SOCIETÀ

Nazionalizzare o privatizzare? Serve comunque un settore pubblico competente

Nazionalizzare la gestione delle autostrade, e un domani – chissà – anche di altri settori strategici, come l’energia e le comunicazioni? Se ne parla sempre più insistentemente dopo il crollo di Genova, che con la sua scia di morti e di sofferenze ha riportato al centro del dibattito il tema della gestione dei servizi e beni pubblici da parte dei privati. Ne parliamo con Paola Valbonesi, docente di economia politica presso l’università di Padova, che da anni si occupa di regolamentazione di Public Utilities e di contratti pubblico-privati, conducendo anche alcuni studi specifici sul settore stradale italiano.

Professoressa, oggi una buona parte delle autostrade sono gestite da concessionari privati. Come si è arrivati a una situazione del genere?

La costruzione della rete autostradale prese forma sotto l'Iri (l’Istituto per la Ricostruzione Industriale) a partire dalla metà degli anni ‘50 con la realizzazione della Milano-Napoli, a cui seguirono i lavori per altre arterie. La “privatizzazione” della rete autostradale è poi avvenuta nel 1999: si è attuata una privatizzazione parziale, nel senso che la proprietà della rete è rimasta pubblica mentre la sua gestione e la manutenzione sono andate in mano a società private remunerate con i pedaggi. Si è passati quindi da una attività economica gestita direttamente dallo Stato ad una solamente regolata dallo Stato: un passaggio molto delicato a cui molto spesso non si dedica l'attenzione dovuta. Non si diventa “regolatori” da un giorno all'altro, ed è proprio a partire dai poteri e dalla competenza tecnica, contabile/finanziaria e manageriale del nuovo regolatore che vengono poi a delinearsi molti degli effetti dell'avvenuta privatizzazione. Nel caso delle autostrade italiane, con la privatizzazione del settore, la regolazione è andata prima in capo all’Anas, poi dal 2012 al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.  Si noti che il completamento del processo avrebbe richiesto l’istituzione di una Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art): questa è stata però istituita solo 17 anni dopo la privatizzazione delle autostrade (con il decreto legge 201 del 2011), ed è diventata operativa dal 2013; inoltre, l’Art ha competenza solo sulle nuove concessioni e non su quelle già in essere prima della sua istituzione, come quelle riguardanti la società Autostrade per l’Italia.

Non si diventa “regolatori” da un giorno all'altro

Perché si arriva a privatizzare i servizi pubblici?

I numerosi studi sulle privatizzazioni – nelle loro diverse forme adottate in vari paesi – mettono in luce come questi processi siano frutto di una scelta innanzitutto politica, che ha però fondamenti storico-economici. In Inghilterra, Paese che con i governi Thatcher ha vissuto estese privatizzazioni, nel solo 1991, vendendo le partecipazioni pubbliche in British Telecom, National Power e nelle compagnie elettriche regionali, furono raccolti circa 11,8 miliardi di sterline (20,5 miliardi di sterline al valore attuale): tali risorse furono destinate – con scelta politica – a  ridurre il debito pubblico in quel periodo.  La più recente privatizzazione di Aeropuertos Españoles y Navegación Aérea (Aena, società spagnola proprietaria della maggior parte degli aeroporti spagnoli) nel 2014, configuratasi nella cessione del 49% della proprietà a investitori privati, è stata motivata dal governo spagnolo dalla necessità di reperimento di risorse per rifinanziare il debito dell’impresa e attivare nuovi investimenti necessari all’operatività dell’impresa in un settore molto competitivo. E la lista degli esempi e relative le motivazioni che spingono i governi a privatizzare è molto lunga…

Per l’economia e la cittadinanza è meglio una gestione pubblica o privata dei beni e dei servizi pubblici?

Questo è un quesito classico nei dibattiti di economia pubblica e molti sono gli studi che hanno cercato di contribuirvi. In particolare, i risultati empirici della letteratura economica che studia l'efficienza della gestione pubblica o privata di public utilities non portano a propendere per una indicazione univoca: alcuni mettono in luce la maggiore efficienza della gestione privata e altri invece sottolineano quella pubblica. Quello che è certo è che molti di questi risultati dipendono dalle “condizioni” di erogazione del bene o del servizio, dalla difficoltà della sua gestione e dagli investimenti necessari.

Altro elemento di studio nella comparazione delle gestioni pubbliche e private, è relativo alla qualità. Qui, il dibattito mette in luce con evidenze empiriche che la gestione privata a volte consente abbattimenti di costi derivanti da riduzioni reali di stipendio dei dipendenti o condizioni lavorative peggiori, oppure da risparmi nelle manutenzioni (dove dovute). Condizioni che però portano in generale a un abbassamento della qualità delle prestazioni.

E per quanto riguarda le autostrade italiane?

