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In Salute. Meno zuccheri nei primi anni di vita proteggono da ipertensione e diabete

Una dieta a basso contenuto di zuccheri nell’utero materno e nei primi 1.000 giorni di vita può ridurre significativamente il rischio di andare incontro a ipertensione e diabete mellito di tipo 2 da adulti. Sono questi i risultati di uno studio pubblicato recentemente su Science dal titolo Exposure to sugar rationing in the first 1000 days of life protected against chronic disease. Di questo lavoro e di alimentazione nei più piccoli abbiamo parlato con Elvira Verduci, professoressa di pediatria generale e specialistica all’università degli Studi di Milano, e componente del consiglio direttivo della Società italiana di Pediatria.

Ma partiamo innanzitutto dallo studio. Gli scienziati hanno utilizzato i dati disponibili nell’UK Biobank, un database che raccoglie informazioni genetiche e sanitarie provenienti da mezzo milione di partecipanti britannici, e hanno considerato un campione di 60.183 persone nate tra l’ottobre del 1951 e il marzo del 1956, di età compresa tra 51 e 66 anni al momento dell’analisi: i nati tra il 1951 e il giugno 1954 erano 38.155, mentre i nati tra il luglio del 1954 e il marzo del 1956 erano 22.028. 

Il lasso di tempo considerato non è casuale: il 1953, infatti, è l’anno in cui termina un periodo decennale di restrizioni alimentari nel Regno Unito, iniziato durante la seconda guerra mondiale, che ha portato a un razionamento nell’assunzione di zuccheri nei primi anni di vita (e non solo). La quantità allora consentita era paragonabile alle attuali linee guida, che prevedono meno di 40 grammi di prodotto per gli adulti, meno di 15 per i bambini e nessuna assunzione di zucchero per chi ha meno di due anni. Dopo il 1953 il consumo di dolci è cresciuto in modo significativo: circa il 77% dell'aumento dell'apporto calorico dopo il razionamento era dovuto a un maggior introito di zuccheri. Questo ovviamente non è stato l’unico alimento a essere razionato, ma il consumo di altri cibi è rimasto in gran parte invariato o ha mostrato cambiamenti minori. In conclusione dunque, analizzando chi era nato prima e dopo il 1953, si poteva capire come potesse incidere l’apporto di zucchero su particolari condizioni di salute.

Nel campione considerato, a 3.936 persone è stato diagnosticato il diabete e a 19.644 l’ipertensione. Ebbene, i ricercatori hanno rilevato che la diminuzione del consumo di zucchero nei primi 1.000 giorni dopo il concepimento ha determinato una riduzione del rischio di contrarre diabete mellito di tipo 2 e ipertensione rispettivamente del 35% e del 20%. Con l’avanzare dell’età il rischio di diagnosi di malattia è aumentato per tutti, ma più rapidamente tra chi aveva avuto poca o nessuna riduzione nell’introito di dolci: il rischio ha iniziato a divergere quando i partecipanti avevano circa 50 anni e le differenze maggiori sono state osservate dopo i 60. In sostanza, il razionamento dello zucchero ha ritardato l’insorgere di diabete e ipertensione di circa 4 e 2 anni. La restrizione durante la gravidanza era già da sola un fattore protettivo, ma la maggior parte della riduzione del rischio si verificava soprattutto quando si riducevano gli zuccheri oltre i sei mesi. 

La restrizione in utero ha contribuito a circa ⅓ della riduzione complessiva del rischio. I risultati ottenuti dagli scienziati sono coerenti con precedenti studi sugli animali, secondo cui diete ad alto contenuto di zuccheri durante la gravidanza aumentano i fattori di rischio per il diabete mellito di tipo 2 e l'ipertensione, per la resistenza all'insulina e l'intolleranza al glucosio in età adulta. Ricerche sull’uomo hanno dimostrato un'associazione anche tra dieta ricca di zuccheri durante la gravidanza e l’allattamento e aumento del rischio di obesità della prole, come è stato rilevato anche dagli autori dello studio pubblicato su Science

A questo punto abbiamo chiesto qualche riflessione sullo studio alla professoressa Elvira Verduci che ha risposto via e-mail alle nostre domande. 

