MONDO SALUTE

In Salute. Giardini terapeutici: una cura verde per i pazienti con Alzheimer

Il contatto con l’ambiente naturale non solo migliora l’umore e abbassa i livelli di stress, ma può anche aumentare l’aderenza alle cure dei pazienti affetti da malattie neurodegenerative. Questo è il presupposto su cui si basa la progettazione di giardini terapeutici, spazi verdi allestiti appositamente in strutture per il trattamento dell’Alzheimer o case di riposo.

Ne abbiamo parlato in questo approfondimento della serie “In Salute” con la professoressa Francesca Pazzaglia, docente di psicologia generale all’università di Padova e responsabile scientifica del progetto VERBENA – Verde e benessere nell’Alzheimer. Verso un modello di giardino terapeutico centrato sull’interazione luogo-persona.

“Esistono diversi tipi di giardini terapeutici, con particolari caratteristiche a seconda del target di pazienti per cui sono progettati”, spiega la professoressa. “Alcuni tipi di giardini terapeutici sono pensati per offrire un supporto a pazienti oncologici o che hanno subito un trauma cranico, altri per bambini con disturbi del neurosviluppo”.

Il lavoro di Pazzaglia, come anticipato, si è focalizzato sullo sviluppo di giardini terapeutici per il trattamento della demenza da Alzheimer, che si trovano adiacenti a strutture residenziali o a centri diurni per persone anziane o con patologie neurodegenerative. “I giardini terapeutici si prestano sia a un utilizzo “passivo”, in cui le persone possono semplicemente passeggiare o sedersi su una panchina, sia allo svolgimento di attività specifiche, come l’orticultura”, continua la professoressa. In ogni caso, è fondamentale che i giardini siano dotati di un accesso facilitato, in modo da permetterne un utilizzo autonomo da parte dei pazienti.

“I giardini terapeutici per persone con demenza vanno inoltre strutturati in modo da assecondare alcuni comportamenti tipicamente associati a questo disturbo, come ad esempio il wandering (o “vagabondaggio, ovvero la tendenza a girovagare senza una meta, muovendosi continuamente all’interno di un certo spazio), in sicurezza: garantendo quindi l’assenza di barriere architettoniche, che potrebbero ostacolare gli spostamenti delle persone in carrozzina, una pavimentazione integra e la presenza di corrimani”, sottolinea Pazzaglia.

L'intervista alla professoressa Francesca Pazzaglia. Servizio e Montaggio di Federica D'Auria

Le specie vegetali inserite all’interno del giardino devono essere accuratamente selezionate. Come spiega la professoressa Pazzaglia, bisogna evitare piante velenose o urticanti e scegliere varietà che garantiscano una fioritura durante l’intero corso dell’anno, con colori e profumi diversi a seconda delle stagioni, che stimolino i sensi dei pazienti (non solo la vista e l’olfatto, ma anche il tatto). È bene, inoltre, scegliere piante tipiche del territorio – come, ad esempio, erbe aromatiche – che possano risultare familiari alle persone che frequentano i giardini terapeutici e stimolare perciò i loro ricordi.

“L’ideale, infine, è che il giardino sia visibile dalle finestre delle stanze degli ospiti della struttura, specialmente di quelli che hanno difficoltà motorie o malattie gravi, per i quali anche la sola vista del giardino può essere fonte di benessere”, aggiunge la professoressa.

Nel 2021 il gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Pazzaglia ha pubblicato una revisione sistematica con lo scopo di raccogliere ed esaminare le principali evidenze scientifiche a sostegno dell’effetto benefico dei giardini terapeutici per i pazienti con demenza. Sono stati considerati, in particolare, sedici studi condotti in diversi paesi del mondo.

