UNIVERSITÀ E SCUOLA
L'editoriale. Non siamo un'università telematica, ma innovativa e inclusiva sì
Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato una lettera firmata da alcuni docenti dell’università di Padova. Si parlava del futuro della didattica del nostro ateneo per il prossimo semestre del nuovo anno accademico, anche alla luce di quanto successo a causa del coronavirus. È un tema che non riguarda solo l’università di Padova, ma tutte gli altri atenei e la didattica nel suo insieme e di come concepiamo l’università post Covid-19.
Io concordo con il timore di questi colleghi sul fatto che gli atenei diventino una sorte di fornitori di servizi, di un’agenzia per cui gli studenti sono i nostri clienti: sicuramente si deve resistere in ogni modo a questa possibile tendenza.
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Quanto fatto dall’ateneo di Padova durante l’emergenza è stato qualcosa di straordinario con i servizi attivati a distanza, ma – concordo – la didattica a distanza non deve essere considerata sostitutiva di quella in presenza. Mi pare che su questo argomento ci sia un grande consenso trasversale e anche gli studenti sono d’accordo nel tornare in presenza. Concordo anche sul fatto che la didattica distanza non deve essere considerata nemmeno equivalente di quella in presenza.
Le tecnologie sicuramente non sono neutrali, ma ho notato in questi mesi che il rapporto delle persone (me compreso) è cambiato in meglio con una grande partecipazione anche a eventi online da parte di persone molto lontane che in presenza non avrebbero potuto nemmeno esserci. Si è anche capito che molte riunioni e progetti che prevedevano di spostarsi (inquinando e spendendo denaro) in altre città per vedersi in presenza non erano alla fine sempre così necessarie.
Sono due esempi slegati dalla didattica, che però mi hanno sorpreso e mi faranno cambiare alcune abitudini. Quindi l’unico rilievo critico alla lettera è che nei mesi scorsi è successo qualcosa: l’era post Covid-19 non può essere un ritorno alla situazione pre-coronavirus. Si rinnova semmai il dovere di lavorare sulle tecnologie per renderle più democratiche, più inclusive: non si devono demonizzarle ma piegarle alla motivazione culturale che abbiamo come ateneo.
Di conseguenza non concordo che la didattica mista prevista per il prossimo anno accademico possa essere vista come il pretesto per rendere la didattica a distanza come una norma. I prossimi mesi sono ancora colmi di incertezza per il Covid-19: bisogna farsi trovare preparati con una risposta inclusiva e pluralista, tenendoci pronti, a fianco della didattica a presenza, di strumenti per garantire a tutti di partecipare nel caso si sia impossibilitati di essere in aula.
Chiudo con una provocazione: facciamo finta che a settembre si trovi già un vaccino. Si potrebbe tornare al “tutto come prima”, ma siamo sicuri di non voler cogliere alcune opportunità che potrebbero darci un insegnamento per migliorare degli aspetti della didattica per guardare in avanti – nel solco di quanto abbiamo già detto – ma senza ancorarci in modo definitivo a quanto si faceva prima della pandemia.