SCIENZA E RICERCA

Perché coprire i ghiacciai con dei teli non è una buona idea (se adottata su larga scala)

Uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico è il progressivo scioglimento dei ghiacciai. Le Alpi, in particolare, stanno rapidamente perdendo il loro volto e un confronto fotografico con le immagini di qualche decennio fa mostra in modo chiaro come il paesaggio glaciale stia cedendo il passo alla roccia. 

Le immagini documentano quanto sia profonda la trasformazione determinata dal ritiro dei ghiacciai ma a far capire l'ampiezza del fenomeno sono anche diversi studi scientifici che da tempo si concentrano su questo aspetto, quantificando la perdita che si è registrata finora ma cercando anche di prevedere cosa potrà accadere nei prossimi anni.

Uno studio pubblicato su Nature Communications nel 2020 sottolineava che tra il 2000 e il 2014 i ghiacciai delle Alpi hanno perso un sesto del volume totale e, secondo una ricerca condotta da Matthias Huss, glaciologo del Politecnico di Zurigo e pubblicata sulla rivista The Cryosphere entro il 2050 finiranno per dimezzarsi. Restando in Italia, uno dei ghiacciai più famosi, quello della Marmolada, tra una quindicina di anni potrebbe non esistere più. 

Una pratica sempre più diffusa con cui si cerca di proteggere il manto nevoso durante la stagione estiva è quella di ricoprire le superfici con teli geotessili: in questo modo i ghiacciai vengono difesi dalle radiazioni solari e il loro scioglimento è attenuato. Queste operazioni hanno certamente una loro efficacia su scala locale, quando l'obiettivo è proteggere la neve delle piste da sci per scopi legati alle attività turistiche, ma se il metodo venisse applicato su ampie superfici le conseguenze sull'ambiente sarebbero rilevanti e anche paradossali perché si finirebbe per contribuire ad aggravare il cambiamento climatico che è responsabile dello scioglimento dei ghiacciai. 

A spiegare perché coprire i ghiacciai con i teli di plastica non può essere presentata come una soluzione per salvarli è una lettera aperta firmata da 44 scienziate e scienziati che si occupano dello studio della glaciologia e dei cambiamenti climatici e supportata dalle principali istituzioni che in Italia si dedicano al monitoraggio dei ghiacciai su scala regionale e nazionale.

Nel documento si sottolinea anche l'ambiguità comunicativa di questi progetti che, presentando come sostenibili delle pratiche che in realtà hanno un impatto ambientale rilevante, finiscono per farsi portavoce di un messaggio distorto. I teloni utilizzati in queste operazioni sono infatti nella maggioranza dei casi costituiti da materiale plastico e le condizioni ambientali che contraddistinguono i ghiacciai portano alla loro usura dopo pochi anni (obbligando quindi a una frequente sostituzione e rendendo difficoltoso il riciclo). I teloni inoltre rilasciano frammenti sulle superfici ricoperte e questo implica la dispersione di plastica nell'ambiente oltre all'alterazione degli ecosistemi dei ghiacciai. Le operazioni per la movimentazione dei teloni sono poi condotti con mezzi meccanici che consumano elevate quantità di carburante.

Per queste ragioni, osservano gli esperti, se alla stesura dei teli geotessili sui ghiacciai viene attribuito un valore ambientale si dipinge come "verde" un'operazione che nasce per tutelare (legittimamente) specifici interessi economici locali. Si rischia quindi di cadere in un esempio di greenwashing, una strategia di marketing che fa leva sulla sensibilità ecologica dei consumatori per aumentare la reputazione di un'azienda attraverso un impegno ambientale di facciata. 

"Coprire un ghiacciaio inquinando l’ambiente e consumando risorse, significa perseverare nella stessa miope visione che ha provocato il problema", scrivono gli scienziati nella lettera aggiungendo che per salvare i ghiacciai non esistono scorciatoie e che l'unica strada è stabilizzare il clima del pianeta contenendo l’incremento delle temperature entro i 2 °C rispetto al periodo preindustriale, come previsto dall'accordo di Parigi.

Abbiamo approfondito le ragioni per le quali coprire i ghiacciai con i teli geotessili non è la soluzione ideale per difenderli dallo scioglimento insieme a Giovanni Baccolo, ricercatore del dipartimento di Scienze dell'ambiente e della terra dell'università Milano-Bicocca e tra i firmatari della lettera aperta.