In questo caso c’è da rilevare che le condizioni di erogazione del servizio sono caratterizzate da rischio imprenditoriale per i concessionari molto basso: infatti, questi ultimi operano – di fatto –  a fronte di una rendita garantita dal traffico di automezzi (di cui si possono avere stime molto precise sulle varie tratte) e dai corrispondenti pedaggi; e l’esperienza italiana mostra che le tariffe autostradali sono tipicamente aumentate con l’inflazione (a volte di più!), generando quindi flussi di cassa sempre positivi per i concessionari. A fronte di questi elementi molto favorevoli all’operare dei concessionari autostradali, un punto di rilievo circa il disastro recente del ponte Morandi è quello innanzitutto di verificare se sono stati effettuati dal concessionario della tratta gli investimenti minimi e le spese di manutenzione richiesti dal regolatore; in secondo luogo, risulta necessario anche verificare se  è stato realizzato un accurato controllo su queste voci da parte del regolatore.

Una revoca della concessione andrebbe ad aumentare il cosiddetto “rischio regolatorio” (Regulatory Risk)

In questi giorni si parla anche di eventuale revoca della concessione sull’autostrada Milano-Genova: lei cosa ne pensa?

La revoca in questo caso comporterebbe sicuramente un ingente risarcimento – nell’ordine dei miliardi di euro, soldi pubblici – che lo Stato (Anas) dovrebbe pagare all’operatore privato per i ricavi mancati della gestione (dal momento della revoca fino alla scadenza della concessione, stabilita nel 2042). Sarebbe inoltre da capire l’impatto di questa mossa così inusuale (tipicamente le concessioni si rinegoziano, difficilmente si revocano) sugli investitori nazionali o esteri: tale azione andrebbe ad aumentare il cosiddetto “rischio regolatorio” (Regulatory Risk), ovvero le possibili perdite dovute a un cambiamento normativo non previsto e, conseguentemente,  potrebbe rallentare negli anni a venire gli investimenti privati nel settore autostradale e, più in generale, nei settori regolati italiani.

Infine, dal dibattito in corso non è chiaro chi sarebbe titolato prendere in carico la gestione diretta della tratta: se andasse in gestione ad Anas (il costruttore), sarebbero sicuramente da rivedere l’organizzazione interna e le competenze di Anas  per tale scopo. Ci sarebbero quindi altri costi da tenere in considerazione, nonché il tempo necessario per arrivare alla sua piena operatività nella gestione, con conseguenti disagi per gli utenti.

Un’alternativa potrebbe essere nazionalizzare l’intero settore?

Quello sulle nazionalizzazioni non è un dibattito nuovo nel panorama internazionale. In Inghilterra i laburisti, e recentemente anche alcune aree liberal, ne discutono già da tempo in riferimento sia alla gestione delle utilities – ad eccezione delle tlc, una privatizzazione che sembra abbia portato effetti positivi in termini di prezzi ai consumatori e di innovazione tecnologica –, che alle esternalizzazioni di beni e servizi (tipicamente nella forma di appalti pubblici).

A mio modesto avviso, prima ancora di affrontare il tema della nazionalizzazione di un settore bisogna chiedersi se in seno al settore pubblico vi sono le competenze necessarie per pianificare, gestire ed erogare efficientemente e con qualità i servizi e beni in questione. Si noti che – come in altri settori – anche nelle utilities è divenuta cruciale l’adozione tempestiva di innovazioni tecnologiche volte alla riduzione dei costi e al miglioramento della qualità dei servizi. C’è da chiedersi se il settore pubblico italiano, spesso caratterizzato da lungaggini burocratiche, sarebbe in grado di stare al passo con i tempi…

Il punto centrale sembra comunque essere la competenza degli operatori nel settore pubblico

In definitiva qual è il sistema migliore per gestire i beni e le risorse pubbliche?

Una recente analisi empirica su dati USA relativi ad un numero molto elevato di  stazioni appaltanti pubbliche (operative a diversi livelli amministrativi e diversi settori economici) ha evidenziato come la “competenza” all’interno degli uffici pubblici – misurata attraverso vari indicatori – sia la determinante cruciale del raggiungimento dell’efficienza e qualità nelle esternalizzazioni e appalti di beni/servizi. Simili risultati emergono da studi empirici in relazione all’operato dei regolatori di utilities in diversi paesi europei. Ed evidenze aneddotiche che vanno nella stessa direzione si possono ricavare dalla semplice osservazione dei beni e servizi pubblici resi da amministrazioni locali in aree territoriali contigue e soggette alle stesse normative nazionali.

Il punto centrale sembra dunque essere la competenza tecnica, contabile/finanziaria e manageriale degli operatori nel settore pubblico, competenza che si manifesta in tutta la sua importanza sia nei casi in cui questo rivesta il ruolo di gestore diretto, che in quelli in cui invece operi come regolatore di privati ai quali vengono affidate le concessioni di gestione o le esternalizzazioni di servizi/beni. Conseguentemente, sarebbe bene investire sul ridisegno dei percorsi di formazione dei manager pubblici e delle loro carriere, ponendo particolare attenzione agli incentivi economici e reputazionali legati alle performance degli uffici pubblici che dirigono. Inoltre, la trasparenza dell’operare negli uffici pubblici dovrebbe venire agevolata – attraverso l’accesso aperto ai dati, alle operazioni e contratti realizzati dagli uffici pubblici – al fine di rendere agevole il controllo esteso e diretto delle attività svolte anche da parte dei cittadini che usufruiscono dei servizi/beni resi.

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