SOCIETÀ

Non di solo smart working vive il dipendente

Il 9 marzo 2020 verrà ricordato come il giorno in cui il nostro paese ha fatto una scoperta sensazionale: lo smart working. Dall'oggi al domani, complice la quarantena, migliaia di italiani si sono ritrovati di fronte a un computer a (cercare di) fare quello che facevano prima, ma con un coefficiente di difficoltà più alto dovuto alle distrazioni come bambini, animali domestici, coniugi, soprani improvvisati sul balcone di sopra.
Inizialmente è stato il panico: da orpello inutile la webcam si è trasformata in uno strumento fondamentale, per la prima volta in 10 anni abbiamo spolverato le nostre librerie per costruire una scenografia di impatto per le nostre videocall, le azioni dei sistemi di connettività sono le uniche il cui valore è rimasto ben saldo (assieme a quelle dell'Amuchina).

Durante questa prima fase, i più avvantaggiati erano quelli che lo smart working lo praticavano da un po': buona parte dei freelance, gli imprenditori digitali, i capi d'azienda con il feticismo di rimproverare i dipendenti in videoconferenza indossando solo le mutande sotto giacca e cravatta. Questi hanno dovuto soccorrere emotivamente e tecnicamente amici e parenti che prima avevano acceso il computer di casa solo per stampare l'ultimo F24 precompilato (e che quindi si sono potuti avvicinare alla novità solo 24 ore dopo, quando Windows aveva finalmente concluso gli aggiornamenti ["la vita è quella cosa che ti capita mentre aspetti che windows si aggiorni" semicit]). Li hanno presi sotto la loro ala, gli hanno insegnato le meraviglie di Skype ("Gira la cam, altrimenti ti vedo a testa in giù!"), di Zoom ("anche se non accendi la telecamera ma solo il microfono, se poi tiri l'acqua capisco perfettamente cosa stavi facendo"), di Google Doc ("No, il testo non si sta scrivendo da solo per magia, lo sto facendo io dall'altro computer") e persino di Trello.

Dopo una decina di giorni, però, la situazione è sfuggita di mano. Le email hanno di colpo perso il loro appeal ("perché dovrei mandarti un'email quando posso dirti la stessa cosa guadandoti negli occhi su Skype? Tanto non hai altre tre riunioni, oggi, no?"). E, a proposito di riunioni, i bei tempi in cui il capo dava un ordine e un intermediario lo comunicava ai sottoposti quando passavano per il suo ufficio sono finiti: adesso vengono indette riunioni su Zoom anche per parlare di cosa mettere nel distributore di merendine quando tutto sarà tornato alla normalità, o per dare un codice di abbigliamento per le riunioni stesse. Se poi lavori a cavallo di tre settori diversi, sei costretto a partecipare ad un minimo di sei sette riunioni nell'arco della giornata lavorativa. Ah, sì, poi devi anche lavorare.

A quel punto c'è una vera e propria frattura tra chi era abituato a lavorare da remoto e vorrebbe solo recarsi al suo bar preferito, dove mandava avanti l'azienda in tempo non sospetti in compagnia di un eterno cappuccino, e chi invece ha scoperto questo moderno paese dei balocchi dove si può gestire tutto mentre va la lavatrice, si possono cambiare pannolini durante un meeting o scrivere un articolo mentre si aspetta che sia pronta la pasta. E pazienza se ogni tanto qualche pargolo irrompe nella videoconferenza, se mentre sei su Zoom ti chiama la madre su Skype e il padre su Whatsapp, è sempre meglio della solitudine, no?

Forse alla fine di tutto questo non avremo scoperto solo lo smart working, ma anche l'abuso del suddetto. Quello che ti spinge ad essere sempre connesso, non si sa mai che arrivi una mail di lavoro alle 11 di sera, quello che ti fa svegliare di soprassalto perché hai ricevuto una notifica, quello che ti fa trascurare la famiglia perché ti credi migliore di quei genitori che fanno tardi in ufficio la sera, e se non ascolti quello che dice il tuo compagno perché ti prendi due minuti (e poi cinque, e poi dieci) per controllare la pagina Facebook aziendale non sei in fin dei conti un partner degenere.

La verità è che quello con cui ci stiamo confrontando in questi giorni non è smart working (che dovrebbe portare a lavorare di meno e lavorare meglio), ma semplicemente una pezza che si cerca di mettere a fronte di un'emergenza senza precedenti, tra l'altro senza alcuna preparazione. Anche qui, si naviga a vista. Ricordiamocelo, quando sarà finito tutto: ricordiamoci le comodità, ricordiamoci che abbiamo tenuto testa alle nuove tecnologie, ma ricordiamoci anche che quegli ibridi incontri a metà tra un pranzo e una riunione su Zoom sarebbero stati più belli faccia a faccia, e che fare il verso al collega antipatico solo a beneficio del tuo cane che uggiola perplesso non vale quanto smentirlo pubblicamente in riunione plenaria.

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