CULTURA

The laundromat: uno scandalo a servizio dell'arte

Una nuova luna di miele con l’amatissimo marito diventa per Ellen Martin e per due avvocati di un oscuro studio legale il classico battito d’ali di farfalla che causa il terremoto dall’altra parte del mondo. A Panama, per la precisione.
Così comincia The laundromat scritto dallo sceneggiatore Scott Z. Burns e girato da Steven Soderberg partendo dal romanzo Secrecy world di Jake Bernstein, giornalista investigativo vincitore del premio Pulizer, incentrato sul caso dei Panama Papers, una delle più grandi fughe di notizie di questo secolo: nel 2015 vennero inviati ad alcuni giornalisti d’inchiesta dei documenti segreti appartenenti allo studio di due avvocati, Jürgen Mossack (interpretato da Gary Oldman) e Ramón Fonseca (Antonio Banderas), specializzati nella creazione di società offshore che contribuivano a rendere i ricchi ancora più ricchi (illegalmente) e in alcuni casi a riciclare denaro sporco.

 Il film è adatto anche a chi è completamente digiuno di finanza? Sì, purché se la cavi con le metafore. La storia è raccontata infatti dal punto di vista di Mossack e Fonseca, che in alcuni siparietti si rivolgono direttamente al pubblico in una sorta di corso di finanza for dummies che partendo da mucche e banane rende tutto molto chiaro. Anche se è la versione “dei cattivi”, non si fa fatica a coglierne l’essenza: gli spettatori vengono catapultati in un mondo di traffichini e trafficoni che culmina nel traffico d’organi e si trovano di fronte a personaggi privi di qualsiasi senso della moralità.

Nemmeno il film vuole regalare una morale, anche perché sarebbe ridicolo affidarla alla voce dei due avvocati (che per inciso si sono fatti solo tre mesi di galera): tra tramacci extraconiugali e cornee strappate (astenersi i deboli di stomaco), i due sono anche piuttosto compiaciuti del loro operato, tanto da sostenere che chi ci ha realmente guadagnato sono gli Stati Uniti d’America. In particolare Oldman dà al suo personaggio la stessa Verve di un canarino che ha appena pugnalato a morte il gatto dell'adorabile vecchina, e anche se all'inizio ha detto di non morire dalla voglia di raccontare una storia che lo vede tra i perdenti un po' ci permettiamo di dubitarlo.

Rimane qualcosa in cui sperare per gli amanti dei buoni sentimenti e delle lotte prometeiche contro un sistema corrotto e fraudolento? Solo se fossero anche amanti del cinema. Il film, in uscita in America il 27 settembre e su Netflix il 18 ottobre, è un piccolo gioiello, sia per quanto riguarda la recitazione (Meryl Streep è semplicemente perfetta) sia per sceneggiatura e regia: all’inizio forse potrebbe esserci qualche difficoltà, perché il ritmo è molto veloce e si fa fatica a stare dietro alla raccolta di informazioni finanziare che si fondono con un andamento antologico rapido e incisivo che dà una grossa mano al meccanismo del comico (al netto delle cornee strappate, infatti, The Laundromat è anche un film amaramente divertente), ma se poi si ripercorre a ritroso tutta la storia non si trova un solo particolare senza spiegazione, nessun frame che non si armonizzi perfettamente con il resto della sceneggiatura.

E forse, a ben guardare, la morale c’è: lo scandalo dei Panama Papers è stato rapidamente dimenticato, forse anche solo per la difficoltà di capire le implicazioni che aveva a livello politico (i nomi usciti dai Papers non appartengono solo a sconosciuti uomini d’affari, ma anche a big come Messi e Platini, nonché a politici che sono stati costretti alle dimissioni). Questa commedia nera però farà successo, e probabilmente contribuirà a far parlare di un problema che non si limita alla grossa lavatrice costruita da Mossack e Fonseca, ma che riguarda più che altro l’impunità regalata ai potenti del mondo da un sistema che ha troppe falle perché lo sporco possa essere ignorato. I due avvocati hanno fatto quello che il sistema permetteva loro di fare: le leggi possono essere le migliori possibili, ma se la giustizia non viene messa nella condizione di fare dei controlli rimangono belle parole scritte su fogli di carta. Meno belle erano le parole dei Papers, ma hanno permesso se non altro di sollevare un problema.

Speriamo quindi che The laundromat faccia molto parlare di sè: artisticamente ha tutte le carte in regola per farlo, anche solo per il personaggio (inventato) interpretato dalla Streep (evitiamo di fare spoiler prima dell’uscita nei cinema). Mediaticamente anche, visto che la stessa Streep in conferenza stampa ha ricordato una giornalista che è morta nel nome delle sue inchieste coraggiose, Daphne Galizia (e non è certamente l'unica, in Italia per esempio ne sappiamo qualcosa). Per il resto, forse un leone d’oro aiuterebbe, e sarebbe anche meritato.

 

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