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In Salute. Scabbia: diagnosi, terapia e prevenzione delle recidive

Da alcuni anni nel nostro Paese sono aumentati i casi di scabbia, una parassitosi cutanea causata dall’acaro Sarcoptes scabiei var. homini. La malattia provoca un prurito intenso e persistente, dovuto alla risposta immunitaria infiammatoria che si scatena nell’organismo nei confronti del parassita.

Spesso considerata una malattia di un’altra epoca o legata a condizioni di vita precarie, la scabbia può colpire in realtà persone di ogni età ed estrazione sociale. Per questo è importante conoscerne le caratteristiche e rivolgersi a un dermatologo in caso di sintomi sospetti. Seguire la terapia e ascoltare le raccomandazioni mediche è inoltre fondamentale per scongiurare il rischio di ulteriori contagi e recidive.

“Il Sarcoptes scabiei è una specie di “microscopico ragnetto” che si trasmette da persona a persona per contatto diretto”, spiega la dottoressa Manuela Papini, già professoressa di malattie cutanee e veneree all’università degli studi di Perugia. Il contagio, quindi, non avviene per via respiratoria come accade, ad esempio, nel caso dell’influenza. Per consentire il passaggio dell’acaro da una persona all’altra è necessario un contatto prolungato pelle contro pelle.

Più rari, ma comunque possibili, sono i casi di contagio attraverso tessuti o altre superfici contaminate. “L'acaro non resiste molto fuori dal corpo umano perché per sopravvivere ha bisogno di determinate condizioni di temperatura e umidità, oltre al nutrimento che trae dalla nostra pelle”, continua la dottoressa Papini. “La trasmissione attraverso i cosiddetti fomiti, ovvero gli indumenti o la biancheria, non è quindi frequentissima. Tuttavia, l’acaro non muore immediatamente al di fuori del corpo umano. Con le giuste condizioni di temperatura e umidità può resistere anche alcune ore, o persino un paio di giorni. Ciò fa sì che in alcuni luoghi particolarmente affollati – come case di riposo, scuole o carceri – dove si condividono bagni, sedie o poltrone in rapida successione, il contagio possa avvenire anche senza contatto diretto”.

L'intervista alla dottoressa Manuela Papini. Servizio e montaggio di Federica D'Auria

Come spiega Papini, il prurito che caratterizza questa malattia si manifesta solitamente dopo circa trenta giorni dall’infestazione dell’acaro. Tuttavia, nel caso di soggetti che hanno già contratto la scabbia in precedenza, il sintomo compare più precocemente, dopo circa una settimana dal contagio.

La dottoressa Papini ricostruisce inoltre il ciclo vitale del Sarcoptes scabiei. “L’acaro femmina, una volta raggiunta la superficie cutanea, viene fecondata dal maschio (che adempie così al suo unico compito) e inizia a scavare una specie di galleria – chiamata cunicolo – sotto lo strato corneo, quello più esterno della nostra pelle. All’interno del cunicolo, il parassita si nutre dei residui di cheratina e delle altre sostanze che si trovano sull’epidermide. Dopo qualche giorno, depone le uova, dalle quali dopo circa una settimana nascono nuovi acari. Questi ultimi, una volta maturati completamente, escono dal cunicolo e ritornano sulla superficie cutanea, dove ricominciano il ciclo da capo”.

Le lesioni causate dai cunicoli, che vengono rotti dal paziente che le gratta in seguito al prurito, sono osservabili soprattutto in alcune aree del corpo, come le regioni mammarie femminili, i genitali esterni maschili, le zone ascellari, addome e dorso all’altezza dell’ombelico e gli spazi interdigitali delle mani e, qualche volta, dei piedi.

“Quando un paziente si rivolge al dermatologo lamentando prurito – soprattutto durante la notte o all’interno di luoghi caldi – in queste regioni del corpo, è lecito sospettare che si tratti di scabbia”, continua la dottoressa. “Se poi altri membri della famiglia manifestano gli stessi sintomi, allora il sospetto diventa quasi una certezza”. Anche il quel caso, però, è necessario ottenere una diagnosi accertando la presenza dell’acaro.

“I vecchi metodi diagnostici si basavano sull’accurata ricerca dei cunicoli sulla pelle e sull’estrazione dell’acaro, che veniva poi analizzato al microscopio”, racconta la professoressa. “Oggi però esiste uno strumento molto più efficace, chiamato dermatoscopio, che viene fatto scorrere su tutta la superficie cutanea del paziente e permette di rilevare i cunicoli e gli acari al loro interno”.

Una volta effettuata la diagnosi, viene prescritta una terapia farmacologica. “Esistono diverse linee guida a livello sia europeo che nazionale che regolano il trattamento della malattia”, precisa Papini. “Queste disposizioni sono però in continua evoluzione perché sono purtroppo in aumento i casi in cui le cure non funzionano adeguatamente. Il problema è dovuto sia al fenomeno per cui molti acari stanno diventando resistenti ai farmaci, sia alla mancata sanificazione degli spazi domestici (che espone al rischio di recidiva).

Le linee guida suggeriscono solitamente di iniziare il trattamento con antiparassitari per uso locale a base di permetrina. Purtroppo, però, sono stati registrati diversi casi di evidente resistenza a questo farmaco. Per questo motivo, tali medicinali vengono talvolta sostituiti con il benzoato di benzile, più efficace ma non disponibile in commercio già pronto. Dev’essere fatto quindi preparare dai farmacisti nella concentrazione adeguata. In abbinamento con questi farmaci per uso locale si può prescrivere anche l’ivermectina, da assumere invece per via orale”.

Tutti quelli appena descritti sono però farmaci piuttosto costosi, non rimborsabili dal sistema sanitario, se non in situazioni particolari. “Un trattamento completo per la scabbia può arrivare a costare circa un centinaio di euro”, commenta Papini. Le spese, ovviamente, aumentano nel caso in cui altri familiari debbano sottoporsi al trattamento, o nel caso in cui la terapia vada ripetuta in seguito a un nuovo contagio.

“Se un paziente X prende la scabbia, la sua famiglia e tutte le persone che hanno avuto contatti con lui devono effettuare il trattamento, anche se non manifestano alcun sintomo, perché l’infestazione potrebbe essere in fase di incubazione”, sottolinea la dottoressa Papini. Se ciò non viene fatto, si rischia di finire in una dinamica simile al ping pong, in cui il paziente X guarisce, ma il suo familiare che non ha seguito la terapia gli riattacca la malattia, e si continua a trasmettersi l’acaro avanti e indietro in questo modo. “Per questo è importante sanificare bene l’ambiente, cambiare le lenzuola e pulire tutto ciò con cui si è venuti a contatto”.

Papini smentisce infine il pregiudizio secondo il quale la scabbia colpisca solo le persone che prestano poca attenzione all’igiene personale. “Non c’è niente di vero”, chiarisce la dottoressa. “Sebbene la scarsa igiene aumenti l’esposizione al rischio, essa non rappresenta la causa della malattia. La scabbia può venire a chiunque. Nelle persone che si lavano molto, può accadere che gli acari si sviluppino poco e che i cunicoli siano meno visibili. Questo però non impedisce ai pazienti di presentare i sintomi della malattia e di trasmetterla ad altre persone”.

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