancora più insidioso: Mers-CoV, responsabile della sindrome respiratoria medio-orientale, caratterizzato da una letalità superiore al 30% ma con una capacità di trasmissione da uomo a uomo non particolarmente elevata.

Qual è invece il profilo di Sars-CoV-2, il virus che da Wuhan in pochi mesi è arrivato in tutto il mondo portando, l’11 marzo 2020, alla dichiarazione di pandemia globale da parte dell’Oms?

Un articolo di David Cyranoski su Nature ricostruisce la ipotesi sulla linea di discendenza dei coronavirus da cui proviene Sars-CoV-2 e analizza le caratteristiche che rendono questo patogeno così insidioso. Intitolato “Profile of a killer: the complex biology powering the coronavirus pandemic”, l’articolo approfondisce attraverso le osservazioni di esperti - biologi evoluzionisti, virologi, patogeni, infettivologi, pneumologi ed epidemiologi di diverse università del mondo - i complessi meccanismi biologici del nuovo coronavirus, dalla capacità con cui riesce ad entrare nell’organismo umano attraverso molteplici vie di accesso, al sofisticato meccanismo di correzione degli errori di replicazione del genoma che impedisce al virus di accumulare mutazioni che potrebbero indebolirlo. L’ormai famosa proteina di superificie Spike è capace di agganciarsi con estrema facilità al recettore Ace2 che è presente non solo sulle cellule dei polmoni, ma anche nel cuore, nei reni, nell’intestino e in tutto il corpo sul rivestimento interno dei vasi sanguigni. Questo meccanismo semplifica l’ingresso e la replicazione di Sars-CoV-2 ma si sospetta che il virus riesca ad avvalersi anche di un altro enzima, detto furina, presente in tutto il corpo e usato anche dai virus Ebola e HIV per entrare nelle cellule.

Abbiamo chiesto alla professoressa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova e direttrice dell'Istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza, di spiegarci cosa contraddistingue la famiglia dei coronavirus e quali meccanismi di azione permettono a Sars-CoV-2 di aggredire l'organismo umano con la stessa gravità della Sars ma di essere anche molto più contagioso. 

L'immunologa Antonella Viola illustra i meccanismi biologici del virus Sars-CoV-2. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"I coronavirus - spiega l'immunologa Antonella Viola - sono una famiglia di virus molto antica che causa infezioni negli animali da molto tempo. Questi virus infatti all’inizio sono stati conosciuti per la loro capacità di infettare gli animali. Nel corso del tempo abbiamo capito che alcuni di questi virus sono passati anche all’uomo e probabilmente alcuni hanno anche causato in passato delle epidemie importanti con un’alta mortalità e si sono poi attenuati. Qui si apre un discorso interessante perché occorre capire se sono stati i virus ad essersi indeboliti o se invece il fatto che abbiano circolato per tanto tempo nella comunità abbia permesso di sviluppare una sorta di immunità che in qualche modo attenua la sintomatologia. Fino alla comparsa della Sars i quattro coronavirus che erano riusciti a fare il salto di specie e quindi a passare nell’uomo sono dei virus che ci causano raffreddori stagionali, quindi non particolarmente aggressivi." 

Con l’arrivo della Sars le cose sono cambiate e lo stesso è accaduto poi successivamente con la Mers e adesso con Sars-CoV-2 perché "questi virus - prosegue la professoressa Viola - sono in grado di andarsi a replicare nelle cellule delle vie respiratorie profonde. Mentre i coronavirus che causano il raffreddore si replicano nelle vie aeree superiori, e quindi la sintomatologia è quella delle riniti, quella classica del raffreddore, Sars e Mers colpiscono le vie respiratorie inferiori, quindi arrivano nei polmoni e causano quelle polmoniti gravi che possono essere mortali."