"Ci tengo a sottolineare che il documento non è contrario di per sé alle pratiche di copertura ma alla narrazione sbagliata di questi progetti: se una pista da sci corre su un ghiacciaio e la società che ha in gestione gli impianti o che si occupa del mantenimento di questa pista vuole coprire il ghiacciaio per preservare la pista noi non siamo contrari a questo tipo di iniziativa. L’importante è che non venga presentata come un salvataggio dei ghiacciai e un contrasto al cambiamento climatico", ha precisato Baccolo a Il Bo Live.

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Giovanni Baccolo, tra gli scienziati firmatari del documento, spiega perché coprire i ghiacciai con teli geotessili non è la soluzione corretta per salvarli. Intervista e montaggio di Barbara Paknazar

"La motivazione che ci ha spinto a produrre questo documento - introduce Giovanni Baccolo - non è stata tanto la pratica in sé della copertura dei ghiacciai, visto che sono ormai 20 anni che progetti del genere hanno iniziato a diffondersi sulle Alpi, ma il fatto che negli ultimi mesi si sono sviluppate diverse iniziative che, con l’obiettivo di raccogliere dei finanziamenti per queste coperture, hanno scelto di far leva su dei messaggi che noi riteniamo profondamente sbagliati e ambigui".

Nel documento gli scienziati citano come esempio la campagna promossa da Mastercard, che per ogni transazione eseguita in Svizzera tra ottobre e dicembre 2021, ha donato alla Cover Project Foundation le risorse necessarie per coprire una porzione di ghiacciaio pari alla superficie di una carta di credito o la start-up italiana Glac-Up, fondata da quattro giovani economisti che hanno avviato una campagna di raccolta fondi tra privati e aziende proponendo di "adottare" un ghiacciaio per finanziarne la copertura. 

"Questi interventi - osserva Baccolo - hanno sicuramente un’efficacia dal punto di vista tecnologico. Un ghiacciaio coperto si ritira più lentamente e la neve fonde meno perché la radiazione solare è schermata e il ghiaccio assorbe meno energia solare. Ma, come abbiamo sottolineato nel documento, queste pratiche comportano numerosi impatti ambientali e se immaginassimo di estenderle su regioni ampie e coinvolgendo tanti ghiacciai diventerebbero insostenibili e contribuirebbero ad aggravare le cause che stanno provocando il cambiamento climatico e il ritiro stesso dei ghiacciai. Sarebbe quindi un vero e proprio controsenso, un paradosso".

Nel documento gli scienziati si soffermano poi sui rischi di quella che definiscono una "comunicazione ambigua" spiegando che queste pratiche creano il "messaggio distorto che per limitare gli effetti deleteri del riscaldamento globale sui ghiacciai basti avvolgerli in un telo". "Adattarsi al cambiamento climatico significa accettare un cambio di paradigma che metta al centro la riduzione degli impatti e il senso del limite. Portare avanti procedure impattanti per mantenere attività economiche che acausa degli stessi cambiamenti climatici saranno sempre più insostenibili è l’opposto dell’adattamento, è accanimento".

"Queste pratiche di copertura - entra nel merito Giovanni Baccolo - vengono dipinte non tanto come interventi di tutela locale di singoli ghiacciai e di attività economiche specifiche legate allo sfruttamento di particolari ghiacciai, ma sono descritte come un salvataggio generico dei ghiacciai alpini e addirittura un’arma di contrasto al cambiamento climatico. Questo messaggio sbagliato ci ha preoccupato molto perché pensiamo che il clima e i ghiacciai sono temi ovviamente attualissimi che interessano le persone e hanno anche la capacità di fare leva sulla sensibilità ambientale che si è costruita negli ultimi anni. Se però questo viene fatto con dei messaggi sbagliati, ambigui o distorti riteniamo che possano sorgere dei grandi problemi perché le persone potrebbero pensare che per salvare i ghiacchiai e contrastare il cambiamento climatico basta stendere un telo. Le cose invece ovviamente sono molto più complesse".