Cosa ne pensa dello studio? È solido in termini di metodologia e risultati?

Un articolo che descrive uno studio come “quasi sperimentale” indica che la ricerca possiede alcune caratteristiche degli studi sperimentali, ma manca di alcuni elementi chiave, come la randomizzazione completa. In un vero studio sperimentale, i partecipanti vengono assegnati in modo casuale ai gruppi di intervento e di controllo, cosa che aiuta a isolare l’effetto causale del trattamento. 

Questo studio è comunque di elevata qualità: ha coinvolto un campione molto ampio di oltre 60.000 soggetti, il che conferisce una solida base statistica per studiare le modifiche osservate nell’outcome primario. L'analisi statistica condotta è stata approfondita e soddisfacente, garantendo robustezza ai risultati e rafforzando l'affidabilità delle conclusioni, pur considerando le limitazioni metodologiche intrinseche a uno studio quasi sperimentale.

Introduce nuove conoscenze rispetto a quelle attuali?

Nonostante sia ormai noto da tempo che esiste un “nutritional programming” già in fase intrauterina, secondo cui qualsiasi intervento nutrizionale nei primi 1000 giorni di vita, a partire dal concepimento, può influenzare il rischio di malattie non trasmissibili nelle epoche successive, e sebbene in letteratura vi siano evidenze a supporto, questo studio rappresenta il primo ad avere come focus specifico gli zuccheri. I risultati ottenuti rispecchiano ciò che viene confermato dalla letteratura sull'uso e abuso di zuccheri in età pediatrica, ma aggiungono evidenza sul periodo della gravidanza.

Le evidenze di questo studio consolidano i risultati della pubblicazione dal titolo Sugar in Infants, Children and Adolescents: A Position Paper of the European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition Committee on Nutrition, così come del documento Added Sugars and Cardiovascular Disease Risk in Children: A Scientific Statement from the American Heart Association. Entrambi i testi, insieme alle linee guida internazionali, sottolineano come l’introito di zuccheri dovrebbe essere pari a zero nei lattanti e non superare il 5% del fabbisogno giornaliero nei bambini più grandi e negli adulti. Questa raccomandazione è basata sull'impatto degli zuccheri aggiunti sulla salute metabolica, con associazioni a un maggior rischio di obesità, dislipidemie e altre patologie croniche, confermando la necessità di un’educazione alimentare rigorosa già dalla prima infanzia.

Lo studio pubblicato su Science, però, aggiunge evidenza anche sulla fase della gravidanza. Infatti, durante il periodo di restrizione, l'apporto di zucchero per tutti, comprese le donne in gravidanza e i bambini, era paragonabile alle linee guida odierne, che prevedono una quantità inferiore a 40 grammi per gli adulti o inferiore a15 grammi per i bambini, e nessun’introito di zucchero al di sotto dei 2 anni. Dopo la fine di questo periodo nel 1953 c’è stato un immediato aumento quasi doppio (80 grammi), del consumo di zucchero e dolciumi. I risultati mostrano che il controllo dell’apporto degli zuccheri anche in gravidanza è associata a un minor rischio di diabete mellito di tipo 2 e ipertensione.

Che tipo di alimentazione dovrebbero seguire bambini e bambine fino ai 2-3 anni di età? 

Per i bambini fino ai 2-3 anni, l'alimentazione è cruciale per garantire una crescita sana e un corretto sviluppo. Esistono delle linee guida specifiche, come quelle fornite dall'Organizzazione mondiale della Sanità e, in Italia, dal Ministero della Salute e dal CREA, che offrono raccomandazioni su nutrizione e fabbisogni energetici adeguati.

