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In Salute. Sangue “artificiale”: dai campi di battaglia agli ospedali. A che punto siamo?

Ci si prova da molto tempo, ma raggiungere l’obiettivo non è così facile. E vedremo perché. In tutto il mondo ormai da più di trent’anni gli scienziati stanno cercando di ottenere sangue “artificiale” (anche se è più corretto parlare di sostituti della componente cellulare del sangue), sia per ampliare le risorse oggi disponibili grazie ai donatori, che per rispondere alle esigenze di pazienti con quadri clinici particolari.

Un articolo pubblicato recentemente su Science, riporta l’attenzione sull’argomento, illustrando in particolare uno degli ultimi prodotti sviluppati, Erythromer, un trasportatore di ossigeno a base di emoglobina che mima la funzione dei globuli rossi, realizzato da Allan Doctor e colleghi della University of Maryland negli Stati Uniti. È, questa, una delle possibili vie da percorrere per realizzare surrogati del sangue, ma non la sola. Si sta lavorando anche a una classe di candidati sostitutivi che impiega perfluorocarburi e si sta sperimentando l’impiego di cellule staminali. In tutti i casi l’obiettivo è ottenere sostituti del sangue sterili, a lunga conservazione e ampiamente disponibili per esempio per chi necessita di trasfusioni croniche o in caso di emorragie da traumi.

Nel corso di una videointervista e via e-mail Sergio Siragusa, professore di ematologia all’università di Palermo e vicepresidente della Società italiana di ematologia, ha risposto alle nostre domande, spiegando quali sono oggi le strade che gli scienziati stanno percorrendo, con quali risultati, e in che direzione sta andando la ricerca.

Intervista a Sergio Siragusa, vicepresidente della Società italiana di ematologia. Servizio e montaggio di Monica Panetto

Prof. Siragusa, cosa significa innanzitutto produrre sangue “artificiale”, tenendo conto che stiamo parlando di un tessuto composto da diversi elementi? 

Il sangue è costituito da una componente cellulare (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e una parte liquida (plasma). Tutte le componenti sono indispensabili per la vita. La parte cellulare può essere sostituita mediante trasfusioni da donatori: questo riguarda solo i globuli rossi e le piastrine. Poiché la richiesta di questi due componenti è molto elevata, per esempio per traumi o terapie, la quantità di donatori non è mai sufficiente. Questo sta portando a produrre artificialmente, cioè in laboratorio, alcune componenti del sangue. Il termine sangue “artificiale” dunque è molto vario. Da molti anni siamo in grado di usare prodotti “artificiali” per sostituire la parte liquida, si tratta dei cosiddetti plasma expanders. 

Per la parte cellulare, invece, ad oggi si sta cercando di produrre i globuli rossi (detti anche eritrociti) di cui vi è un’elevata richiesta non solo per la parte legata alle anemie da traumi civili e alle terapie di patologie ematologiche (prevalentemente congenite, come le talassemie ed altre anemie congenite), ma anche per traumi bellici. La medicina di guerra è stata infatti uno dei principali promotori della ricerca dei sostituti del sangue.

Per produrre sostituti del sangue, dunque, quali sono le strade che si possono percorrere? Quali i principali approcci? 

Esistono sostanzialmente due possibili approcci: creare sostituti artificiali delle funzioni delle cellule del sangue o produrre “nuove cellule ematiche” da infondere nei pazienti. 

Il primo approccio, già iniziato da oltre 30 anni sempre per esigenze di guerra, ha portato alla creazione di prodotti “trasportatori di ossigeno”. È questa infatti la principale funzione dei globuli rossi. Tali trasportatori di ossigeno si ottengono attraverso diverse tecniche fisico-chimiche, basate sull’emoglobina o emulsioni con perfluorocarbonio, che hanno fondamentalmente il compito di sostituire l’azione dei globuli rossi. Si tratta in sostanza di molecole simil-emoglobiniche create in laboratorio e modificate per evitare la tossicità che l’emoglobina di origine umana crea se inoculata quando non inclusa nei globuli rossi. Tali prodotti però hanno presentato finora importanti effetti collaterali.

L’altra modalità per ottenere sostituti del sangue, globuli rossi in particolare, è quella di “coltivare” le cellule staminali in laboratorio per poi infonderle in chi ne ha necessità. In pratica, da donatori sani vengono prelevate cellule staminali circolanti, separate dal restante sangue e fatte espandere e crescere in laboratorio, selezionando quelle che producono eritrociti. L’aspetto interessante è che si tratta di donatori, quindi una procedura facilmente attuabile.

