Castello Carrarese di Este (immagine tratta dal video "Luoghi di poeti")
Dall’amor cortese dei trovatori provenzali, cantori di Beatrice e di Azzo VI d’Este, ad Alvise Cornaro e Ruzante, Ludovico Ariosto. Infine, Lord Byron, Mary e Percy B. Shelley. Il terzo e ultimo episodio di Luoghi di poeti è dedicato a Este e regala un vero e proprio viaggio nel tempo, attraversando molte epoche. Iniziamo da lontano, dalla famosa situla Benvenuti, il vaso di lamina di bronzo, che mostra scene di vita e celebrazioni delle più importanti famiglie atestine del VII secolo a.C., ritrovata nel XIX secolo durante la campagna di scavi di una necropoli nei giardini di Villa Benvenuti. Este è terra dei Veneti antichi, la cui storia è accolta e raccontata al Museo nazionale atestino. "A noi ora interessa una parte di questa storia: la situla Benvenuti, un prezioso secchiello di bronzo lavorato a sbalzo, tecnica molto raffinata - spiega Claudia Baldin, presidente del Parco letterario Francesco Petrarca e dei Colli Euganei -. Cosa rappresenta questa situla? Su tre fasce è narrata una storia a immagini che svela la società dei Veneti antichi divisa in classi sociali, con soldati e altre figure, vestite in maniera semplice oppure sontuosa. E ancora, animali, reali o fantastici, e alcune attività dell'epoca".
Dal racconto per immagini passiamo alla poesia dei trovatori. "Siamo nel Duecento, i menestrelli arrivano in Italia, inizialmente in Piemonte. In Veneto, i primi ad accoglierli sono i marchesi d'Este, in particolare Azzo VI e la figlia Beatrice, che diventano protagonisti di tantissime canzoni e poesie”. Quando Azzo VI muore (nel 1212), lascia un vuoto e provoca un grande dolore tra i menestrelli, orfani del loro mecenate. “Il menestrello Aimeric de Peguilhan scriverà due compianti per invitare i suoi compagni a emulare la sorte del loro benefattore, e quindi morire".
“Signor Marchese, che cosa faranno i giullari a cui faceste tanti doni, tanti benefici? Per questa situazione ho solo un consiglio da dare ai trovatori: che si lascino morire e vadano a cercarvi di là, perché non conosco ne vedo punto chi si curi di loro, ora che voi non ci siete più” (Aimeric de Peguilhan, Ja no cujey que'm pogues oblidar, 1212)
La figlia di Azzo VI, Beatrice II d'Este, a sua volta era ammirata e "cantata" per le sue doti di grazia e bellezza: lascerà i menestrelli nuovamente delusi, diventando monaca e abbandonando così la vita di corte.
“A Dio raccomando la terra dov' ella sta e il dolce paese dove è nata, e la sua gentile persona, piacente, dove risiede tanta virtù e tanta beltà, ch'io tanto desidero. Dio, quando potrò vederla?” (Rambertino Buvalelli, Al cor m'estai l'amoros desiriers, 1209)
Riprese e montaggio: Elisa Speronello
"Lasciate le mura del Castello dei Carraresi, si può imboccare via dei Cappuccini per ritrovarsi immersi nella cultura del Rinascimento". Claudia Baldin ci accompagna alla scoperta dell'Arco del Falconetto, portale di pietra, realizzato intorno al 1525 da Giovanni Maria Falconetto (1468 - 1540), che fa da ingresso al parco di Villa Benvenuti. Il committente? "Alvise Cornaro, letterato e mecenate ben noto a Padova per aver dato vita a un cenacolo animato da intellettuali, tra cui Falconetto stesso, il pittore Lambert Sustris e il nostro amato Angelo Beolco, detto il Ruzante. Pare che questo arco sia stato costruito proprio per ottenere una specie di sfondo teatrale per alcune opere di Ruzante".
Nel Trattato de la vita sobria (1558) Cornaro descrive il territorio e la villa, oggi conosciuta come Benvenuti. "Io vo l'aprile e 'l maggio, et cosi' il settembre et l'ottobre, per alquanti giorni a godere un mio colle, che è in questi monti Euganei, et nel più' bel sito di quelli, che ha le sue fontane et giardini, et sopra tutto commoda e bella stanza, nel quale luogo mi trovo anchora alcune fiate a qualche caccia conveniente alla mia etade, commoda et piacevole”.
