CULTURA

Marx, senza le caricature dogmatiche del Novecento

Forse  il maggior valore del libro di Marcello Musto (Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883, Einaudi 2018) è di aver sottratto definitivamente il pensiero di Karl Marx alla caricatura dogmatica e ideologica che ne ha fatto il Novecento e di aver mostrato una volta per tutte che quello di Marx è un pensiero in movimento, nel quale ogni posizione concettuale raggiunta è sempre alla ricerca della sua conferma storica o, almeno, di non essere smentita, e sempre si misura con l’inesauribile quantità di dati empirici da sistematizzare e da interpretare per catturarne una logica. Del resto le vicende redazionali del Capitale sono lì a dimostrare l’inesausta e programmatica scontentezza di Marx rispetto alle acquisizioni di volta in volta raggiunte; non a caso l’autore, che insegna alla York University di Toronto, ricorda l’interesse di Marx per un romanzo di Balzac, Il capolavoro assoluto, dove il protagonista, il pittore Frenhofer, «ossessionato dal desiderio di realizzare un dipinto nel modo più preciso possibile, continuava a ritoccare il suo quadro alla ricerca della perfezione  e ritardandone il completamento».

Intrecciando vicende biografiche e intellettuali, a partire dalla capitalizzazione della fondamentale edizione critica delle opere del filosofo (la Marx-Engels-Gesamtausgabe, la cosiddetta MEGA2, che ha ripreso le sue pubblicazioni nel 1998),  Musto ci introduce nel grande cantiere del pensiero marxista dove a dominare non è il finito ma il non-finito. Attraverso decine di quaderni-appunti preparatori, note di  lettura e progetti di ricerca, scopriamo la vastità e l’estensione degli interessi, non solo economici, del filosofo tedesco: l’antropologia, il mondo extraeuropeo, le società precapitaliste, le scienze quali chimica o geologia, la matematica del calcolo infinitesimale. E non si dimentichi la  militanza politica nell’Internazionale dei lavoratori, fondata a Londra nel 1864, e l’attività di giornalista con centinaia di articoli scritti, tra gli altri, per il New York Tribune. Wilhelm Liebknecht, uno dei fondatori del Partito Socialdemocratico tedesco, ricordava nelle sue memorie che l’imperativo categorico di Marx era “studiare, studiare”.  Il vantaggio di una edizione storico-critica, per esempio, ci mostra come L’ideologia tedesca sia un testo sperimentale, frammentario, incompleto, lontano da quello imbalsamato dal marxismo-leninismo (fra l’altro Marx ed Engels non usano mai l’espressione «materialismo storico»); lo stesso Musto in un articolo recente ha parlato di un «Indiscrete Charm of Incompleteness» dell’opera di Marx.

Degli aspetti biografici, Musto ricorda le disperate condizioni economiche di Marx, una continua tribulations d’argent – per dirla con Baudelaire – che ne mortificherà l’attività intellettuale e, naturalmente, farà vivere momenti di autentica miseria alla sua famiglia, e qui sarà sempre fondamentale il soccorso economico di Engels con 5 sterline mensili. All’altezza dei Grundrisse (Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica) del 1857, una sorta di incunabolo de Il capitale, scrive Musto: «I Grundrisse […] non furono il prodotto dello studio di un pensatore protetto dalle agiatezze della vita borghese, ma, viceversa, l’opera di un autore che riuscì a scrivere in condizioni estremamente difficili». Alla difficilissima situazione economica, sopportata anche con grande forza dalla moglie Jenny von Westphalen, una dolcissima e intelligente junker tedesca coinvolta per amore e per scelta nella causa del proletariato, sono da aggiungersi svariati problemi di salute che afflissero Marx, come la devastante dermatite carbonchiosa che gli causava dolorosissimi favi (una specie di foruncoli) e che si trascinò per l’intero periodo della stesura del primo, e unico pubblicato, volume de Il capitale, tanto da far scrivere al suo autore, con una certa ironia: «Spero che la borghesia si ricorderà dei miei favi fino al giorno della sua morte».

Importantissimo spazio nel libro è dedicato all’ultimo Marx. Si può dire che gli ultimi anni del filosofo, nella casa in affitto di Maitland Park Road, sono anni di inesausta ramificazione di una vitalità intellettuale che ha dello straordinario, come i suoi interessi per la Russia, per fare solo un esempio, che lo portarono ad impararne da solo la lingua e a leggerla in seguito senza difficoltà. Anche il passaggio alla società comunista, nelle carte ultime dell’autore de Il capitale, non sarà visto come l’inevitabile e fatale compimento del processo storico, questa sarà piuttosto la cristallizzazione dottrinaria che ne farà il comunismo di stato del XX secolo.

Marx revenant, fantasma, spettro che  ritorna: non quello dell’improbabile e immaginifico comunismo, ma quello che ancora permette di interrogarci sulle contraddizioni e sulle ingiustizie di ciò che chiamiamo capitalismo­: «C’è ancora tanto da apprendere da Marx. Oggi è possibile farlo non solo mediante le asserzioni contenute nei libri da lui pubblicati, ma anche attraverso le domande e i dubbi racchiusi nei suoi manoscritti incompiuti».

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