Dai risultati è emerso come la frequentazione di giardini terapeutici sia associata a una riduzione di diverse disfunzioni comportamentali quali l’irrequietezza e il wandering. “Dopo un periodo di utilizzo del giardino le persone appaiono più tranquille”, afferma la professoressa Pazzaglia. “In diversi studi è stato riscontrato un miglioramento del tono dell’umore, una diminuzione dell’ansia e della depressione, una maggiore propensione a lasciarsi coinvolgere nelle attività organizzate all’interno del giardino e, in generale, una migliore qualità della vita e degli indici fisiologici”.

Nella revisione pubblicata da Pazzaglia e coautori, sono stati indagati anche diversi modi attraverso i quali le attività svolte nei giardini terapeutici possono essere integrate nei percorsi di cura tradizionali per pazienti con demenza di Alzheimer.

“In alcuni studi in cui venivano analizzati casi di Alzheimer molto precoci – di persone intorno ai cinquant’anni – sono stati studiati gli effetti dell’attività di orticultura abbinata alla terapia cognitivo-comportamentale, i cui effetti risultavano amplificati proprio grazie al contatto con l’ambiente naturale”, racconta la professoressa. “In altri casi, l'utilizzo del giardino è stato associato a una terapia di stimolazione cognitiva, uno dei trattamenti non farmacologici per l'Alzheimer più accreditati al momento”.

La professoressa Pazzaglia illustra i principali risultati del progetto VERBENA. Servizio e montaggio di Federica D'Auria

La professoressa Pazzaglia illustra infine i risultati principali del progetto VERBENA, condotto presso la Casa Madre Teresa di Calcutta di Rubano, i cui risultati sono stati pubblicati in un volume dal titolo Curarsi con il verde, che comprende una serie di linee guida sull’allestimento e la gestione di giardini terapeutici con una particolare attenzione al Veneto e al resto del nord Italia.  Attraverso un lavoro multidisciplinare – che ha coinvolto psicologi ambientali e dell’invecchiamento del Dipartimento di psicologia generale dell’università di Padova, studiosi di scienze forestali dello stesso ateneo, esperti di manutenzione del verde della cooperativa Giotto e i membri dello staff della struttura – i ricercatori hanno passato in rassegna i risultati della letteratura scientifica sull’argomento, valutato i punti di forza e le criticità del giardino già esistente presso la Casa Madre Teresa di Calcutta e sperimentato delle attività riabilitative da svolgere all'interno del giardino, raccogliendo i risultati attraverso focus group e questionari in un’ottica di progettazione partecipativa.

“Abbiamo proposto un protocollo di intervento di orticoltura specifico sia per i pazienti residenti in struttura, sia per quelli diurni, affetti da disturbi di diverse entità”, racconta la professoressa. “Abbiamo formato due gruppi sperimentali – uno che praticava solo l'orticoltura e uno che abbinava l'orticoltura alla stimolazione cognitiva – e un gruppo di controllo che invece seguiva solo i percorsi di cura tradizionali”. Una delle attività organizzate consisteva, ad esempio, nella sgranatura dei fagioli. “Abbiamo notato che un'attività così ripetitiva riusciva a tranquillizzare anche le persone con Alzheimer grave che spesso soffrono di irrequietezza motoria e aiutava loro a creare un legame con i pazienti con un livello di malattia meno grave”, prosegue Pazzaglia.

“Abbiamo riscontrato diversi effetti positivi che riguardavano sia il tono dell'umore e la qualità della vita (soprattutto nei pazienti con demenza agli stadi più avanzati) sia il versante cognitivo (nei pazienti con forme di demenza meno gravi)”. Sono stati osservati inoltre casi di pazienti tendenzialmente poco reattivi agli stimoli esterni che, dopo essere stati coinvolti nelle attività di orticoltura, hanno mostrato livelli più alti di attenzione e un maggiore senso di autoefficacia.

Insomma, l'applicazione del protocollo sviluppato da Pazzaglia e collaboratori ha prodotto risultati molto promettenti, offrendo spunti importanti per la futura ricerca scientifica sui benefici del contatto con l'ambiente naturale sulla salute umana.

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