SOCIETÀ

La pandemia non ci ha reso più gentili: la gentilezza tornerà mai di moda?

La pandemia non ci ha reso mediamente più gentili. E perché mai sarebbe dovuto accadere? I virus non sanno cosa possa essere la gentilezza (e neanche s’intendono di statistiche), l’ecologia e la biologia non l’hanno mai analizzata molto, sembra piuttosto una cosa di umani con una propria evoluzione storica e geografica fra individui sapiens, gruppi, comunità, popoli. Non c’entra, ovviamente, con la morale e nemmeno con la cosiddetta “buona” educazione negli usi e costumi familiari e collettivi, variabili nello spazio e nel tempo, diverse per alfabetizzazione, cultura e classe sociale. Negli ultimi anni, da molte parti, sembra che le persone che sentono l’esigenza di essere (mostrarsi?) gentili non siano la maggioranza e non siano ben viste. E, allora, quando tornerà di moda (almeno maggioritaria) la gentilezza? Nonostante qualcuno di noi la consideri valore pratico quotidiano dell’esistenza residua, nonostante molte belle possibili citazioni poetiche e nonostante illustri autorevoli personalità stiano producendo riflessioni teoriche sulla sua essenzialità sociale, i più ancora ne usano davvero poca, i più ancora la dileggiano sui social, è senso comune che non ce la possiamo permettere, né individualmente, né nazionalmente. Innumerevoli sarebbero, in negativo, le citazioni da fare. In positivo si potrebbero richiamare molti testi scientifici su aspetti dell’educazione primaria, della cortesia, delle buone maniere, della tolleranza, della cui lettura vi è però scarsa traccia sociale. Forse potranno avere un effetto migliore due libri di larga diffusione e discreto richiamo sui grandi mezzi di comunicazione di massa. Si tratta di alcuni passi cruciali dell’ultima Enciclica papale e dell’interessante recente libro di Gianrico Carofiglio.

Una parte del capitolo sesto della Fratres Omnes s’intitola proprio così: “recuperare la gentilezza”! I paragrafi da 221 a 224 ne parlano con cognizione di causa. Che bella idea suggerire, indicare e invocare di recuperarla tutti! Papa Francesco usa il termine quattro volte nella trattazione, con un progredire del ragionamento ricco e profondo, per ora poco enfatizzato nei commenti. Il primo spunto riguarda il diffuso “individualismo consumista” che provoca soprusi e sembra coinvolgere tanti, pur se “tuttavia, è ancora possibile scegliere di esercitare la gentilezza. Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità”. L’enciclica cita poi San Paolo e la parola greca chrestotes (Gal 5,22), che esprime uno stato d’animo benigno e soave, che sostiene e conforta. Ovvero, “un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri”. Non finisce qui.

Leggiamo ancora l’enciclica. “La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti”. Chiaro semplice decisivo, difficile dirlo meglio. La nuova enciclica è tutta da approfondire.

Il termine gentile deriva da gentilis, ovvero qualcosa che appartiene alla gens, alla stirpe, all’insieme delle famiglie di una comunità con un capostipite comune (un antenato sapiens comune, un antenato animale comune, un antenato vivente comune, per stare alla genetica e alla biologia evoluzionistica). Pur complesso etimologicamente, alla rudimentale componente genetica e biologica il significato si è esteso a elementi spirituali e comportamentali, finanche ad aspetti morfologici ed esteriori. La coniugazione dei credenti ha poi avuto un proprio percorso culturale. Alcuni (pochi) commenti del mondo ecclesiastico hanno sottolineato la novità e la rilevanza dell’impostazione contenuta nell’enciclica rivolta a tutti i fratelli umani, che va ben oltre le buone maniere e i formalismi. Si è gentili nella misura in cui si è umani e il cristiano dal Vangelo dovrebbe imparare a relazionarsi con rispetto ed empatia con tutto ciò che lo circonda, il vivente umano e non umano. Si accetta l’altro a prescindere dalla fede e dall’ideologia e non si confonde il manierismo affettato con la gentilezza, qualità che parte dal riconoscimento di sé stesso e dell’altro come valore, come due valori distinti e unitari, vero antidoto all’indifferenza verso ogni individuo della comune unica famiglia (“razza”, specie) umana. Non è debolezza, la gentilezza è la virtù dei forti, forza e coraggio.

Il libro di Gianrico Carofiglio s’intitola proprio Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose(Feltrinelli Milano 2020, pag. 123 euro 14). Che bella idea tratteggiare un sommario di regole e suggerimenti per la pratica della politica e del potere, rivolto sia a chi vuole esercitarli un poco sia a chi desidera soltanto essere un cittadino più consapevole! A parte titoli e indici alla gentilezza si fa inevitabilmente esplicito riferimento una trentina di volte, lì comincia e lì si finisce: la gentilezza viene descritta come lo strumento chiave per produrre senso nelle relazioni umane e come un buon metodo per affrontare e risolvere i conflitti. L’incipit illustra un insieme di arti che l’autore pratica da decenni, mantenendosi competente e allenato a un alto livello di qualità, le arti marziali. In molte di loro, pur con modalità diverse, il principio fondamentale d’ispirazione e tecnica ha a che fare con l’uso proprio della forza dell’avversario al fine di neutralizzare l’aggressione o l’aggressore e, in definitiva, di eliminare o ridurre la violenza del conflitto; la neutralizzazione dell’attacco non implica l’eliminazione del contendente e cerca di mostrare, comunque, nel modo più gentile possibile, che aggredirci gli è inutile e magari gli si ritorce pure contro. 

Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) offre qualche gentile utilissimo consiglio per stare in società e agire in politica. Il primo suggerimento è di ragionare spesso per sinonimi e contrari, scrutare le specificità rispetto a quel che si pensa, si vuol dire o scrivere. La gentilezza non corrisponde alla buona educazione, al garbo, all’affabilità, alle buone maniere, nemmeno alla mitezza (illustrata da Bobbio), doti gradevoli e auspicabili che, tuttavia, non definiscono un significato etico proprio e che non garantiscono strumenti per disinnescare le semplificazioni che portano all’autoritarismo e alla violenza. La tecnica gentile mira a trasformare il conflitto in energia positiva quando è possibile; evitarlo quando è impossibile; renderlo più breve e meno dannoso se è inevitabile e ingovernabile. La premessa è ascoltare con mente aperta, non influenzata dai pregiudizi, dai preconcetti, dalle sovrastrutture e scegliere con coraggio di silenziare un poco l’invadenza e la rumorosità del proprio ego. L’obiettivo è diventare un buon comunicatore, non un’efficace manipolatore.   

Le etichette, gli schemi, le categorie precostituite aiutano la demagogia, consentono magari di vincere un’elezione, ma non di capire la realtà e influire positivamente su di essa. Sappiamo che ad alcuni va bene così, intanto vincono, lasciano poi ad altri (intellettuali intelligentoni) di fare cultura e chiacchiere; allora non è male sottolineare che sopraffare gli altri non è l’unico modo per stare insieme al mondo e per promuovere individualmente trasformazioni collettive. C’è un’alternativa allo scontro fisico e verbale, tecniche e pratiche per non far fare loro come gli pare senza accettare il loro terreno. Vale nelle sedi pubbliche e nelle relazioni private. Riduce almeno un pochino ruolo e influenza della stupidità, del cui eccessivo potere ognuno corre il rischio. E alza comunque, almeno un pochino, la qualità media della vita democratica, anche se taluno può stufarsi e aver voglia di disertare.

I capitoli dell’agile denso volume scorrono veloci, chiari nello stile, godibili nella lettura, ricchi di storie, citazioni, metafore, aforismi sempre ragionati, con l’essenziale riferimento a saggi, studi e ricerche (di varie discipline) ridotto ai testi prioritari. Frequenti spunti sono colti da personalità contemporanee, spesso Trump, in negativo ovviamente, come massimo esponente della categoria dei demagoghi bugiardi e manipolatori, pur se anche di Obama viene segnalata una argomentazione scorretta. Dal reale di fake news vengono presi molti esempi dell’arte del complotto: come furono o sono motivati l’intervento in Iraq, l’opposizione ai vaccini, la diffusione geopolitica delle epidemie. E, nel corso del ragionamento, si prende posizione su alcuni aspetti di eventi d’attualità rispetto alla vicenda Pamela Mastropietro, alla legalizzazione delle droghe leggere, al testamento biologico e ad altre questioni di bioetica, alla teoria del diritto naturale. Il capitolo sulle fallacie descrive errori nella costruzione di un discorso (deliberati o involontari) che invalidano le argomentazioni; quello successivo sulle discussioni ragionevoli offre regole operative di autodifesa dialettica e di lettura critica dei dibattitti politici. La più importante è la coltivazione di umorismo e autoironia, una virtù connessa al valore delle verità plurali e al principio di responsabilità (che comprende anche sane paura e vergogna). La pratica della gentilezza è, dunque, una libera scelta, per esercitarla ci vuole un gran coraggio!

Esiste sempre il rischio di ideologizzare la gentilezza, il papa e lo scrittore ne sono ben consapevoli e usano varie opportune accortezze per evitarlo. Già un successo sarebbe attivare una civile discussione pro e contro, sollevare obiezioni e accettare repliche, praticare ciascuno e tutti l’esplicita elegia dell’arte del dubitare e del saper sempre porre domande pensate, a sé stessi innanzitutto. Segnalo: talora o spesso qualcuno o molti non possono permettersi di essere gentili per svariate ragioni esistenziali, devono fare un fatto personale delle ostili o indifferenti reazioni altrui; la comunicazione verbale (orale e scritta, ostile o gentile che sia) è in parte sopravvalutata nelle dinamiche materiali dei comportamenti umani, atti e fatti parlano senza tener effettivamente conto delle scelte gentili; a prescindere dal ruolo dell’eventuale indole, nella relazioni la gentilezza evolve, c’è chi gode nel non essere gentile o nell’opprimere gentili; nel confronto politico e nei dibattiti televisivi qualcuno sceglie di non essere né logico né gentile, ben sapendo che ci “guadagna” qualcosa, nel breve o nel medio periodo, a prescindere dalle tecniche di difesa che alcuni cittadini elettori, attori interlocutori e telespettatori distanti possano mettere in funzione; accadono violenze materiali e psicologiche, accadono o sono talora necessari atti non gentili o, almeno, che non si pongono il problema di esserlo (imposizioni o repressioni che siano). Ineludibile è poi una questione di fondo: si possono fissare regole gentili per legge o decreto? Si può formulare ed esercitare un diritto gentile (mite)? Forse la gentilezza potrebbe tornare più e meglio di moda se scovassimo poche minime norme condivise (come quella che non si può essere gentili verso il fascismo). Nel dibattito televisivo della notte del 21 ottobre 2020 a Trump e Biden hanno automaticamente chiuso i microfoni quando parlava l’altro dei due. Certo, non va fatto comunque e sempre, e però, visto i precedenti, è stata una giusta regola gentile (anche verso il pubblico). Non sarebbe male che ci dotassimo di preliminari statuite flessibili regole collettive gentili oltre che di autodifese individuali. Per altro, pare che il 13 novembre di ogni anno sia la giornata mondiale della gentilezza, minuscola occasione per un ripensamento non effimero. Forse. 

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