La calciatrice americana Brandi Chastain esulta dopo un gol nel 1999. Foto: Reuters
Con il match tra i padroni di casa del Qatar e la nazionale dell’Ecuador, domenica 20 novembre iniziano i campionati mondiali di calcio. Ovviamente facciamo riferimento al campionato maschile, l’unico che sembra davvero contare per una fetta non trascurabile degli spettatori, a cominciare da Felice Belloli, colui che pochi anni fa era il presidente della Lega Nazionale Dilettanti, che aveva fatto notizia per dichiarazioni sessiste contro le calciatrici. Ad aggravare la situazione c’era il fatto che all’epoca dei fatti il movimento femminile, non ancora professionista, dipendeva dalla Lega Nazionale Dilettanti. Insomma: il presidente insultava le proprie tesserate.
Nonostante una presunta superiorità del calcio maschile su quello femminile, però, in Qatar non ci sarà la nazionale italiana. Anzi, questa mancata qualificazione è la seconda consecutiva, visto che gli Azzurri non hanno partecipato nemmeno al mondiale 2018 organizzato in Russia. Al contrario, la nazionale femminile all’ultimo mondiale svoltosi in Francia nel 2019 ha raggiunto il miglior risultato della propria storia. È infatti stata eliminata ai quarti di finale dai Paesi Bassi, squadra poi finalista assieme agli Stati Uniti. E per il prossimo torneo che si terrà l’anno prossimo in Australia e Nuova Zelanda, la squadra allenata da Milena Bertolini si è qualificata vincendo il proprio girone.
Quello del calcio giocato dalle donne è un movimento che sta crescendo moltissimo negli ultimi anni. In Italia, per esempio, le calciatrici hanno ottenuto un importante risultato come movimento solamente lo scorso luglio, quando è stato riconosciuto anche per loro lo status di professioniste. In altri paesi, con una tradizione calcistica meno forte come gli Stati Uniti pluricampioni del mondo, il torneo femminile è molto più seguito di quello maschile. Ma in generale, sulla spinta dei movimenti per la parità tra calciatori e calciatrici, in termini di visibilità e retribuzione, la situazione oggi per le calciatrici è molto migliore rispetto a qualche anno fa e il movimento sta attirando anche in Italia un seguito più consistente.
Un problema di scarpini...
Un ambito in cui pare che l’attenzione alle atlete, in particolare le calciatrici, sia un po’ scarso è, forse paradossalmente, quello della ricerca scientifica applicato allo sport. Lo racconta un paper uscito proprio in questi giorni poco prima del mondiale in Qatar su Sports Engineering, una rivista scientifica del gruppo Nature. La premessa generale è che nonostante molte calciatrici oggi siano professioniste, le donne sono sottorappresentate negli studi che riguardano la ricerca e lo sviluppo delle attrezzature per giocare. Un esempio lampante è quello che riguarda gli scarpini da calcio: sono pensati per i piedi maschili, tanto che molte atlete scelgono addirittura di giocare con quelli per bambini, che trovano più confortevoli rispetto a quelli da uomo. E non si tratta solo di comfort, ma di esposizione agli infortuni. Soprattutto la distribuzione dei carichi è diversa tra uomini e donne e l’impiego di scarpini maschili, seppure non supportato da dati definitivi, lascia pensare che porti le calciatrici a subire più infortuni. Ciononostante, le donne oggetto di studio sul design degli scarpini sono meno degli uomini: solo il 42% secondo un’analisi di qualche anno fa apparsa su Footwear Science.
...e calzettoni, ma non solo
Ma ci sono anche altri problemi legati all'attrezzatura tecnica da calcio. Per rimanere sui piedi, la produzione dei calzettoni. Secondo l’articolo di Sports Engineering, la scelta che ha di fronte una calciatrice è per un calzino che si adatti perfettamente alla scarpa da uomo che sta indossando, ma che è troppo lungo, portando a problemi di varia natura, dalle irritazioni alle vesciche. Il pezzo più importante, però, è sicuramente il reggiseno. Fino a pochi anni fa, addirittura, non c’era nessuna ricerca in merito. Nel 1999 c’è stato un momento di svolta, quando la calciatrice statunitense Brandi Chastain ha segnato il rigore decisivo per vincere quel mondiale e ha esultato togliendosi la maglia e mostrando uno dei primi reggiseni sportivi. Per molte donne che praticano sport quell’immagine ha significato che si poteva esultare come i maschi senza vergogna, ma ha anche contribuito a far sapere a molte donne che finalmente esistevano dei prodotti che permettevano di fare sport pensati apposta per loro.
Le aree su cui c’è bisogno di un intervento sono moltissime e in alcuni casi basterebbe davvero poco per migliorare il comfort delle calciatrici. Per esempio, c’è il problema dei calzoncini bianchi. Si legge nell’articolo di Sports Engineering, che parlando con le calciatrici si scopre che esiste una regola non scritta tra di loro per cui quando si gioca con i calzoncini bianchi tutte stanno attente ai calzoncini delle altre per avvertirle in caso si noti un macchia di sangue. Il ciclo mestruale è ancora uno dei grandi tabù dello sport femminile, non solo del calcio, e sembra che discutere di un fatto naturale che riguarda la fisiologia di metà degli esseri umani crei fastidi insopportabili. Come il fatto che molte squadre non abbiano chiesto ai propri sponsor tecnici di non prevedere pantaloncini bianchi.
Sappiamo poco dei corpi delle atlete
Come scriveva Anna Kessel sul Guardian qualche anno fa, non solo parlare di ciclo mestruale è qualcosa che nella nostra società si fa poco, ma addirittura non c’è molta ricerca al riguardo. Addirittura, proprio il fatto che i corpi delle donne siano soggetti a variazioni dei livelli ormonali è una motivazione per escluderli dalle ricerche sulle performance sportive perché quelle oscillazioni rendono questo tipo di studi un “processo impegnativo”. A maggior ragione, si potrebbe pensare, dovrebbero essere ancor più studiati. Ma nella realtà di uno sport che dà molto più peso agli atleti, il risultato è che i corpi delle sportive, come quelli delle donne in generale, sono meno studiati e conosciuti. Con la conseguenza che una calciatrice fortissima come la britannica Claire Rafferty, nel 2019 alla terza rottura del crociato in carriera, e a soli 30 anni, ha appeso al chiodo gli scarpini. Da uomo, ovviamente.