Caratteristica dei coronavirus è anche quella di essere particolarmente grandi, non solo per le dimensioni che si attestano intorno ai 125 nanometri di diametro, ma soprattutto a livello di genoma che con 30.000 basi è il più lungo fra tutti quelli dei virus a RNA. A questo si aggiunge una grande capacità di correggere i propri errori.

"Normalmente - approfondisce Antonella Viola - i virus mutano molto velocemente durante la replicazione e in questo processo replicativo avvengono degli errori. Invece i coronavirus sono molto più conservativi da questo punto di vista perché hanno un meccanismo di proofreading, cioè un meccanismo di riparazione degli errori, che li rende più stabili a livello di RNA. Il Sars-CoV-2 si presenta in modo particolare perché è in grado di fare quello che fanno i coronavirus del raffreddore ma anche quello che fanno Sars e Mers: infetta benissimo le vie aeree superiori, ma arriva anche molto bene nei polmoni, causando appunto polmoniti gravi e la morte in alcuni pazienti. Da cosa dipenda questo comportamento non lo sappiamo esattamente però da un lato vediamo che il suo recettore, la proteina Spike, ha un’affinità molto alta con il nostro recettore, l’ACE2, utilizzato per entrare nelle cellule. Ma in più si sospetta che ci sia qualcos’altro e cioè il coinvolgimento di altri enzimi, come ad esempio la furina che è presente un po’ in tutte le nostre cellule e che facilita l’ingresso del virus all’interno di esse. Quindi è un comportamento davvero molto pericoloso perché lo rende estremamente infettivo ma lo rende anche potenzialmente mortale e capace di provocare una polmonite severa come Sars e Mers".

Il Sars-CoV-2 si presenta in modo particolare perché è in grado di fare quello che fanno i coronavirus del raffreddore ma anche quello che fanno Sars e Mers: infetta benissimo le vie aeree superiori, ma arriva anche molto bene nei polmoni

Del virus Sars-CoV-2 è inoltre ancoro incerto il percorso che lo ha portato ad essere in grado di infettare l'uomo. L'articolo di Nature ricorda che tra i quattro coronavirus che causano raffreddori comuni, due (OC43 e HKU1) provenivano dai roditori e gli altri due (229E e NL63) dai pipistrelli. I tre che sono invece capaci di evolvere in una malattia grave - Sars-CoV, Mers-CoV e Sars-CoV-2 - provengono tutti da pipistrelli.

Sul nuovo coronavirus ci sono però diversi interrogativi: il profilo genetico è identico per il 96 per cento a quello di un virus rilevato in un pipistrello di una grotta dello Yunnan, in Cina, e questo confermerebbe l'ipotesi dell'origine nei pipistrelli. Ma - ricostruisce David Cyranoski - c’è una differenza cruciale perché il virus dei pipistrelli dello Yunnan non sembra dotato di un dominio di legame ai recettori che è invece particolarmente efficiente in Sars CoV-2 e che gli consente di infettare con facilità le cellule umane. 

Non è poi del tutto chiaro quale sia stato l'animale che ha fatto da intermediario prima del salto di specie: alcuni scienziati non concordano con l'ipotesi prevalente, quella che sia stato il pangolino. La somiglianza genetica si limita al 90% e ci sono studi – ancora in attesa di revisione – che suggeriscono che la linea di discendenza dei coronavirus da cui proviene Sars-CoV-2 si sia separata più di 140 anni fa da quella, strettamente imparentata, che si trova oggi nei pangolini. Poi, negli ultimi 40-70 anni, i progenitori di Sars-CoV-2 si sono separati dalla versione dei pipistrelli, che in seguito ha perduto l’efficace dominio di legame ai recettori che era presente nei suoi antenati (ed è tuttora presente in Sars-CoV-2). 

Questi risultati - sottolinea l'articolo - suggeriscono una lunga genealogia, con parecchi rami di coronavirus nei pipistrelli, e forse nei pangolini, dotati dello stesso letale dominio di legame ai recettori di SARS-CoV-2 e alcuni di essi potrebbero essere in grado di causare future nuove pandemie.

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