Attualmente le azioni di copertura artificiale, evidenziano gli scienziati nel documento, interessano meno dello 0.08% dei ghiacciai italiani (che occupano oggi circa 360 kmq) e tipicamente si tratta si aree che ospitano piste per lo sci alpino o altre forme di sfruttamento turistico. E la messa a dimora di teli geotessili sulla superficie dei ghiacciai è un'operazione che difficilmente può uscire da una scala locale. A rendere inattuabile un progetto di copertura che interessi porzioni significative dei ghiacciai alpini sono sia motivi pratico-logistici, legati al fatto che molti di essi sono in ambienti impervi in cui è impossibile operare con i mezzi meccanici necessari per la gestione, la stesura e la rimozione dei teli che deve essere fatta ogni anno, sia ragioni di natura economica perché azioni di questo tipo hanno costi enormi (centinaia di migliaia di euro all’anno per ciascun ghiacciaio ingegnerizzato, secondo uno studio citato dai firmatari del documento).

A tutto questo si aggiungono numerosi impatti sull'ambiente. "Ad oggi questi teli sono fatti nella grande maggioranza dei casi di materie plastiche e quindi derivano dai combustibili fossili. Qui subentra anche un motivo di principio perché non posso dire che sto salvando i ghiacciai e il clima se la copertura stessa implica degli effetti in termini di emissioni di anidride carbonica. Inoltre per alimentare i mezzi coinvolti in queste operazioni servono grandi quantità di carburante. Da un punto di vista di bilancio delle emissioni queste pratiche sono altamente negative perché immettono grandi quantità di anidride carbonica in atmosfera", approfondisce il ricercatore del dipartimento di Scienze dell'ambiente e della terra dell'università Milano-Bicocca.

"Oggi queste pratiche non sono altamente diffuse e quindi in termini assoluti questo aspetto non è così rilevante ma riteniamo paradossale il fatto che per proteggere i ghiacciai dalla fusione e dal ritiro, che è una delle conseguenze più eclatanti del riscaldamento globale, stiamo aggravando quelle stesse cause che hanno provocato il cambiamento climatico", osserva Baccolo.

"C'è anche un problema di inquinamento dei ghiacciai perché le radiazioni ultraviolette e i cicli di gelo e disgelo portano a una rapida degradazione di questi teloni che rilasciano così grandi quantità di fibre plastiche che verosimilmente entrano a contatto con l’acqua di fusione, entrano nei torrenti proglaciali e si muovono verso valle. Bisogna inoltre ricordare che un ghiacciaio coperto non è più un ghiacciaio che è definibile un ecosistema. Molti pensano che un ghiacciaio sia privo di vita ma in realtà negli ultimi anni gli studi volti alla caratterizzazione delle comunità microbiche che popolano questi ambienti hanno mostrato che i ghiacciai sono a tutti gli effetti degli ecosistemi dove avvengono degli scambi di materia con gli ambienti circostanti e con l’atmosfera. Un ghiacciaio coperto cessa di avere questa funzione ambientale perché non può più ospitare un ecosistema. In termini assoluti sarà un ecosistema di nicchia che conosciamo ancora molto poco però bisogna ricordare che quando si fanno degli interventi sull’ambiente è necessario considerare tutte le possibili conseguenze. Salvare un ghiacciaio impacchettandolo e rendendolo inaccessibile ci è sembrato un messaggio veramente sbagliato".

Per salvare ghiacciai, ricordano gli scienziati nella lettera aperta, non esistono scorciatoie e l'unica strada da percorrere è fare tutto il possibile per limitare gli effetti del cambiamento climatico e ridurre il riscaldamento globale.

"Ci sono studi di tipo modellistico che hanno dimostrato che se saremo in grado di mantenere il riscaldamento alla fine del secolo entro i due gradi una parte sostanziale dei ghiacciai alpini potrà essere salvata. Parliamo di circa il 40% dei ghiacciai presenti oggi: non è tanto, ma non è nemmeno pochissimo e dovremo impegnarci tutti a diversi livelli, sia come singoli cittadini sia ovviamente a livello dei grandi decisori, affinché questo sia possibile. Purtroppo invece se non saremo in grado i ghiacciai non potranno sopravvivere ma salvarli è comunque un obiettivo raggiungibile e questa soluzione corrisponde all’accordo di Parigi che è già stato sottoscritto da molti Paesi del mondo", conclude Baccolo.

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