MONDO SALUTE
In Salute. Hiv: passi in avanti, ma diversità di accesso alle cure e donne più a rischio
“È fondamentale che prenda avvio veramente un piano strategico per la lotta contro l’Hiv, una pandemia silenziosa che conosciamo ormai da 40 anni, ma sulla quale accendiamo i riflettori solo in pochi momenti. In Italia ci sono 1.800-2.000 nuove infezioni ogni anno, quindi dobbiamo lavorare ancora molto nell’ambito della prevenzione e della terapia, con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione. Ognuno nel proprio ruolo deve dare un contributo, in maniera sinergica e omogenea sul territorio, così da offrire il meglio alla nostra popolazione”. In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, abbiamo fatto il punto con Annamaria Cattelan, direttrice dell’unità operativa complessa di Malattie infettive dell’azienda ospedale-università di Padova e professoressa di malattie infettive nello stesso ateneo.
L’infezione da Hiv, sebbene sia prevenibile attraverso efficaci misure di sanità pubblica, continua a rappresentare un grave problema a livello globale. A sottolinearlo, con queste parole, è l’attuale Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 che traccia la cornice normativa in cui si colloca l’azione di contrasto alla malattia, oltre a dare indicazioni in termini di profilassi per il nostro Paese. La Regione europea dell'Oms, con la sottoscrizione dell’Action plan for the health sector response to HIV in the WHO European Region, si è impegnata a raggiungere l'obiettivo globale di porre fine all'Aids come minaccia per la salute pubblica entro il 2030. In l’Italia la Legge 135/1990 ha disposto invece un Piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids. Ma vediamo cosa è stato fatto finora e cosa resta da fare.
Intervista completa ad Annamaria Cattelan, direttrice U.O.C. Malattie infettive dell'azienda ospedale - università di Padova. Servizio di Monica Panetto, riprese e montaggio di Massimo Pistore
Una buona qualità di vita
“Rispetto a 40 anni fa – sottolinea Cattelan – lo scenario è cambiato. Un tempo ricevere una diagnosi di infezione da Hiv era quasi una sentenza di morte, oggi invece la situazione è completamente diversa: i dati che provengono dallo studio delle coorti europee, americane e australiane, dimostrano che se una persona con infezione da Hiv contrae il virus all'età di 20 anni, ha di fronte a sé almeno 60 anni di buona qualità di vita. E questo grazie alle terapie antiretrovirali, che non erano disponibili almeno fino al 1995-96”. Cattelan spiega che questi farmaci permettono di azzerare la replicazione del virus all’interno del corpo, e quando il paziente è stabilmente in cura non può trasmettere l’infezione. “La persona con Hiv può vivere serenamente anche la sua vita sessuale e questo è un grande passo avanti, pure contro lo stigma che ha sempre caratterizzato questa infezione”.
La qualità di vita poi è molto migliorata. L’infettivologa osserva che un tempo i medicinali avevano effetti collaterali significativi, dall'acidosi lattica all'epatotossicità, alla tossicità renale, ossea, fino alla lipodistrofia che dava addirittura un cambiamento della conformazione corporea. Per questo i medici iniziavano le terapie solo in presenza di un grave deficit del sistema immunitario.
“Oggi invece abbiamo a disposizione farmaci molto ben tollerati e con pochissimi effetti collaterali, che iniziamo a somministrare appena il paziente presenta l'infezione”. La terapia antiretrovirale, inoltre, viene somministrata in gran parte dei casi in un'unica compressa al giorno, diversamente da quanto accadeva 20 anni fa, quando venivano prescritte anche 10-20 pillole quotidianamente per controllare la replicazione virale. “Ci sono anche nuove modalità di somministrazione della terapia. I cosiddetti farmaci long-acting per esempio possono essere somministrati ogni due mesi, con due iniezioni, per un totale dunque di 12 iniezioni annue complessive, contro le 365 compresse quando il paziente assume una pillola al giorno”.
Se queste sono le cure disponibili, molte sono anche le terapie al vaglio, che hanno come bersaglio il virus nelle varie fasi di maturazione e replicazione. Cattelan spiega che si stanno considerando varie possibilità, tra cui medicinali long-acting da assumere ogni sei mesi o terapie geniche che cercheranno di attaccare il virus in più siti.
La produzione di un vaccino invece non è ancora così vicina. “La ricerca si sta muovendo molto in questo ambito, sono stati condotti vari studi, ma al momento non abbiamo risultati definitivi”. Cattelan spiega però che esistono metodi di prevenzione primaria come la profilassi pre-esposizione (PrEP), cioè una terapia orale con farmaci antiretrovirali che può essere somministrata a persone Hiv-negative con elevato rischio di contrarre l’infezione, proprio per prevenire il contagio virale. “Stiamo sperimentando inoltre combinazioni di farmaci long-acting che saranno sempre utilizzate nell'ambito della prevenzione”.
Donne più suscettibili e accesso alle cure non omogeneo
L’Hiv è la causa principale di morte tra la popolazione femminile in età riproduttiva a livello globale. “Le donne attualmente nel mondo rappresentano circa il 50% di tutte le persone con infezione da Hiv. In Italia invece sono molte meno, circa il 20-25%, spesso migranti. Teniamo presente in generale che la donna ha una maggiore suscettibilità a contrarre infezioni anche per motivi anatomici, e in assenza di terapia ha un rischio superiore di sviluppare patologie Aids-correlate. A ciò si aggiunga il fatto che Hiv è un virus che accelera il processo di invecchiamento, perché ha un effetto pro-infiammatorio che comporta lo sviluppo di una serie di patologie non strettamente Hiv-correlate, come le patologie cardiovascolari”. Queste ultime, in particolare, nelle donne Hiv-positive che invecchiano sono più frequenti rispetto non solo alle donne Hiv-negative ma anche ai maschi Hiv-positivi. “Aumenta inoltre anche il rischio di contrarre tumori come quello della cervice uterina, che è diagnostico di Aids, o tumori anali, polmonari, della mammella, che incominciano ad avere un'incidenza molto elevata in questa popolazione quando progressivamente invecchia”.
A fronte di questa situazione, tuttavia, le donne come avviene in altri ambiti sono ancora sottorappresentate negli studi clinici, compresi quelli che testano l’efficacia delle terapie antiretrovirali. Anche se, va detto, negli ultimi anni si sta facendo qualche passo avanti. Considerare anche la popolazione femminile può portare a risultati significativi, come ad esempio l’identificazione di farmaci contro l’Hiv che possono essere somministrati anche durante la gravidanza.
Cattelan sottolinea che in Italia tutti hanno accesso alle cure contro l’infezione da Hiv, ma in modo diverso a seconda delle Regioni. Come del resto è la Sanità nel nostro Paese. “In alcune zone, poche fortunatamente, non sono ancora disponibili i test di resistenza ai farmaci antiretrovirali, che invece sono fondamentali per poter scegliere un'adeguata terapia. Esistono poi differenti modalità di dispensazione dei medicinali: noi per esempio, come in altre Regioni, diamo i farmaci necessari per 60 giorni di terapia; in alcune sedi invece c’è una maggiore flessibilità, altre ancora coprono le necessità di un mese”.
Ci sono infine diversità di accesso alle cure per particolari gruppi di persone come i sex workers, i transgender, i senzatetto: “Nelle realtà in cui sono assenti servizi di volontariato o servizi di rete per intercettare e sensibilizzare queste popolazioni, ovviamente l'accesso alla diagnostica e alla terapia è sicuramente diverso rispetto alle zone in cui queste possibilità esistono”.