SOCIETÀ

Moda e parole nella campagna di Valentino

"Il secondo pomeriggio, mentre aspettavo che cominciasse Il terzo uomo, la signora Barbour (vestita Valentino da capo a piedi e in procinto di uscire per partecipare a un evento alla Frick)" scriveva Donna Tartt ne Il cardellino. Questo attacco di paragrafo deve aver fatto scattare qualcosa a qualcuno nel reparto marketing della maison Valentino, perché la campagna pubblicitaria per la collezione primavera/estate 2021 è fatta solo di parole. E parole spesso poetiche, per giunta.

Può sembrare strano, visto che i primi materiali a disposizione di una casa di moda sono fotografici, ma forse è la risposta ideale da dare in un periodo in cui l'intero sistema moda soffre di un'insofferenza sempre più stringente verso i codici standard, nonché di una crisi generale dovuta alla pandemia, che ha costretto i brand a cancellare molti eventi (Valentino al Piccolo Teatro di Milano ha chiuso la settimana della moda, il cui pubblico, però, si è dovuto accontentare dell'online).

Forse è anche per restituire alla cultura la dignità che merita (sfilare in un teatro non è stato casuale) che il direttore creativo del brand, Pierpaolo Piccioli ha deciso di chiamare alcuni autori contemporanei per lavorare alla campagna pubblicitaria: a parte quello della Tartt, infatti, tutti gli altri brani che presenteranno gli abiti della collezione primavera/estate di Valentino sono inediti e gli autori coinvolti sono Elif Shafak, Janet Mock, Lisa Taddeo, Matthew Lopez, Ocean Vuong e Yrsa Daley-Ward.

Sembrerebbe un grosso segnale di cambiamento, che si inserisce nella visione di Piccioli che negli ultimi anni ha cercato di svecchiare una comunicazione che ultimamente si era adagiata nel riproporre gli stessi stilemi, con modelle dalla stessa corporatura, senza sorriso, che sparivano dietro ai vestiti, unici protagonisti di uno spettacolo che celebrava l'ego dei creatori. Se però usciamo dall'ambito della moda, quello di Valentino non è l'unico esempio di commistione tra marketing e letteratura.

Storicamente c'è uno stretto legame tra il linguaggio pubblicitario e quello poetico Claudio Riva

"La poesia non è così lontana dalla pubblicità" conferma Claudio Riva, sociologo dei media e presidente della triennale in Scienze sociologiche all'università di Padova. "Forse ricordate Dustin Hoffman che, qualche anno fa, recitava Leopardi per lo spot della Regione Marche (“le scoprirai all’infinito”); o Dante che termina di scrivere la sua Divina Commedia su un rotolo di carta igienica. Controllate in dispensa, forse ritroverete il Sommo Poeta anche sul logo di un olio d’oliva che avete a casa".

Del resto la poesia richiama la tradizione, e la tradizione è uno dei valori che le aziende spesso amano comunicare. Ma non basta: "Storicamente - prosegue Riva - c'è uno stretto legame tra il linguaggio pubblicitario e quello poetico, a partire dall’abbondanza molto naif, che si è fatta di filastrocche e slogan in rima da Carosello in giù (“la morale è sempre quella, fai merenda con…”). Si passa poi alle citazioni di versi famosi, fino ad arrivare al ritmo, alla musicalità e alle tecniche d’impaginazione di ispirazione poetica che sono quelle che ritroviamo nei testi con i tanti “a-capo” di alcuni manifesti pubblicitari.

Per alcuni beni di largo consumo, le rime e i ritornelli hanno reso il prodotto più impattante e facilitato i processi di memorizzazione. Alcuni facili jingle sono diventati duraturi tormentoni da canticchiare (“La Coop sei tu, chi può darti, chi può darti di più”), altri veri e propri inni alla marca (“Trony, non ci sono paragoni”)".

In questo caso, però, non si può negare che la campagna pubblicitaria risulti piuttosto innovativa, perché, come dicevamo, parliamo di un ambito in cui l'immagine ha sempre avuto un ruolo da protagonista. È quasi un rovesciamento di schemi così usati che hanno fatto in tempo a venire a noia: "Nella pubblicità odierna - conferma Riva - l’uso banale di versi e rime appare certamente anacronistico. Quello che è cambiato è il panorama complessivo entro cui si colloca la proposta pubblicitaria: i canali digitali, la penetrazione capillare delle nuove tecnologie, il prevalere della componente visuale tipica dei social, il nuovo ruolo del consumatore e via dicendo, hanno limitato la creatività verbale a vantaggio delle immagini.

In un certo senso, in un certo momento anche la poesia come forma d’arte è risultata, se non anacronistica, certamente di nicchia. Un genere che, ora, grazie a nuovi autori e nuove formule come il poetry slam sta affascinando anche i più giovani. Mi piace immaginare che nel moltiplicarsi esponenziale della possibilità di scelta dell’informazione, anche pubblicitaria, vi sia un pubblico nuovo cui proporre un linguaggio rinnovato".

La novità, insomma, c'è. Ora stiamo a vedere se si rivelerà vincente.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012