SCIENZA E RICERCA
Lupo: i rapporti con l'uomo e il conflitto con la zootecnia. Riflessioni con l'etologo Enrico Alleva
Dopo aver quasi rischiato la scomparsa negli anni ’70, la popolazione italiana di lupo da alcuni decenni è in fase di espansione: oggi si stima che vi siano circa 2000 esemplari, distribuiti non solo lungo l’intera dorsale appenninica ma anche sulle Alpi, dove hanno riguadagnato spazio procedendo negli anni verso nord, e addirittura in zone, come il litorale salentino, dove l’assenza di una copertura boschiva non sembrava favorire un possibile insediamento. E proprio lungo le spiagge pugliesi, più precisamente nei dintorni del villaggio degli Alimini, vicino ad Otranto, a maggio erano iniziati gli avvistamenti di un esemplare di lupo che manifestava una certa confidenza con i turisti e con gli abitanti del posto. Giocherellone e socievole: un comportamento anomalo per un animale che normalmente tende ad essere molto elusivo nei confronti dell’uomo e che gli era valso il soprannome di “lupo buono degli Alimini”. Nel mese di luglio due episodi, lo strattonamento del vestito di una bambina e il morso al polpaccio di una turista che faceva jogging, hanno però portato alla sua cattura e hanno riaperto le discussioni sulle conseguenze dell’espansione del lupo in Italia.
Nel caso specifico di Otranto, l’animale è stato bloccato nel corso di un’operazione condotta dai tecnici del gruppo faunistico del Parco nazionale della Majella, in collaborazione con l'Ispra, ed è stato appurato che si tratta di un giovane maschio di 14 mesi che è stato ora affidato al Centro tutela fauna di Monte Adone, nell’Appennino bolognese.
Catturato il #lupo ad Otranto. Alta la probabilità che si tratti di un animale cresciuto in cattività.
— ISPRA (@ISPRA_Press) July 15, 2020
Operazione condotta da gruppo faunistico Parco @Majambiente, supporto di @Carabinieri Forestali e #ISPRA. @Papik_genovesi @minambienteIT @alebratti https://t.co/9JKDbxnsgd
Le indagini genetiche stabiliranno con certezza se si tratti di un lupo o di un ibrido cane-lupo, ma intanto la presenza di evidenti segni di un collare hanno fatto sospettare che l'animale sia cresciuto in cattività. Inoltre la tendenza di residenti e turisti a lasciargli del cibo nella pineta adiacente al litorale aveva favorito contatti frequenti con le persone e lo sviluppo di quel grado di confidenza che deve invece essere evitato.
Ma se il lupo in Italia difficilmente può rappresentare un fattore di pericolo per l’uomo, diverso è il caso della zootecnia dove il rischio di attacchi al bestiame è reale, con i conseguenti danni economici per gli allevatori. A complicare la situazione c’è poi il fenomeno dell’ibridazione con i cani selvatici che può portare a far ricadere sul lupo la responsabilità di attacchi che invece sarebbero riconducibili ad ibridi e che costituisce anche un forte pericolo per l'identità genetica delle popolazioni europee di lupo. Sotto questo specifico aspetto uno studio internazionale, guidato da Valeria Salvatori dell'Istituto di ecologia applicata di Roma e supervisionato da Paolo Ciucci del dipartimento di Biologia e biotecnologie dell'università Sapienza, ha rivelato che gli incroci con i cani sono sempre più frequenti e diversi paesi, tra cui l'Italia, non stanno affrontando adeguatamente il fenomeno, come invece prevederebbero prescrizioni internazionali legalmente vincolanti, come la Direttiva Habitat e la Convenzione di Berna. Gli ibridi tra lupo e cane – ha spiegato Paolo Ciucci – sono fertili e a loro volta possono reincrociarsi con i lupi, diffondendo, con il progredire delle generazioni, varianti genetiche tipiche del cane all'interno del genoma lupino.
Abbiamo chiesto all’etologo Enrico Alleva, accademico del Lincei e presidente della Federazione italiana scienze della natura e dell’ambiente, qualche suggerimento su come gestire la presenza dei lupi, in una riflessione che si estende a quali dinamiche del branco occorre conoscere. E soprattutto - per il lupo come anche per l'orso, due specie protette la cui attuale espansione è un innegabile successo per la biodiversità - l'incoraggiamento ad evitare decisioni drastiche come l'abbattimento di eventuali esemplari problematici. Le alternative, suggerisce l'esperto, esistono e sono percorribili. Ma parallelamente occorre puntare molto su attività di informazione e divulgazione culturale perché spesso le situazioni di pericolo sono strettamente collegate a un comportamento umano non appropriato.
