SOCIETÀ

L'altro lato del conflitto: la guerra della (dis)informazione a colpi di smartphone

Non c'è alcuna guerra in Ucraina. Anzi, c'è, ma è quella civile che hanno cominciato gli ucraini contro i russi che risiedevano nei loro territori, ancora nel 2014. E comunque, mentre i giornalisti tengono l'elmetto per farci credere che la situazione sia pericolosa, i locali vanno a fare la spesa tranquilli e beati. I video dei bombardamenti? Tutti contraffatti! E poi, perché nessuno parla più di Covid? Probabilmente la guerra è solo una gigantesca montatura che usano tutti gli stati, anche Russia e Ucraina, per distrarre dalla figuraccia che hanno fatto nella pessima gestione dell'emergenza sanitaria. Certo, fa strano vedere sciorinate queste (false) informazioni contraddittorie una in fila all'altra, ma è quello che succede se ci troviamo in qualche giro di complottisti, a cui magari vorremmo rispondere che nella vita vera è già abbastanza complicato organizzare una riunione di condominio, figuriamoci se le grandi potenze riescono a mettersi d'accordo per bombardare il paese che ha pescato la pagliuzza più corta.

In un momento incerto come quello attuale, diventa facile distribuire notizie inventate, decontestualizzate e manipolatorie. Certo, la propaganda non è un'invenzione recente, ma un tempo, pur avendo più o meno gli stessi meccanismi, faceva più fatica a montare casi che portassero acqua al suo mulino, e a tenere in piedi il palco per più di qualche giorno. Ora con Internet possiamo selezionare le nostre fonti di informazione, scartando preventivamente tutto ciò che non corrisponde alle nostre idee precostituite, e per questo motivo quella tra Russia e Ucraina è una guerra che si sta combattendo anche a colpi di post e tweet. Nel momento in cui qualsiasi cittadino dotato di smartphone può diventare l'autore di uno scoop, il panorama si fa variegato: tra deep fake, cioè video creati artificialmente che sembrano reali, foto contraffatte e contenuti fuori contesto, risulta difficile orientarsi non solo per i cittadini, ma anche per gli addetti ai lavori, che rischiano di aumentare la confusione dando credito a fonti solo apparentemente affidabili. Per comprendere meglio il quadro che si sta delineando, abbiamo con noi Luca Zorloni, giornalista e coordinatore di Wired.it

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello

Intanto c'è da chiarire un punto: quando quelle notizie manipolate arrivano su una chat di complottisti, non è un caso. Esiste una sorta di fabbrica di disinformazione coordinata per deviare l'opinione pubblica: parliamo di operazioni sistematizzate che mirano a confondere le persone e anche, spesso, ad alimentare l'odio.
"Nel conflitto tra Russia e Ucraina - conferma Zorloni - assistiamo, in particolare da parte della Russia, all'azione di una grandissima macchina della propaganda che è strutturata in due modi: da un lato c'è la propaganda rivolta all'interno, costituita da un racconto coordinato dai vertici del governo e della presidenza di Putin per orientare l'opinione pubblica all'interno dello stato, mentre dall'altro lato assistiamo alla diffusione verso l'esterno di informazioni manipolate, non corrette o imprecise create per sostenere la posizione russa. È il caso dei media russi in lingua inglese Russian Today e Sputnik che da qualche giorno per effetto delle sanzioni dell'Unione Europea non sono più disponibili in territorio europeo ma non solo: c'è anche una versione più sotterranea alimentata da profili falsi, da bot e troll che condividono e ricondividono informazioni false".

Come sottolinea Zorloni, l'uso di deep fake e immagini manipolate e la diffusione massiva di questi contenuti tramite social, non è una novità: già da anni erano all'opera per far sì che i concittadini in qualche modo giustificassero un eventuale intervento russo nel Donbass e in altri territori.
Questo ci fa comprendere quanto sia importante informarsi solo tramite fonti verificate, e, giusto per chiarire, i social network non lo sono: un esempio è stato il caso della notizia dell'ospedale pediatrico colpito dai bombardamenti, che è stata smentita ma non prima di essere stata riportata, nella foga della cronaca, da famose testate nazionali.

