Foto di Nico Tavernise
Joker era uno dei film più attesi a Venezia 76, e questo per una serie di motivi: i supereroi, e quindi anche i loro antagonisti, godono oggi di una certa popolarità, principalmente grazie alla Marvel. Era forte anche la curiosità verso la performance di un Joaquin Phoenix che dalle prime immagini diffuse ricordava un po’ l’inquietante, e decisamente poco attraente, Jack Nicholson di Shining. Per finire, l’altro film proiettato il 31 agosto, Adults in the room di Costa-Gavras, era destinato a un altro tipo di target, un po' più di nicchia: ecco spiegate le sale piene.
Joker, tecnicamente, non delude le aspettative: il regista, Todd Phillips, costruisce un’ambientazione perfettamente coerente con quella che ricordiamo dalle varie versioni di Batman, ma riesce a dare anche un tocco di originalità grazie alla colonna sonora di Hildur Guðnadóttir che si integra perfettamente con la scenografia dando un quid artistico in più rispetto ai precedenti. L'effetto è quello di una città metropolitana che isola i suoi abitanti, dove il più forte si sfoga contro il più debole che riesce in qualche modo a uscirne solo manifestando una certa dose di pazzia.
Parlare dell’eccellente interpretazione di Phoenix potrebbe sembrare superfluo, ma visto il duro training a cui si è sottoposto per apparire così smagrito e poco in forma sembra carino dedicargli due righe: l'attore rende benissimo la violenza disperata del suo personaggio, che voleva solo far ridere la gente prima che la situazione gli sfuggisse di mano; le sue cinque diverse risate (dovute nella sceneggiatura a un problema neurologico e così forzate da sembrare grottesche, come richiesto dal copione) hanno impressionato il pubblico e contribuito a creare quella vena di inquietudine che pervade la storia della nascita di uno dei cattivi più cattivi dell’immaginario fumettistico e non.
Foto di Nico Tavernise
L’entusiasmo per un film che avrà un sicuro successo al botteghino, è smorzato soltanto dalle risposte evasive del regista in conferenza stampa: più volte gli viene chiesto se nella storia c’è un riferimento alla situazione attuale (il film è ambientato negli anni Ottanta) e tutte le volte lui glissa, per tornare a parlare del personaggio: “Mi ha sempre attratto la complessità di Joker e ho pensato che sarebbe stato interessante esplorarne le origini visto che nessuno lo aveva ancora fatto. Parte del suo mistero stava proprio nel non avere un’origine definita, quindi Silver Scott e io ci siamo seduti a scrivere una versione di come poteva essere prima che tutti lo conoscessimo”.
Joker è insomma presentato come un semplice, per quanto riuscitissimo, studio di personalità. Il crescendo di aggressività, che nasce inizialmente come un meccanismo di difesa e che prende poi vita propria, non troverebbe alcun riferimento nella politica attuale, e nemmeno nei meccanismi sociali individuabili nelle grandi metropoli. Insomma, in poche parole i presenti in sala avrebbero individuato un riferimento del genere solo perché proiettano il loro immaginario su una storia che invece non lo prevedeva, perché il suo obiettivo era concentrarsi su uno e un solo personaggio: un esercizio narrativo e registico interamente votato all’arte (e Joker stesso ribadisce più volte di non essere interessato alla politica). La violenza di Joker, che non si fa scrupolo a freddare un collega che lo aveva calunniato e a soffocare una madre “scomoda”, appare forse un po’ eccessiva, se ci si limita all’esercizio di stile. Rimangono aperte alcune domande: al regista e allo sceneggiatore è forse sfuggita la loro creatura, che ha preso la parola per comunicare riferimenti all’attualità che loro non avevano ideato? Oppure gli spettatori hanno unito i puntini travalicando le intenzioni di Todd Phillips e inserendo un background che è più loro che del personaggio? Queste domande rimarranno senza risposta, ma forse non è importante: la regia, la fotografia, le scenografie e naturalmente la brillante interpretazione di Joaquin Phoenix e Robert De Niro valgono comunque il prezzo del biglietto.