L'intervista all'etologo Enrico Alleva sulla gestione della popolazione di lupi in Italia. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar
Davanti a fatti di cronaca come quelli riportati recentemente "è sempre più difficile - introduce il professor Enrico Alleva - disincagliare il problema e stabilire se si tratti di un lupo, un cane, un cane reinselvatichito o un ibrido cane lupo che qualche famiglia alla ricerca dell’ebbrezza di avere un animale feroce a casa ha acquistato e poi magari abbandonato, un fenomeno sul quale il Corpo forestale dello Stato, adesso assorbito dai Carabinieri, è molto impegnato. Il lupo in Italia era quasi scomparso: i risultati che vediamo oggi li dobbiamo al Wwf Italia e in particolare a Fulco Pratesi, Gianfranco Bologna e allo straordinario impegno del professor Luigi Boitani dell’università Sapienza di Roma"
Erano gli inizi degli anni settanta quando il Wwf e il Parco nazionale d'Abruzzo lanciarono il primo progetto di salvaguardia del lupo: gli esemplari rimasti erano appena un centinaio e la possibilità che la specie si estinguesse era concreta. "L’Operazione San Francesco ha fatto moltissimo - ricostruisce il professor Alleva - e oggi possiamo dire che abbiamo questa popolazione florida e consistente di lupi che corre lungo l’Appennino e da lì si irradiano in giro. Sono animali che in una sola notte possono percorrere distanze molto considerevoli: basti pensare che un giovane maschio investito sul raccordo anulare di Parma qualche giorno dopo è stato trovato al confine con la Francia. L'estensione della presenza del lupo ha creato un contrasto soprattutto con gli allevatori, in particolare di pecore, ma anche proprietari di galline di pollai domestici e quindi ha portato a fenomenti di bracconaggio purtroppo consistenti, soprattutto in Maremma. E non dobbiamo dimenticare che la guerra nella ex Jugoslavia e i campi minati hanno spinto una serie di grandi carnivori, come ad esempio lo sciacallo, a spostarsi in Italia, in quanto vittime del tutto innocenti di queste battaglie umane".
La difficoltà che oggi sembra caratterizzare la convivenza tra i grandi predatori e l'uomo ha tra le sue radici anche le profonde trasformazioni sociali che hanno accompagnato la fine della cultura contadina. E' un ragionamento su cui il professor Alleva sceglie di soffermarsi perché nel venir meno di quell'alfabetizzazione di massa che permetteva di sapere come gestire la fauna selvatica coglie un elemento di forte criticità. "L'Italia rurale, quella dei miei trisavoli, era in grado di trasmettere alle generazioni successive come gestire l’incontro con gli animali e quindi il bambino sapeva, senza bisogno di lezioni, come comportarsi con il lupo". Lo stesso accadeva rispetto alla capacità di proteggere il bestiame. "Dopo la seconda guerra mondiale l'Italia ha perso la sua dimensione rurale e a questo progressivo fenomeno si è aggiunto l’arrivo, in molte zone d’Italia, di pastori sardi che non avevano conoscenza del lupo perché nelle loro aree non c’era. Poi quando questi pastori sardi sono stati in parte sostituiti da pastori immigrati albanesi che invece ben conoscevano i momenti pericolosi dell’imbrunire, quando il lupo attacca il gregge, sapevano come usare i cani. A tale proposito Legambiente ha recentemente fatto un’operazione di antropologia culturale regalando cani maremmani ai pastori per ripristinare una capacità di gestire il lupo". Un'iniziativa che ripercorre quanto si era fatto durante i primi anni dell'Operazione San Francesco quando attraverso il progetto Arma Bianca fu incoraggiato l’impiego del cane da pastore, o mastino abruzzese, per la prevenzione degli attacchi alle greggi.
E sebbene come ricorda spesso anche il professor Luigi Boitani, uno dei massimi esperti internazionali e coordinatore del Wolf Group dell’UICN per l'Europa, anche in aree come l'Abruzzo dove i lupi si avvicinano da tempo ai centri abitati non si sia mai verificata nessuna aggressione e lo stesso vale per i sentieri del Parco nazionale percorsi ogni anno da tantissimi visitatori, l'idea che il lupo possa rappresentare una minaccia per l'uomo continua ad essere difficile da smontare.