In questa fascia di età dunque l’Oms raccomanda l’allattamento esclusivo al seno per i primi 6 mesi di vita, quando possibile, poiché il latte materno è la fonte nutrizionale più completa e facilmente digeribile. Dopo i 6 mesi, si può proseguire l’allattamento in modo complementare fino ai 2 anni di vita, a discrezione della famiglia. 

Intorno ai 6 mesi, il bambino è pronto per iniziare l’alimentazione complementare, introducendo gradualmente alimenti solidi. È consigliato introdurre un alimento alla volta, rispettando i tempi e le preferenze del bambino e variando progressivamente i cibi. Durante lo svezzamento, è importante proporre un’ampia varietà di cibi, che includano frutta, verdura, cereali, fonti proteiche (come legumi, carne, pesce, uova) e latticini, quando indicati. 

Quali alimenti è bene preferire e quali limitare?

È importante evitare zuccheri aggiunti e sale, soprattutto fino ai 2 anni, per il potenziale impatto sulle preferenze alimentari future. Le proteine invece sono essenziali per la crescita. Tra le fonti raccomandate ci sono carne bianca, pesce, uova e legumi. La carne e il pesce dovrebbero essere ben cotti e offerti in piccole quantità, sempre senza sale. Anche i grassi sono importanti per lo sviluppo cerebrale nei primi anni di vita, privilegiando gli alimenti che contengono grassi di buona qualità come, per esempio, olio di oliva extra vergine, pesce azzurro.

Dopo i 12 mesi, si possono introdurre latte vaccino e latticini in quantità moderata, facendo attenzione ai grassi e al contenuto di proteine. Prima dell’anno di età, si consiglia di continuare con il latte materno o con formule per l’infanzia. L’acqua è fondamentale per i bambini piccoli. Dopo i 6 mesi, è possibile offrire acqua naturale come bevanda principale, evitando succhi di frutta e bevande zuccherate

Nei primi due anni si pongono le basi per instaurare il pattern alimentare della dieta mediterranea che attualmente sappiamo essere associato a prevenzione delle malattie cronico degenerative.

L'alimentazione fino ai 2-3 anni di età incide sulle condizioni di salute da adulti? 

I primi 1000 giorni di vita indicano il periodo dal concepimento fino ai 2 anni di vita. Sappiamo che un’alimentazione insufficiente o troppo abbondante o non equilibrata nei primi mesi di vita, ma anche durante la gravidanza, ha delle ripercussioni sulla salute futura. I bambini non crescono come dovrebbero, oppure possono più facilmente manifestarsi malattie croniche in età adulta. Mentre è risaputo come una carenza possa compromettere la crescita di un bambino, meno diffusa è la consapevolezza che gli eccessi o, meglio, gli squilibri alimentari nei primi mesi di vita, possono “programmare” il metabolismo del bambino rendendolo maggiormente esposto a rischio di patologie croniche importanti come le malattie cardiovascolari, il diabete, l’obesità anche in età adulta. 

È il concetto di programming nutrizionale, teoria che risale a un epidemiologo inglese, David Barker. Egli nei suoi studi aveva dimostrato che c’era una relazione tra obesità e diabete e nascita prematura, cioè prima della trentasettesima settimana, o nascita di un bambino piccolo per età gestazionale. Il peso adeguato alla nascita è compreso tra i 2.5 e i 4 chilogrammi: se il neonato pesa meno è piccolo per età gestazionale, se pesa di più invece è grosso per età gestazionale. 

Ebbene, un piccolo per età gestazionale o prematuro subisce un “programming” sfavorevole sulla sua salute futura, ed è a rischio di sviluppare malattie in età adulta, allo stesso modo, qualsiasi insulto di tipo nutrizionale che avvenga nei primi 1000 giorni, può avere un rischio successivo per lo sviluppo di malattie non trasmissibili, ovvero diabete, patologie cardiovascolari, obesità, tumori e allergie soprattutto patologie respiratorie tipo asma. Il programming nutrizionale si suddivide in intrauterino (dal concepimento al parto) ed extrauterino (dal parto fino ai primi 2 anni di vita).

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