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Non solo Covid-19: polio, Aids e tubercolosi

Dopo l’interruzione di tutte le vaccinazioni di massa a marzo – nel timore che potessero inavvertitamente contribuire alla diffusione di Sars-CoV-2 –, ora la Global Polio Eradication Initiative (Gavi), un’organizzazione internazionale che favorisce l’accesso ai vaccini nei Paesi più poveri del mondo, riprende le campagne: per primo il Burkina Faso all'inizio di luglio, poi il Pakistan. I casi di poliomielite stanno aumentando in molti Stati, ma per ora, gli interventi risponderanno solo alle epidemie, mentre le campagne di prevenzione rimangono in sospeso. Sono i “danni collaterali” della pandemia da Covid-19 che, se da un lato ha già provocato più di 17 milioni di contagi in tutto il mondo e quasi 700.000 decessi, dall’altro sta avendo ripercussioni anche sulle misure di prevenzione e controllo di altre infezioni. Spesso, nei Paesi più poveri del mondo.

Stando ai dati dell’Oms, di Unicef, Gavi e Sabin Vaccine Institute, riferiti da Epicentro, il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica a cura dell’Istituto superiore della Sanità, il 53% dei 129 Paesi, di cui si dispongono dati, tra marzo e aprile ha visto interrotti in modo significativo, o completamente sospesi, i servizi vaccinali. E circa 80 milioni di bambini con meno di un anno di età sono stati a rischio di patologie gravi come poliomielite, difterite o morbillo. Alcuni dati possono dare la dimensione del problema: le campagne vaccinali contro la polio (IPV, bivalente orale -bOPV, monovalente orale tipo 2 -mOPV2), per esempio, sono state rimandate complessivamente in 46 Paesi (dati al 15 maggio), in sette Paesi quelle contro il tetano e in cinque contro il colera. E ancora, quattro Paesi hanno visto rinviate le vaccinazioni contro la febbre gialla, due quelle contro la meningite A e contro il tifo e sono stati ben 27 gli Stati in cui sono state interrotte le campagne vaccinali contro morbillo, parotite e rosolia.

Le ragioni per cui i servizi sono stati sospesi o ridotti sono differenti e vanno dalle misure di distanziamento fisico introdotte per contenere la diffusione dell’infezione da Sars-CoV-2, all’impossibilità degli operatori sanitari di viaggiare, anche perché impegnati nella gestione della pandemia, fino alla mancanza di adeguati dispositivi di protezione. L’Unicef ha segnalato inoltre ritardi nella consegna dei vaccini dovuti al lockdown e alla riduzione dei voli commerciali.

“La sospensione delle vaccinazioni – osserva Gavino Maciocco, docente di politica sanitaria all’università di Firenze e direttore scientifico della rivista Salute e Sviluppo, edita da Medici con l’Africa – Cuamm – riduce la copertura ed espone un certo numero di bambini alla possibilità di contrarre l’infezione. L’effetto dipende molto, tuttavia, dall’immunità di gregge presente in un determinato Paese: a fronte di una buona immunità di gregge, infatti, una sospensione di due, tre mesi non produce alcun danno, perché il virus circola poco, o non circola affatto. Il problema esiste laddove invece questa copertura non c’è, come in Pakistan o in Afghanistan dove, ad esempio, il virus (della poliomielite, ndr) circola ancora. Qui una riduzione della vaccinazione può produrre danni. In Africa, invece, questo problema, fortunatamente, non esiste, perché il virus della polio circola pochissimo”.

Se la riduzione o, in taluni casi, la sospensione delle vaccinazioni di massa è stata una delle conseguenze (negative) della pandemia da Covid-19, il lockdown imposto da molti governi – che ha certamente contribuito a frenare la trasmissione virale, limitando la circolazione e l’interazione tra le persone – non è stato privo di ripercussioni anche sulla gestione e sul controllo di altre malattie, come la tubercolosi (Tb) e l’infezione da Hiv. Queste due patologie, sono presenti da lungo tempo ad esempio sul territorio africano e il Sudafrica in particolare, con lo 0,7% della popolazione mondiale, conta il 20% dei casi di infezione da Hiv (da 7,7 a 7,9 milioni di persone) e si colloca tra i Paesi più colpiti dalla tubercolosi. Negli ultimi 10 anni – osservano in un articolo pubblicato su Science Quarraisha Abdool Karim e Salim S. Abdool Karim, rispettivamente del Centre for the AIDS Programme of Research in South Africa e del Department of Epidemiology, della Columbia University – sono stati compiuti passi in avanti importanti nel contenimento di entrambe le malattie, grazie a un maggiore accesso ai farmaci antiretrovirali che, tra il 2010 e il 2018, ha consentito una riduzione del 33% dei decessi correlati all’Aids. Allo stesso modo, il tasso di mortalità per tubercolosi è diminuito da 224 per 100.000 abitanti nel 2010 a 110 per 100.000 abitanti nel 2018.  Ora però in numerosi Paesi africani, e in particolare in Sudafrica, negli ultimi mesi molte delle risorse sviluppate per il controllo di tubercolosi e Aids (dalle infrastrutture di ricerca, alle piattaforme diagnostiche, fino ai servizi sanitari) sono state impiegate per il contenimento della pandemia da Covid-19.  