“ E perché dirà Carlo in latino: – Este signori qui, – quando faràgli il dono, nel secolo futur nominato Este sarà il bel luogo con augurio buono; e così lascierà il nome d’Ateste de le due prime note il vecchio suono Ludovico Ariosto, "Orlando furioso"
Ritroviamo poi le tracce di Ludovico Ariosto (1474-1533), a cui è dedicata una targa, guidati dalle parole di Paolo Gobbi, referente letterario del Parco: "Ariosto celebra la città di Este e le sue nobili origini. E per far questo chiama in causa Ruggiero, uno dei protagonisti dell'Orlando furioso. In pochissimi versi, nella prima strofa, riesce a racchiudere ed evidenziare le peculiarità del territorio euganeo, descrivendo un ambiente selvaggio, irruento, pieno di tensioni e, al tempo senso, una natura fatta di armonie che i poeti hanno saputo col tempo apprezzare. Nella seconda strofa, riportata nella targa dedicata proprio ad Ariosto, Ruggiero, protagonista del canto 41 dell'opera, viene descritto attraverso i suoi atti eroici e valorosi. E nella terza, Ariosto rende omaggio alla città di Este", così lascierà il nome d’Ateste de le due prime note il vecchio suono.
Un balzo in avanti di tre secoli, ed eccoci all'inizio dell'Ottocento. I poeti romantici inglesi Lord Byron e Percy B. Shelley sono grandi amici, si frequentano da tempo e si stimano, amano entrambi Venezia e lì si incontrano e confrontano per diversi mesi. Poi Shelley decide di trasferirsi nella villa di Byron a Este (che diventerà poi villa Kunkler). Ispirato dalla natura dei Colli Euganei, scriverà alcuni componimenti: tra questi Julian e Maddalo: una conversazione, dove i protagonisti sono rispettivamente Shelley e Byron e la conversazione ideale ruota attorno ai miti greci e alla natura, qui i colli Euganei vengono visti proprio dal Lido di Venezia. In un altro poemetto dal titolo Versi scritti sui colli Euganei, Shelley descrive ancora i colli come fossero isole.
"Si trattava di quei celebri Colli Euganei che, dal Lido visti fra i moli di legno del porto, sembrano un grumo d’isole appuntite – e poi – come se Terra e Mare si sciogliessero in un lago di fuoco, quei monti parvero torreggiare come da onde in fiamme attorno al vaporoso sole, da cui veniva l’intimo rosso spirito di luce, che rendeva le loro vette trasparenti" (Percy B. Shelley, da Julian and Maddalo, 1818)
Villa Cappuccini Kunkler Piccioni (immagine tratta dal video "Luoghi di poeti")
“ Fra i monti Euganei mi trovai, e ascoltavo il peana che legioni di cornacchie alzavano al maestoso sorgere del sole Percy B. Shelley, "Versi scritti fra i Colli Euganei"
La villa di George Byron, dove soggiornarono gli Shelley, oggi è conosciuta come Villa Cappuccini Kunkler Piccioni ed è situata di fronte al mastio del Castello Carrarese. Ex convento dei frati Cappuccini, poi villa di Byron, e ancora della famiglia di origini svizzere Kunkler, oggi è proprietà della famiglia Piccioni. Tra il 1817 e il 1818 qui arrivarono Percy e sua moglie Mary Shelley, quest'ultima autrice di Frankenstein, accompagnati dai figli e dalla moglie di Byron, Claire Clermont. Una lapide murata accanto all’ingresso ricorda il loro soggiorno.
Di quel periodo scrive anche Mary Shelley, descrivendo il luogo con dovizia di particolari: "Era situata sul pendio di una collinetta, ai piedi di un pendio di colli più alti. La casa era ridente e piacevole. Un viale coperto di tralci di vite, una pergola, come si dice in italiano, conduceva dalla porta d'entrata a un padiglione in fondo al giardino che Shelley (il marito, Percy, ndr) adibì a studio e nel quale iniziò il Prometeo. E qui, come egli stesso accenna in una lettera, scrisse anche Julian and Maddalo. Una piccola gola, con una strada nel fondo, divideva il giardino dalla collina sulla quale si ergevano le rovine dell'antico castello di Este, le cui mura scure e massicce rimandavano l'eco e dalle cui crepe civette e pipistrelli svolazzavano fuori di notte, quando la falce della luna sprofondava dietro i neri e pesanti bastioni".