"Dietro alle narrazioni dei fatti di cronaca che coinvolgono animali come il lupo, ma lo stesso vale per il cinghiale, c’è spesso - commenta il professor Enrico Alleva - un eccesso di racconto avventuroso. Esistono poi anche fobie diffuse nei confronti degli animali e una conseguente reazione di paura, genuina da parte della persona, anche davanti a situazioni in cui il rischio reale è molto minore di quanto non sia percepito. Non voglio però sminuire. Quando questo tipo di animali, di una certa dimensione e con una certa fama associata anche a favole come Cappuccetto rosso a cui tutti siamo stati esposti, si avvicina troppo e lo fa regolarmente perché attirato dall’immondizia, quando si instaura una frequentazione troppo stretta con l’ambiente della specie umana allora si possono determinare situazioni di potenziale pericolo. Un esempio è quello della persona che la sera andando a buttare i rifiuti nel cassonetto finisce per frapporsi tra la femmina e i cuccioli e può accadere che la femmina faccia dei ringhii molto forti, inizi ad abbaiare o si avventi verso l’uomo. Però molto spesso l’avventarsi è una minaccia più che un reale attacco con tanto di morso".
E l'uccisione di singoli esemplari rischia di aumentare gli attacchi ai danni di animali domestici o animali da cortile perché quando si disgrega l'unità del branco la scelta inizia a ricadere su prede più facili da assalire. "Il lupo - spiega Alleva - è un predatore formidabile di ungulati, dal cinghiale al capriolo, al giovane cervo, ma anche di un animale molto invasivo come la nutria. L’unità del branco deve essere preservata perché il branco di lupi è capace di catturare prede anche di grosse dimensioni e difficili. Viceversa se il capobranco viene avvelenato, azzoppato dalla tagliola di un bracconiere o abbattuto a fucilate il branco che si disgrega è molto meno organizzato e si rifà sulle galline e sulle pecore. Il branco va quindi governato. Certamente esiste adesso una preparazione diffusa, anche grazie ad una generazione di giovani etologi che ormai conosce anche le tecniche più adatte per indirizzare un governo ragionato della popolazione di predatori. L’Europa ha però alle spalle una cultura di sterminio del lupo della Romania, dove con dei fili rossi una o più volte all’anno si creavano dei percorsi al termine dei quali c’erano cecchini umani, ma ancora oggi ci sono paesi come Francia o Svizzera dove la zootecnia è molto legata anche alla politica, è organizzata e quindi chi dà fastidio agli animali da allevamento brado è molto supportato. In Europa si cerca un consenso unico. Tuttora però, come dimostra anche il caso delle province autonome italiane, si fa ancora molto localismo sulle scelte. Le opzioni a disposizione sono tante, basti pensare alle possibilità di prelievo e spostamento in una zona depauperata, o anche la sterilizzazione. Come etologo che coltivo la cultura del riadattamento, dell’aggiustamento comportamentale a un nuovo ambiente come una sfida scientifica, e quindi ho una distorsione verso tecniche morbide, mi sento di suggerire che, prima di arrivare all’eutanasia, le alternative sono molte".
Sul tema dei danni alla zootecnia lo scontro è particolarmente acceso ed entrano in gioco anche gli attacchi compiuti da ibridi e da cani vaganti. "Voglio ricordare - approfondisce Alleva - il lavoro di un veterinario straordinario ed etologo, Rosario Fico, che dimostrò come cani assolutamente non incrociati con i lupi, cani che negli anni ottanta vivevano nei giardini con il compito di fare da guardia, la notte uscivano e creavano dei branchi provocando grossi danni al bestiame e poi la mattina dopo tornavano ad essere cani tranquilli nel giardino dei loro proprietari. Degli attacchi venivano poi ovviamente accusati i lupi. Il cane è capace di comportarsi da lupo e creare branchi. Poi ci sono i cani abbandonati, anche a Roma c’era il famoso branco che si trovava all’interno di Villa Ada, una villa che si addentra quasi fino al centro della città. E poi ci sono gli incroci tra cane e lupo: ci sono delle tecniche di biologia molecolare che possono distinguere, anche se dal punto di vista dei danni tra un lupo e un cane di taglia grande non ci sono differenze. E’ però importante, con un’ottica da conservazionista, protettore dell’ecosistema locale sapere quali sono i lupi perché il lupo che si incrocia con il cane è un inquinamento genetico molto raffinato e va contro la conservazione della specie".
"Oggi - conclude il professor Enrico Alleva - la grande spinta ad essere tutti cittadini metropolitani ha completamente interrotto questa alfabetizzazione di massa ed è importante che, soprattutto nelle zone dove le popolazioni di lupi sono in aumento, chi amministra sappia informare ed educare la popolazione locale perché è la migliore prevenzione. E come dice il grande etologo e premio Nobel Konrad Lorenz, se li conosci li ami. Quindi conoscere il modo con il quale vengono accuditi i piccoli, le gerarchie di dominanza maschili e femminili porta a un curiosità che ci rende tutti più tolleranti".