Rimanendo in ambito social, ci sono anche vere e proprie truffe: si parte da chi finge di essere in loco nel tentativo di guadagnare follower a fini commerciali fino ad arrivare a chi richiede donazioni, anche ingenti, com'è successo su TikTok, dove si può inviare denaro ai creator semplicemente schiacciando un pulsante: alcuni profili hanno così finto di essere sotto i bombardamenti per approfittarsene della bontà altrui, richiedendo anche donazioni precise (occhiali e non rose, perché su TikTok gli occhiali valgono di più).
Del resto anche demonizzare i social sarebbe un atteggiamento ingenuo, perché hanno anche una loro utilità: il 26 febbraio, per esempio, si era diffusa la notizia della fuga di Zelensky, probabilmente per seminare il panico tra le truppe, così lui ha risposto con un video su Twitter che lo vedeva passeggiare in un panorama inequivocabilmente ucraino per tranquillizzare cittadini ed esercito.
Anche per questo la censura dei social può lasciare perplessi, intanto perché si crea un precedente pericoloso, e poi perché doversi allineare alle sanzioni europee rischia di essere dannoso per le piattaforme stesse ragionando a lungo termine: Meta, per esempio, ha inizialmente solo impedito la sponsorizzazione dei contenuti delle due testata già citate, per poi tagliare la testa al toro e inibirne l'accesso dall'Europa (come hanno fatto anche YouTube e Twitter). Al netto delle sacrosante perplessità sulla censura, agire così potrebbe non essere una buona idea per i destini aziendali: la censura implica un'attività editoriale, e questo potrebbe configurare Facebook e Instagram come organi di informazione. Meta, fino a questo momento, ha sempre cercato di evitarlo, perché a quel punto perderebbe le tutele previste dalla sezione 230 del Communications Decency Act che al momento fanno sì che i social non abbiano la responsabilità legale di ogni contenuto postato dai loro utenti, in quanto non testate giornalistiche. Se le cose cambiassero il tutto diventerebbe ingestibile e decisamente dispendioso, visto l'altissimo numero degli iscritti e dei contenuti da controllare.

La prima vittima della guerra è la verità Eschilo

C'è poi da chiedersi, nella pratica, quale sia poi l'effettiva utilità della censura. Partire dall'idea che la maggior parte degli utenti del web non sappia distinguere una notizia vera da una falsa non è solo una mancanza di fiducia, ma anche un'arma a doppio taglio: nei gruppi filorussi di cui parlavamo, un concetto ribadito molto spesso è che i media mainstream (cioè, secondo loro, praticamente tutti) sono stipendiati dai non meglio identificati poteri forti, e bloccare la diffusione delle notizie, per quanto false e di parte, potrebbe costituire, per chi segue questi gruppi, una conferma della cosa.
Ma c'è anche un'altra questione: "Può essere utile - commenta Zorloni - avere una finestra su quello che è il racconto della situazione in corso che in questo momento la controparte fa: ci permette di comprendere quali sono i tipi di informazioni e di racconti che la Russia sta producendo. Chiudersi questa finestra a mio parere è un errore".
Un errore inutile, aggiunge, visto che questi blocchi possono essere facilmente aggirati con una VPN. Forse sarebbe più utile, con beneficio di inventario, fare come nel caso del Covid, in cui ogni informazione falsa conteneva il rimando a quella ufficiale, anche se magari sarebbe complicato in un panorama così mutevole.

Forse la guerra tra Russia e Ucraina sarà quella ricordata per il ruolo importante che ha assunto la rete, non solo con i social network, ma anche per le violazioni informatiche e il ruolo degli hacker.
"Sono in corso due conflitti" precisa Zorloni "uno analogico più tradizionale e l'altro digitale. Parliamo del primo conflitto di queste proporzioni che vediamo costantemente documentato attraverso i social e che ha delle tecniche di guerriglia piuttosto strane, per esempio quella di utilizzare le recensioni di Google Maps in Russia per mostrare i dati sulla guerra in corso, postando contenuti di questo tipo invece che le recensioni dei locali".
I due eserciti, inoltre, potrebbero utilizzare post e immagini dei cittadini per ottenere informazioni militari che metterebbero a rischio i cittadini stessi, come potrebbero, viceversa, diffondere via internet delle informazioni false per spiazzare logisticamente gli avversari, anche civili; i cittadini quindi dovrebbero fare molta attenzione alle informazioni che decidono di condividere.

L'impressione è che di fronte alla guerra cibernetica ci troviamo impreparati, non solo emotivamente, ma anche operativamente. Nel momento in cui prendiamo in mano uno smartphone rischiamo di diventare, volenti o nolenti, parte del conflitto. "Le gerarchie militari in tempo di guerra - spiega Zorloni - diffondono dei dispacci ufficiali e c'è una catena di comunicazione molto strutturata, ma ovviamente questa viene ad essere minata dall'interno nel momento in cui qualcuno riceve informazioni di una certa natura dai portavoce o dall'ufficio stampa della difesa e poi dall'altra parte invece vede le fonti di intelligence open source comuni sui social che dicono altro. I giornalisti raccontano la guerra da tantissimi anni, purtroppo, e quindi hanno in qualche modo le spalle larghe: siamo più preparati ad affrontare questo tipo di notizie che quelle della pandemia, che ci ha trovati molto più spiazzati. Il problema, più che per noi, è soprattutto per la comunicazione ufficiale, quella delle autorità, che oggi si trova di fronte a una contro-narrazione fatta anche dagli stessi cittadini che vuole difendere e tutelare, ma che non può controllare. Penso che questo sarà un tema fondamentale e che in qualche modo i vertici dei governi e delle autorità militari dovranno in futuro affrontare, perché chiaramente questo genera un controcanto che non si può frenare, se non generando una censura molto pesante e soffocante, forse anche pericolosa".

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