Con questo approccio si crea una riserva “perenne” di eritrociti estremamente utile per i pazienti caratterizzati da gruppi sanguigni rari o per chi ha bisogno di trasfusioni croniche, come chi soffre di emoglobinopatie o anemie congenite, oppure per gestire l’anemia da chemioterapia nei tumori ematologici o solidi.

Gli scorsi mesi Science ha dedicato particolare attenzione a un sostituto ematico chiamato ErythroMer: di che cosa si tratta?

Come dicevo, da diversi anni si cerca di sviluppare dei trasportatori di ossigeno, funzione svolta dall’emoglobina. Questa, contenuta nel globulo rosso, svolge un importante ruolo non solo nel trasporto di ossigeno (quindi nella sua captazione e rilascio) ma anche nella vaso-mobilità (dilatazione e costrizione). L’emoglobina libera è tossica per l’organismo. 

Il principale limite dei “trasportatori di ossigeno tramite emoglobina” (HBOCs) sta nel fatto che non sono in grado di evitare il rilascio dell’emoglobina libera. Alcuni anni fa, con metodi di nanotecnologia è stata prodotta una membrana in grado di contenere e isolare l’emoglobina libera, rendendo potenzialmente sicuri i HBOCs; tale prodotto, sperimentato da due scienziati americani (Allan Doctor e Dipanjan Pan) ha portato alla creazione di Erythromer che utilizza l’emoglobina da donatori intrappolata in una membrana che ne impedisce la liberazione come emoglobina libera nel plasma. 

Il vantaggio è che, essendo una membrana artificiale, può essere somministrata a tutti gli individui a prescindere dal gruppo sanguigno. Infatti i nostri globuli rossi hanno delle “targhe” sulla superficie (gruppi sanguigni A, B, AB e 0) che richiedono sangue compatibile in caso di trasfusione. A differenza del sangue – riferendoci qui ai globuli rossi – l’Erythromer può essere conservato ovunque, ed è facilmente ricostituibile: appare infatti come polvere che può essere conservata fino a due anni, rispetto agli eritrociti da donatore che possono essere conservati a temperatura costante per poco più di un mese.

Quali sono le principali difficoltà che si incontrano nella realizzazione di sostituti del sangue?

Innanzitutto dobbiamo ricordare che al momento stiamo parlando di sostituire la parte cellulare del sangue relativa ai globuli rossi, con prodotti di sintesi che usano l’emoglobina da donatore o di sintesi. Non abbiamo per ora studi avanzati sull’uso degli altri componenti relativi, per esempio, alle piastrine. Per la parte plasmatica del sangue, si usano ormai da molti anni i cosiddetti plasma expanders. 

Riguardo ai sostituti dei globuli rossi le principali difficoltà risultano nell’evitare che l’emoglobina (da donatore o di sintesi) possa essere rilasciata libera nel plasma che, come visto, risulta tossica. Non è ancora possibile inoltre fare un’analisi corretta sui costi di tali approcci nel caso in cui vengano commercializzati. 

Ci sono ad oggi sperimentazioni cliniche in corso che prevedono la trasfusione di sangue “artificiale”? Nel 2022, per esempio, è stato fatto un trial di questo tipo nel Regno Unito…

Riguardo a prodotti tipo Erythromer l’uso al momento è limitato solo ad animali di laboratorio. Un analogo prodotto, sperimentato in Giappone, è stato inizialmente testato in uno studio di fase 1 negli uomini poi interrotto durante la pandemia. 

Riguardo invece all’altra possibilità di produrre cellule del sangue (limitatamente ai globuli rossi), coltivandole in laboratorio da cellule staminali, lo studio RESTORE (REcovery and survival of STem cell Originated REd cells) ha sperimentato l’uso di eritrociti prodotti in colture cellulari di cellule staminali da donatori umani. Questi globuli rossi “da laboratorio” (ma in realtà fisiologici) hanno anche la potenzialità di vivere più a lungo una volta donati in quanto cellule giovani, a differenza di quelle che si trovano nei donatori di sangue dove la popolazione di globuli rossi è prevalentemente “anziana”. Ad oggi sono stati testati in un piccolo numero di volontari sani. Sono stati trattati due pazienti senza effetti collaterali, ma l’obiettivo è di trattarne almeno dieci. L’effetto dei globuli rossi infusi, solo in piccole quantità, non ha creato reazioni avverse. Tali trial al momento valutano prevalentemente la sicurezza, più che la reale efficacia.

Esistono prodotti già approvati da enti regolatori?

No, non ne esistono negli Stati Uniti e in Europa. Si utilizzano alcuni HBOCs in Russia e in Africa, generalmente in caso di pazienti con fenotipi di sangue raro per cui è impossibile o molto difficile trovare sangue compatibile. 

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