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I test PCR (Polymerase Chain Reaction, reazione a catena della polimerasi) per Hiv e Tb, fondamentali per iniziare un eventuale trattamento, sono stati eseguiti in misura minore durante il lockdown. È stato registrato un calo del 59% nel numero medio di test GeneXpert TB giornalieri che ha causato una riduzione del 33% delle nuove diagnosi di tubercolosi. Le restrizioni alla circolazione (anche in termini di trasporto pubblico), unite al timore di essere esposti all’infezione da Sars-CoV-2, hanno diminuito l’accesso ai servizi sanitari.  Inoltre, le piattaforme diagnostiche per Hiv e tubercolosi contribuiscono in maniera significativa anche all’identificazione dei casi di Covid-19 (data la carenza di kit per i test), e questo deve fare i conti con le riserve disponibili. 

Va tenuto conto poi della difficoltà di garantire la terapia antiretrovirale, per l’interruzione della catena di approvvigionamento o per la situazione di emergenza in cui si sono venuti a trovare i servizi sanitari in risposta alla pandemia da Covid-19. Che, peraltro, ha causato anche una diminuzione dei ricoveri ospedalieri di pazienti affetti da Aids o tubercolosi. La riduzione dei servizi e il calo nell’accesso alle cure mediche, registrato durante il lockdown, non è peraltro privo di conseguenze. L’Organizzazione mondiale della Sanità ha infatti stimato che nell’Africa sub-sahariana l’interruzione di sei mesi della terapia antiretrovirale potrebbe causare oltre 500.000 decessi in più per malattie correlate all’Aids nel 2020-2021. In Sudafrica, in una sola provincia, 1.090 pazienti affetti da tubercolosi e 10.950 con infezione da Hiv non hanno ricevuto i farmaci nei tempi previsti dall’inizio del lockdown nazionale. E nello stesso periodo, su 19.330 persone, raggiunte attraverso un sondaggio, il 13,2% ha dichiarato che i medicinali per il trattamento di patologie croniche erano diventati inaccessibili.

Non è ancora ben compresa poi quale sia l’interazione biologica ed epidemiologica tra Covid-19, Hiv e tubercolosi, anche se uno studio condotto sempre in Sudafrica su 12.987 soggetti con infezione da Sars-CoV-2 indica che le due patologie hanno un effetto modesto sulla mortalità Covid-19. Ciò, si legge su Science, è probabilmente dovuto al fatto che i decessi interessano soprattutto persone anziane, in cui l’infezione da Hiv e la Tb, non sono comuni.

In questo particolare momento storico, anche la ricerca scientifica che interessa la prevenzione e il trattamento delle due patologie, da tempo presenti nel continente africano, ha subito una battuta d’arresto, in favore di uno sforzo collettivo teso a comprendere le dinamiche biologiche ed epidemiologiche di Sars-CoV-2 e a studiare un vaccino che possa rispondere all’emergenza sanitaria.

Il continente africano, osserva Maciocco, è abituato ad avere più di un’epidemia contemporaneamente: basti pensare all’Ebola che, pur non avendo coinvolto tutti i Paesi, è stata particolarmente grave, peraltro molto più della pandemia da Covid-19, specie in alcuni Stati dell’Africa occidentale. “L’impatto dell’infezione da Sars-CoV-2 sul contesto economico-sanitario – argomenta il docente – è visibile anche nel nostro Paese. Si pensi agli appuntamenti medici, alle prenotazioni, agli interventi chirurgici rimandati. E tutto questo è avvenuto anche da altre parti”. Non bisogna però generalizzare, secondo il docente, perché le conseguenze della pandemia in Africa, ma anche in Asia ad esempio, sono molto diverse da Paese a Paese. Se il Sudafrica, ad esempio, ad oggi registra 482.169 casi (stando ai dati di Worldometer al 31 luglio, ore 8.30), e 7.812 decessi, il vicino Mozambico di casi ne conta 1.808 e 11 morti. Di conseguenza anche le ricadute sui rispettivi sistemi sanitari è differente.

Un secondo aspetto da considerare, secondo Maciocco, è l’impatto economico generale che deriva dal particolare momento storico: molte aree che vivono di turismo o basano la loro economia sulla esportazione di materie prime vengono penalizzati dalle misure adottate per il contenimento della pandemia da Covid-19. “E questo può produrre un aumento della povertà e un peggioramento dello stato di salute”. Infine, non va dimenticato nemmeno l’aumento dei prezzi dei farmaci antiretrovirali, dovuto in particolare al blocco della produzione in India, da cui generalmente si rifornisce il Sudafrica (ma non solo): anche questo, osserva il docente, potrebbe avere ripercussioni sulla salute, dato che la riduzione della copertura terapeutica può generare un aumento della mortalità.

In Africa i sistemi sanitari hanno un ruolo debolissimo – osserva Maciocco –, vengono dati pochissimi finanziamenti ai servizi pubblici, gran parte sono a pagamento e dunque con grossi problemi di accesso. Questo è un dato che ormai si trascina da molto tempo. E anche i livelli di cooperazione internazionale sono molto ridotti. Il continente rispetto ad alcuni anni fa si trova in una situazione di stallo, anche se qualche indicatore migliora, perché in molti Paesi negli ultimi tempi il livello economico è migliorato e dunque, indirettamente, ha avuto anche degli effetti sulla salute. La mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni, ad esempio, ha avuto quasi un dimezzamento negli ultimi 10-15 anni, ma non si può dire altrettanto per la mortalità materna, ancora molto elevata. Senza contare che in tutta l’Africa il problema dell’Aids è ancora molto presente: sebbene qualche progresso sia stato fatto nell’ambito delle terapie antiretrovirali, si registra circa un milione di morti all’anno”. Si aggiunga poi, conclude il docente, che negli ultimi anni le malattie croniche, come il diabete o le malattie cardiovascolari, hanno equiparato in termini di mortalità le patologie infettive.

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